Attualità
Sbatti la rubrica in prima pagina
Con Serra, Feltri e Gramellini, che da martedì ricomincia sul Corriere della Sera, abbiamo cercato di capire le ragioni del successo di un formato molto italiano.
In quest’ultimo mese sono state ridisegnate le prime pagine dei tre principali quotidiani d’informazione. Da martedì 14 febbraio, Massimo Gramellini firmerà una nuova rubrica, “il Caffè”, sulla prima pagina del Corriere della Sera. Dal 24 gennaio il “Buongiorno” della Stampa è firmato da Mattia Feltri. Dal 13 gennaio l’Amaca di Michele Serra ha lasciato le pagine interne per andare a prendere posto in prima, sopra la testata. Insomma il Corriere della Sera, la Repubblica e la Stampa (in rigoroso ordine alfabetico) avranno una rubrica con una formula comune, in prima pagina. Invece di interrogarci sul successo di questo genere di commento, abbiamo pensato di interrogare proprio i tre autori delle rubriche in questione: Mattia Feltri, Massimo Gramellini e Michele Serra.
ⓢ Come ti spieghi il successo che ha in Italia questa formula?
Veramente non ci ho mai pensato, è una domanda interessante. Mi viene da dire – senza averci riflettuto sopra – che conti la brevità dello scritto, da cui si è obbligati ad andare al cuore del problema rapidamente, senza tediare chi legge. Inoltre si tratta di rubriche che per loro costituzione godono di una specie di extraterritorialità: si fa parte di un giornale, e va tenuto conto, ma allo stesso tempo si è titolari di una grande libertà espressiva e di scelta dei temi. Bisogna saper scegliere e saper scrivere. Se questo valga anche per me, è presto per dirlo. (Mattia Feltri)
Breve e seriale, la stessa ricetta degli spot. Lo stile di vita impedisce alla maggioranza delle persone una lettura lunga, lenta e concentrata. Magari, sfogliando il giornale, trovi un pezzo che ti interessa, ma non hai il tempo per leggerlo. Allora lo metti da parte, dicendo a te stesso: lo leggerò stasera. Non ci riesci quasi mai. Invece un minuto per dare uno sguardo a un corsivo di venti righe lo trovi sempre. (Massimo Gramellini)
Certo la brevità aiuta molto il lettore. Soprattutto adesso che i tempi di attenzione si stanno progressivamente accorciando. Poi la grande familiarità che si stabilisce “incontrandosi” tutte le mattine. Naturalmente la brevità da sola non basta: devi imparare a non sprecarla, a usarne il potenziale. O impari la sintesi, o spari a salve. One shot, va bene: ma devi colpire il bersaglio con un colpo solo. (Michele Serra)
ⓢ Quanto contano le scelte del tuo quotidiano (per esempio di cosa trattano gli editoriali o quali sono i titoli in prima pagina) rispetto alle tue scelte?
Il corsivo, per sua natura, è un punto di vista laterale. Prende spunto da una notizia non trattata nel resto del giornale, oppure esplora un aspetto meno illuminato di qualche notizia importante. (Massimo Gramellini)
Zero. E non lo dico per snobismo. Lo dico perché per me sarebbe impossibile scrivere tenendo troppo conto del contesto. Devo sapere di essere “per conto mio”, di potere parlare del grande evento come del piccolo dettaglio, dall’argomento molto attuale e di quello del tutto anacronistico. Soprattutto adesso che sono in prima pagina: altrimenti non riuscirei più a scrivere una riga. Ovviamente se il 12 settembre del 2001 avessi mandato un corsivo spiritoso su un argomento futile, non avrei fatto una bella figura. E dunque diciamo che è mia responsabilità non abusare della mia libertà. (Michele Serra)
Assolutamente niente. Talvolta mi accerto che l’argomento di cui voglio trattare non sia già stato affidato a qualche editorialista, ma giusto per non sovrappormi. Né dal giornale mi chiedono di che cosa mi stia occupando: lo scoprono una volta messa la rubrica nel suo spazio. E nemmeno mi chiedono di adeguarmi alla linea della direzione, a patto di non scatenare guerre civili, ma questo è ovvio. (Mattia Feltri)
ⓢ Quanto internet (le polemiche sterili, quelle strumentali, le persone che non comprendono i testi ma vogliono ugualmente commentarli, le rare critiche mirate, etc.) ha cambiato il tuo modo di scrivere?
