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22:11 lunedì 14 luglio 2025
L’annuncio dell’arrivo a Venezia di Emily in Paris lo ha dato Luca Zaia Il Presidente della Regione Veneto ha bruciato Netflix sul tempo con un post su Instagram, confermando che “Emily in Venice” verrà girato ad agosto in Laguna.
Ancora una volta, l’attore Stellan Skarsgård ha voluto ricordare il fatto che Ingmar Bergman era un ammiratore di Hitler «È l’unica persona che conosco ad aver pianto quando è morto Hitler», ha detto. Non è la prima volta che Skarsgård racconta questo lato del regista.
Superman non ha salvato solo la Terra ma anche Warner Bros. La performance al botteghino dell'Uomo d'acciaio è stata migliore delle aspettative, salvando lo studio dalla crisi nera del 2024. 
Cosa si dice del nuovo sequel di Trainspotting, Men in Love Pare sia molto lungo, abbastanza nostalgico e con dei passaggi notevoli in cui Irvine Welsh si dimostra ancora in forma.
I Talebani hanno fatto un assurdo video promozionale per invitare i turisti americani a fare le vacanze in Afghanistan Il video con la sua surreale ironia su ostaggi rapiti e kalashnikov, mira a proporre il paese come meta di un “turismo avventuroso”.
Justin Bieber ha pubblicato un nuovo album senza dire niente a nessuno Si intitola Swag e arriva, a sorpresa, quattro anni dopo il suo ultimo disco, anni segnati da scandali e momenti difficili.
Damon Albarn ha ammesso che la guerra del Britpop alla fine l’hanno vinta gli Oasis Il frontman dei Blur concede la vittoria agli storici rivali ai fratelli Gallagher nell’estate della loro reunion.
La nuova stagione di Scrubs si farà e ci sarà anche la reunion del cast originale Se ne parlava da tempo ma ora è ufficiale: nuova stagione in produzione, con il ritorno del trio di protagonisti.

Governare non è il nostro forte

Siamo molto più bravi a creare, progettare, cantare. Provocazione: facciamoci commissariare a vita

13 Novembre 2011

Il Financial Times scrive: «La nomina di un tecnocrate non eletto dal popolo è tutto tranne che l’ideale». Siamo commissariati, e insomma, il tema della sovranità limitata torna improvvisamente d’attualità in Italia, una parola d’ordine che come “questione meridionale” sembrava un residuato degli anni Settanta (la parola, non la questione, che rimane). Eppure forse varrebbe forse la pena ripassare David Ricardo, l’economista autore della prima teoria sul commercio internazionale, quella sul “vantaggio comparato”.

In un celebre esempio basato su Gran Bretagna e Portogallo, produttrici entrambe di stoffe e di vino, Ricardo sosteneva che il lavoro necessario alla produzione di un’unità di merce è diverso per ciascuna merce nei due Paesi e, per la stessa merce nei due Paesi, è in relazione alle diverse condizioni “naturali e artificiali” che rendono un Paese più adatto ad una produzione piuttosto che ad un’altra. In soldoni, conviene che un paese produca ed esporti ciò che gli riesce meglio e più conveniente, importando invece il resto (l’esempio proseguiva consigliando ai portoghesi di continuare a produrre il loro porto e agli inglesi il loro tweed).

In questi sessantacinque anni di Repubblica (e 150 anni di Stato unitario) l’Italia ha dimostrato chiaramente quali siano i prodotti su cui abbiamo vantaggio comparato: arte, cultura, design, cibo, bel canto. Beni che hanno invaso il mondo, in cui siamo considerati inarrivabili, che hanno contribuito a creare un mito dell’Italia (fino all’Ottocento quello del Grand Tour, poi quello del made in Italy), quasi creando un’Italia parallela, quella di cui parlava Giuseppe Prezzolini nelle sue lezioni americane alla Columbia negli anni Quaranta, una grande patria immaginaria della bellezza – “la seconda patria, cioè la super-patria delle nazioni educate nella tradizione greco-latina”.

Lo Stato, inteso nelle sue funzioni amministrative, istituzionali, politiche, di governo, non è mai stato, invece, il nostro forte. Le ragioni potrebbero essere le più disparate, ma forse non vale (più) la pena di indagarle. La disfida Borboni-Savoia, no grazie. Semplicemente, non è cosa nostra.

Quindi, invece, approfittare della situazione e di questa nuova sovranità limitata, pretendere che rimanga tale, e rimpiangere che si sia dovuto arrivare fino al 2011 producendo politica di bassa qualità qui da noi in proprio, un business che non ci riesce bene, un po’ come i petrolchimici e le vetture al Sud.

E concentrarsi su quello che sappiamo fare, magari facendolo anche meglio e in maniera più razionale (fa tristezza che uno dopo l’altro tutti i marchi della moda passino in mani straniere, soprattutto ai francesi che ci sfottono. Il prossimo sarà Giorgio Armani? Possibile che nessuno riesca a creare un grande polo del lusso sul modello di quelli Arnault-Pinault? La solita litigiosità italiana, anche qui?). Che bello in fondo se a governarci fosse Francoforte, o Bruxelles. Loro fanno le leggi e i bilanci, noi i vestiti e lo slow food. Quante energie liberate per la creatività italiana. Con conseguenze immediate anche sul turismo: che bella una Roma svuotata dai palazzi del potere, trasformati in musei, un centro storico pedonalizzato, niente sirene di sottosegretari e peones che non sanno neanche cos’è lo spread (e quanti danni evitabili se Berlusconi si fosse limitato a cantare canzoni napoletane, invece di governare).

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