Attualità

I libri del mese

Cosa abbiamo letto a febbraio in redazione.

di Aa.Vv.

NEW YORK, NY - MARCH 11: A man reads a book Central Park on March 11, 2014 in New York City. After an unusually frigid winter, temperatures are supposed to reach into the 60s today. (Photo by Andrew Burton/Getty Images)

Martin Amis – The Rub of Time (Jonathan Cape)

Mi piacerebbe compilare un canone di romanzieri i cui testi più limpidi e riusciti non sono romanzi, ma articoli per giornali. Più che i new journalist, che di norma sono partiti dal giornalismo per arrivare al romanzo (Didion, Wolfe), ci metterei dentro David Wallace e chi, come lui, nasce innanzitutto come scrittore; nessun suo romanzo è veramente compiuto, mentre molti suoi articoli resteranno un modello di giornalismo narrativo. Quasi a malincuore, perché è uno scrittore con uno stile irresistibile, che però ha finito spesso per traballare nella costruzione (La vedova incinta resta comunque uno dei miei libri preferiti degli ultimi dieci anni), ci metterei anche Martin Amis. Fulminante critico letterario – nel 2014 Einaudi ha pubblicato la sua raccolta di saggi letterari La guerra contro i cliché – ma anche giornalista di costume, reportagista, formidabile ritrattista delle icone del nostro tempo. Tutto questo, la letteratura e il resto, viene antologizzato in The Rub of Time, la raccolta completa dei suoi pezzi scritti tra il ’94 e il 2016. Ci sono dentro tante cose bellissime, per esempio il suo famoso reportage dai mondiali di poker a Las Vegas e le edipiche discussioni sulla lingua tra lui e il suo ingombrante padre scrittore Kingsley, ma tre ritratti mi hanno colpito più di tutto, quelli dedicati a Lady D., a John Travolta e a Diego Maradona, ma questi ultimi due in particolare, il primo fotografato nel momento della risalita (Pulp Fiction) dopo una lunghissima discesa, il secondo immortalato nell’infinita tristezza del suo ultimo crollo. Sono due piccoli romanzi giornalistici, che ci dicono che anche le storie già raccontate e consumate, messe nelle mani di un grande, si trasformano in rivelazioni. (Cristiano de Majo)

 

Francesco Cundari – Déjà vu (Il Saggiatore)

«Il Paese ha bisogno di un partito della sinistra nuovo e diverso». Una frase attorno alla quale nel 1990 una serie di intellettuali d’area si riunirono al Teatro Capranica di Roma, dando vita a quella che poi avremmo chiamato “società civile”, i buoni e giusti del centrosinistra, coloro che si vivono da allora in eterna contrapposizione alla leadership politica di turno della loro area di riferimento. Una frase che non finisce mai. Così attuale che l’abbiamo letta ieri su Twitter, sentita l’altro ieri in tv, scandita con gravità la settimana scorsa al bar. Una frase che pronunciamo ininterrottamente da quasi trent’anni. Il fulcro di una storia in divenire, quella che Francesco Cundari, giornalista e fine conoscitore della politica italiana (nonché columnist di questo giornale), raccoglie deliziosamente in Déjà Vu, libretto importante appena dato alle stampe dai tipi del Saggiatore. È la storia della guerra interna al centrosinistra, che inizia negli anni ’90, che prosegue oggi e che, sostiene Cundari, probabilmente non finirà mai. Una lettura consigliata in questi giorni di riflessioni elettorali, in cui molti elettori di sinistra si professano scontenti e delusi da questo Pd, nostalgici di non si sa bene cosa, probabilmente dell’Udeur di Mastella o di Rinnovamento italiano di Lamberto Dini, e quindi convinti che «il Paese ha bisogno di un partito della sinistra nuovo e diverso». Come se fosse il ’90, sempre e chissà per quanto ancora. (Federico Sarica)

 

Emiliano Ponzi –The Great New York Subway Map (MoMA, New York Transit Museum)


Quando l’Emiliano Ponzi del futuro ripenserà al primo decennio della sua sfavillante carriera, probabilmente ricorderà quello appena passato come “il periodo della metropolitana”. Non soltanto, infatti, Ponzi ha recentemente illustrato i muri degli spazi sotterranei della fermata Tre Torri, dando vita alla prima fermata d’arte di Milano, ma ha realizzato un libro completamente dedicato alla metro, edito dal MoMA e dal New York Transit Museum. Protagonista del libro è la metropolitana della città, o meglio, la sua mappa. Al centro di tutto c’è Massimo Vignelli, il graphic designer che nel 1972 ricevette il compito di disegnarla. Con lo stile solido, netto, a campiture piatte, che rende Ponzi riconoscibilissimo (e amatissimo), si narra la genesi di una missione a dir poco complessa (come schematizzare e rendere rapidamente leggibile un sistema così intricato di binari?), coinvolgendo il lettore nell’atmosfera adrenalinica e scintillante che accompagna le grandi imprese (per Vignelli, quello della metro è il progetto della vita, il più difficile di tutti). Pensato per bambini e ragazzi, in realtà è una lettura per tutti (un po’ come la storia della casa editrice Penguin raccontata attraverso il viaggio di un pinguino). Quello che si respira in queste immagini dinamiche e veloci, che fanno un po’ pensare al futurismo, non è soltanto il clima frenetico e vitale della città per eccellenza, delle sue strade e della sua metro, ma anche l’euforia di un progetto ambizioso che si sviluppa. E così seguire il processo con cui Vignelli riuscì a escogitare un modo efficace per aiutare newyorkesi e non ad orientarsi in un vero e proprio labirinto, è bello quanto rendersi conto di come Ponzi sia riuscito a fare la stessa cosa, ovvero riassumere con semplicità e intelligenza (esempio: i colori dominanti sono quelli delle linee della metro) qualcosa di grandioso. (Clara Mazzoleni)

