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08:17 giovedì 6 novembre 2025
Il nuovo album di Rosalía non è ancora uscito ma le recensioni dicono che è già un classico Anticipato dal singolo e dal video di "Berghain", Lux uscirà il 7 novembre. Per la critica è il disco che trasforma Rosalia da popstar in artista d’avanguardia.
La nuova serie di Ryan Murphy con Kim Kardashian che fa l’avvocata è stata demolita da tutta la critica All’s Fair centra lo 0 per cento su Rotten Tomatoes, in tutte le recensioni si usano parole come terribile e catastrofe.
Un giornalista italiano è stato licenziato per una domanda su Israele fatta alla Commissione europea Gabriele Nunziati ha chiesto se Israele dovesse pagare la ricostruzione di Gaza come la Russia quella dell'Ucraina. L'agenzia Nova lo ha licenziato.
Lo Studio Ghibli ha intimato a OpenAI di smetterla di usare l’intelligenza artificiale per creare brutte copie dei suoi film Assieme ad altre aziende dell'intrattenimento giapponese, lo Studio ha inviato una lettera a OpenAI in cui accusa quest'ultima di violare il diritto d'autore.
Nel suo discorso dopo la vittoria alle elezioni, il neosindaco di New York Zohran Mamdani ha sfidato Donald Trump Nelle prime dichiarazioni pubbliche e social, il neosindaco ha anche ribadito la promessa di ridisegnare NY a misura di migranti e lavoratori.
Ogni volta che va a New York, Karl Ove Knausgård ha un carissimo amico che gli fa da cicerone: Jeremy Strong E viceversa: tutte le volte che l'attore si trova a passare da Copenaghen, passa la serata assieme allo scrittore.
È uscito il trailer di Blossoms Shanghai, la prima serie tv di Wong Kar-wai che arriva dopo dodici anni di silenzio del regista Negli Usa la serie uscirà il 24 novembre su Criterion Channel, in Italia sappiamo che verrà distribuita su Mubi ma una data ufficiale ancora non c'è.
È morta Diane Ladd, attrice da Oscar, mamma di Laura Dern e unica, vera protagonista femminile di Martin Scorsese Candidata tre volte all'Oscar, una volta per Alice non abita più qui, le altre due volte per film in cui recitava accanto alla figlia.

I libri del mese

Cosa abbiamo letto a marzo in redazione.

31 Marzo 2022

Yasmina Reza, Serge (Adelphi)
Trad. di Daniela Salomoni

È strano che in questo scorcio di tempo, di tragedie ed eventi epocali, la figura di Yasmina Reza stia assumendo sul piano letterario una grandezza sempre maggiore. Strano perché i suoi romanzi raccontano vite per niente eccezionali e perché le sue storie non hanno niente della parabola apocalittica. Strano, ma forse significativo che, in un momento come questo, Serge, il suo ultimo romanzo, uscito in Francia nel 2021 e adesso in Italia, finisca per essere l’oggetto letterariamente più luminoso tra quelli che ci passano davanti. Serge è un romanzo che non inizia e non finisce e ha quello strano posizionamento nel mezzo delle cose, più da racconto che da romanzo, che è tipico della scrittrice francese e che rende il suo sguardo al tempo stesso elegante e vero. La storia di una famiglia non eccezionale, tre fratelli di origine ebrea della media-borghesia parigina, raccontata da uno di loro, Jean, con particolare attenzione alla figura del fratello maggiore, Serge, classico personaggio del romanzo occidentale di ascendenza ebraica, cinico maschio in crisi e in decadimento fisico e morale. Niente che non si sia già assaggiato in un romanzo di Bellow, Roth o Richler, ma non per questo meno affascinante. Le prime entusiasmanti pagine sono un quadretto di presentazione tra scoperte di tradimenti e ricerche immobiliari, che riconosciamo subito comicamente come le architravi della vita quotidiana borghese in una qualsiasi capitale europea. Poi la famiglia si imbarca in un viaggio scombiccherato verso Auschwitz e Birkenau, dove queste vite appunto non eccezionali incontrano il ricordo mezzo sbiadito dell’eccezionalità della storia. E proprio qui la famiglia si frantuma in bassezze e litigi feroci. Niente di più semplice, verrebbe da dire. Ma scritto con lo stile di Yasmina Reza è un’altra cosa. (Cristiano de Majo)

Katherine Angel, Il sesso che verrà (Blackie Edizioni)
Trad. di Veronica Raimo e Alice Spano

Le premesse da cui parte Katherine Angel nella sua raccolta di saggi Il sesso che verrà sono tutt’altro che incoraggianti. L’auspicio di Michel Foucalt, che alla fine degli anni Settanta era abbastanza convinto che il sesso del futuro sarebbe stato migliore di quello dei secoli precedenti, non si è ancora avverato, scrive Angel, nonostante la liberazione sessuale e le riflessioni dei movimenti femministi e Lgbtq+. Il sesso è ancora sproporzionatamente cattivo sesso, soprattutto per le donne, e il fulcro delle riflessioni dell’autrice parte proprio da questo fallimento collettivo. In quattro saggi dedicati rispettivamente al consenso, al desiderio, all’eccitazione e alla vulnerabilità, corroborati da una preziosissima bibliografia che va dalle seminali ricerche di William Masters e Virginia Johnson alle critiche del #MeToo come Laura Kipnis e Bari Weiss, Angel passa in rassegna alcune delle idee predominanti sulla sessualità femminile e sul modo in cui, fino a oggi, l’abbiamo analizzata. A cominciare dai limiti della cultura militante del consenso che spesso, pur con le migliori intenzioni, chiede alle donne un enorme sforzo “programmatico” sulle loro intenzioni in momenti che, per definizione, poco hanno di chiaro e delineabile, fino al modo in cui storicamente si è studiato il piacere femminile e quell’antipatica “non-concordanza” tra quello che una donna dice di volere e quello che il suo corpo invece rivela (se a leggere queste parole avete pensato a una delle più solide scuse per lo stupro, non siete in errore). Angel scardina con lucidità pregiudizi e visioni ormai passate in un territorio, e questo è tanto piacevole quanto sconcertante da scoprire, che è ancora perlopiù ignoto: «Un’etica sessuale che sia degna di questo nome deve accettare le zone oscure, l’opacità del non sapere», scrive infatti. Ed è solo il primo passo. (Silvia Schirinzi)