In passato si ricevevano solo lettere cartacee che arrivavano giorni e giorni dopo, e già questo distacco temporale toglieva tensione a qualsiasi polemica. Il mondo dei social ha però un vantaggio: è talmente veloce che gli umori cambiano in fretta. Basta stare fermi e aspettare che passi. (Massimo Gramellini)
Per nulla. Quando si scrive bisogna essere persuasi di quello che si ha in testa. Una critica mirata e seria può contribuire a modificare il mio pensiero, ma se questo succedesse per le critiche sciocche, significherebbe che il mio pensiero vale ben poco. Quando Maurizio Molinari mi ha proposto di sostituire Massimo Gramellini al “Buongiorno”, gli ho detto due cose. Prima: sono onorato grazie. Seconda: posso scrivere la rubrica per quello che penso io, non per quello che pensano gli altri. Era quello che speravo, ha detto Molinari. (Mattia Feltri)
Zero anche qui. Vietato scrivere qualcosa pensando all’ “effetto che fa”, per strappare l’applauso o al contrario per irritare qualcuno. Evito accuratamente i social per cercare di conservare lucidità e autonomia. Se sbaglio, so sbagliare benissimo per conto mio. (Michele Serra)
ⓢ E i dati sulle letture, sulle condivisioni online l’hanno cambiata?
Come sopra. No. Ho “vecchi” strumenti per vagliare il mio rapporto con i lettori. Centinaia di mail, non tutte favorevoli, a molte delle quali rispondo personalmente. Cerco di essere una persona che risponde a persone, non una persona che risponde a una folla. (Michele Serra)
Mi hanno confermato che i lettori, soprattutto le lettrici, preferiscono le storie ai commenti e la cronaca alla politica. Proprio come me. (Massimo Gramellini)
Abbiamo uno strumento infernale che controlla l’andamento del sito in tempo reale, così sin dalla prima mattina so quante persone stanno leggendo il “Buongiorno” in quel preciso istante, quanto ci rimangono dentro in media, in che posizione è fra tutti gli articoli pubblicati. Vien voglia di controllarlo ogni due minuti. Ma alla fine la cosa migliore è tenerne conto senza lasciarsi travolgere. Forse mi condiziona un minimo nella scelta degli argomenti, ma niente di più. Ho fatto un “Buongiorno” che, partendo da Simone Weil, era intitolato “Viva i traditori”. Non proprio un ammiccamento al lettore. Il lettore è come un amico: non va assecondato a priori, bisogna dirgli in faccia quello che non va. (Mattia Feltri)
ⓢ Chi sono i tuoi modelli nella scrittura della tua rubrica?
Nessuno. Non bisogna avere modelli: si finisce con lo scimmiottarli. Bisogna leggere molto, molto, di tutto, e sperare che un po’ di scienza rimanga in testa e un po’ di musica nelle orecchie. (Mattia Feltri)
All’inizio erano soprattutto modelli “comici”. Fortebraccio, Benni, Vonnegut. Mano a mano, lo volessi o no, la scrittura ho dovuto tirarla fuori, con le unghie e con i denti, da me stesso e dai miei umori quotidiani. Non si può scrivere ogni giorno per molti anni senza mostrarsi e senza compromettersi. L’unico vero merito che mi riconosco è non essermi mai nascosto dietro la mia scrittura. (Michele Serra)
Il mio modello è lo stesso da vent’anni: Michele Serra. L’idea del “Buongiorno” su La Stampa mi è venuta leggendo i suoi “Che tempo fa” sull’Unità. Adesso ci guardiamo dalle prime pagine di Corriere e Repubblica, ma è un derby affettuoso tra persone che si stimano. Considero Michele un modello di stile. Al di là delle idee, è sempre la qualità della scrittura a fare la differenza. Montanelli e Bocca, per citare due giganti del giornalismo, non andavano d’accordo praticamente su nulla. Tranne che su una cosa: l’obiettivo primario di non annoiare mai il lettore. (Massimo Gramellini)
ⓢ Ti capita mai di pensare che scrivere ogni giorno sia una condanna? E, se sì, cosa ti dici per scacciare il pensiero?
Che se uno scrivesse solo quando pensa di avere qualcosa di veramente originale da dire, lo farebbe due volte l’anno. E quelle due volte non sarebbe originale. (Massimo Gramellini)
Sì, lo penso tutte le mattine. Scrivo rubriche brevi da oltre quindici anni e sono stressanti, totalizzanti, qualsiasi cosa io veda o senta o legga durante il giorno, rifletto su come sarebbe “buongiornizzabile”. È una cosa patologica. Ma avere un rubrica fissa in prima pagina sulla Stampa è un privilegio che sovrasta qualsiasi disagio: quanti sono i giornalisti che possono dire quello che pensano, ogni santo giorno, sulla prima pagina di un giornale nazionale? (Mattia Feltri)
È una condanna ma al tempo stesso un privilegio. E una disciplina. Scrivere è (anche) un mestiere. Un lavoro che va fatto. Tanto vale cercare di farlo bene, e non essere tirchi sul prodotto. (Michele Serra)