 

W. Stanley Moss – Brutti incontri al chiaro di luna (Adelphi)
Trad. Gianni Pannofino

Si può parlare, in qualche modo, di letteratura “da uomini”? Si risponderà che no, anzi che la storia della letteratura è una storia di cose scritte da uomini e quasi solo da uomini con un’attenzione completa sul mondo maschile, da ben prima di Virginia Woolf e anche per molto tempo dopo di lei, e pure oggi, a guardare alcuni premi come lo Strega o antologie e via dicendo. Ma io non intendevo quello, parlavo invece di una letteratura che riesca a descrivere completamente e sinceramente l’amicizia tra uomini, quell’amicizia che sfiora i confini della sessualità, lontanissima dal machismo, che può essere stupida e poetica e bestiale e profonda, quella che si riassume bene, mi è capitato di pensare, nella frase “boys will be boys”. Un libro che mi sembrerebbe perfetto per rispondere a questa definizione è Brutti incontri al chiaro di luna, di William Stanley Moss, pubblicato per la prima volta nel 1950, ripubblicato adesso da Adelphi con la postfazione di Patrick Leigh Fermor e un’introduzione di Gabriella Stanley Bullock. Il libro è in realtà il “semplice” diario di William Stanley Moss durante l’aprile del 1944 a Creta, un diario che racconta i giorni del rapimento – William era un ufficiale inglese, e con lui anche Patrick Leigh Fermor – del generale nazista Kreipe e della fuga, dopo giorni avventurosi, verso l’Egitto, ma è anche un’involontaria descrizione di un mondo degli uomini forse d’altri tempi (sicuramente, in un certo senso: era la Guerra): nascondersi in grotte buie e sudicie, bere raki, vino e retsina fin dal mattino, minacciarsi picchiarsi e riappacificarsi, pistole alla cintura, momenti selvaggi nella natura selvaggia, mangiare fino a sfinirsi, crescere barbe, baffi e capelli, poi tagliarli, cambiare stile e aspetto di nuovo, camuffarsi da cretese o da turco, cantare, rubare, abbracciarsi. La Creta di William Stanley Moss è un mondo in un certo senso shakespeariano, in cui esistono solo gli uomini, uomini-bambini, che trattano la guerra come se fosse un gioco. (Davide Coppo)

 

Errico Buonanno  – Vite straordinarie di uomini volanti (Sellerio)

C’è stato un tempo in cui l’uomo volava. Volava davvero, libero come libere sono le rondini, senza l’ausilio di eliche, o di motori, o di razzi propulsori (sebbene ci sarebbe la storia di quel mandarino cinese che provò a raggiungere la luna con 47 razzi caricati a polvere da sparo: finì in polvere pure lui, ma gli fu dedicato il cratere di Wan-Hoo, sul lato nascosto della luna). C’è stato un tempo, si diceva, in cui l’uomo volava, o almeno credeva che fosse possibile volare, che è già qualcosa. Sono circa duecento, dice Errico Buonanno, le storie di uomini volanti tramandate nel corso dei secoli: come fra’ Giuseppe da Copertino, animo semplice che decollava come un Super Saiyan finché non gli fu vietato dalla Santa Inquisizione, o Simon Mago, che secondo gli scritti apocrifi volò da Gerusalemme a Roma (oggi l’El Al ci mette tre ore e mezza). Vissero tutti, guarda caso, prima del 1700, il secolo della Ragione, quando l’uomo si scoprì meno credulone, o forse meno sognatore. Del resto, volare è cosa poco ragionevole: anzi, scrive Buonanno, è «inopportuno, perché fa sentire così piccoli, limitati, terrestri, tutti noi uomini assennati e con i piedi ben piantati per terra». Volare è levitas, e le parrucche impongono un po’ di gravitasVite straordinarie di uomini volanti è un po’ Birdman, un po’ manuale di volo, un po’ invettiva trasognata contro il mondo moderno e la sua mancanza d’immaginazione. Secondo una massima un po’ abusata, a volte attribuita a Churchill, altre a George Bernard Shaw, “chi non è mai stato comunista è senza cuore”, ma chi non diventa capitalista è senza cervello. Dopo avere letto questo libro, mi domando se non si possa dire lo stesso della modernità: chi non l’apprezza è, evidentemente, un idiota; ma se non vi commuovete ripensando a questo immaginario di un’Europa bambina, in cui l’uomo conviveva con la meraviglia e in cui il cielo non era ancora quello di Kant, se non vi commuovete davanti alle storie degli uomini volanti, allora siete senza cuore. (Anna Momigliano)