Agustín Fernández Mallo, Trilogia della guerra (Utopia)
Trad. di Silvia Lavina

Leggendo la Trilogia della guerra di Agustín Fernández Mallo mi sono talvolta fermato a ragionare non tanto su quello che stavo leggendo, ma su quale fosse il modo migliore di vendere un oggetto tanto indefinibile. In un momento in cui tutto, anche nell’universo editoriale, deve essere marketizzabile fin dal suo concepimento, al punto che ci siamo abituati ormai anche alla pubblicazione senza paura dei pensierini di influencer di Instagram, un’opera come questa è una prova di fiducia nel passaparola e nell’entusiasmo che può arrivare soltanto da una lettura febbrile. È impossibile infatti pensare a un buon copy o a una catchphrase per questo libro così esteso e anarchico. Penso si possa definire in senso estremamente “meta” come: “un’esperienza letteraria”, e niente di più. Nessun altro dettaglio che possa creare aspettative diverse da un pastiche surrealista intriso di umorismo, divagazioni storiche, affacci sul male con l’iniziale maiuscola, riflessioni sulla memoria. La Trilogia della guerra sono tre libri in uno che non si parlano o forse sì, perché per Mallo tutto il mondo è una ragnatela in cui tutto è connesso, passato, presente, futuro, e in questo l’hanno paragonato molto a W.G. Sebald e all’utilizzo delle coincidenze per ipnotizzare il lettore. Ma Mallo, in quest’opera straordinaria nel vero senso della parola, ha molti felici debiti soprattutto con Roberto Bolaño. I protagonisti si muovono intorno a tre “pretesti narrativi” legati alla guerra – nel primo libro, la Guerra civile di Spagna; nel secondo, il Vietnam; nel terzo, la costa della Normandia dove iniziò la liberazione dell’Europa – ma la Trilogia è in realtà una lunga assurda passeggiata onirica, fatta di divagazioni di decine di pagine (ecco, Sebald; ecco, Mendelhson) e personaggi che meriterebbero libri a parte, che appaiono e scompaiono a raccontare fatti apparentemente insignificanti che contengono l’eco di qualcosa di coerente tra loro. Non è convincente, me ne rendo conto. Cosa direi, per consigliare questo libro che penso sia divertente, angoscioso, e fantastico? Quello che forse si dicono tutti quelli che si consigliarono e si consigliano un libro “padre” di questo come 2666 di Bolaño. Una frase che si direbbe prima di un’esperienza psichedelica iniziatica. Qualcosa di simile a: non aver paura, fidati. (Davide Coppo)

William Dalrymple, Anarchia (Adelphi)
Trad. di Svevo d’Onofrio

Finito di leggere Anarchia di William Dalrymple si capisce perché l’autore abbia curato con tale maniacalità la sezione dedicata alle note bibliografiche: la storia della Compagnia delle Indie Orientali inglese è incredibile, nel senso di non credibile. Senza un continuo ricordo che è successo davvero, nella mente si attiverebbe un’involontaria sospensione dell’incredulità e l’atteggiamento di chi legge si farebbe scettico. Ci sono momenti in cui Anarchia sembra un romanzo di Salgari, un’avventura di pirati e principi, mercanti e avventurieri: all’inizio del libro c’è una sezione intitolata “Dramatis personae”, un elenco dei protagonisti dei fatti, più facili da immaginare come personaggi che persone. Altre volte Anarchia sembra fantascienza distopica, un Market Forces di Richard K. Morgan portato indietro nel tempo: la Compagnia aveva un suo esercito privato, un documento firmato dalla Regina che le riconosceva il diritto di «muovere guerra» e una specie di proto-slogan in cui si autodefiniva «la compagnia di mercanti più grande dell’universo». Il capitolo dedicato alla sua fondazione è il più straniante di tutto il libro: i personaggi che firmarono quell’accordo starebbero comodissimi nella nostra grifter tv, nelle serie che raccontano i deliri di onnipotenza e gli spettacolari fallimenti di Elizabeth Holmes di Theranos o dei coniugi Neumann di WeWork. Solo che, a differenza di questi, quelli della Compagnia ce la fecero: la colonizzazione inglese dell’India fu la storia di «un impero affidato alle cure di un corpo di mercanti a una distanza di molte migliaia di chilometri», un regno nuovo guidato da «un predatore aziendale violento, assolutamente spietato e, a tratti, mentalmente instabile, Robert Clive». Quando Dalrymple spiega perché è successo, viene in mente la Zona di Énard, il cromosoma della guerra al centro del dna europeo: perché avevano armi migliori e sapevano usarle meglio, altro che mission civilisatrice. Che fosse tutto qui, lo si capisce da quello che gli inglesi portarono via da una delle regioni più ricche e raffinate della Terra: certo gioielli e spezie e tessuti a tonnellate, ma soprattutto due parole che oggi pensiamo appartengano all’inglese ma che invece furono coniate in India (esiste una metafora migliore del colonialismo europeo?): “moghul” e, soprattutto, “loot”, bottino. (Francesco Gerardi)

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