Attualità

La sinistra di “Mr Expo”

Storia di Beppe Sala, brianzolo «molto resiliente» e candidato del Pd a Milano, e di com'è diventato il possibile nome del dopo-Pisapia.

di Davide Piacenza

Tutta la piccola borghesia è uguale e tutta la provincia del nord è uguale e forse tutta l’Italia è in fondo uguale, per cui quando leggo in una sua recente intervista a Francesco Merlo su GQ che Giuseppe “Beppe” Sala, classe ’58, figlio di un mobiliere di Varedo (Monza) iscritto alla Dc, da giovane votava Pci e aveva col padre «una forte dialettica» mi immagino salotti eleganti e un dissenso magari profondo ma sempre garbato, fatto di pacati toni famigliari.

Dopo aver vinto le primarie del Partito democratico del 7 febbraio scorso col 42% dei voti, Sala è diventato ufficialmente il candidato del centrosinistra a Milano. Laureato all’Università Bocconi – «il mio Infinito oltre la siepe» – negli anni in cui l’appellativo di “bocconiano” iniziava a diventare un non-luogo retorico, l’ex commissario di Expo è riuscito a sparigliare le carte della sinistra cittadina del dopo-Pisapia, uno scenario che a Milano da tempo aveva assunto connotati post-apocalittici, tanto da aver reso la continuità con la giunta arancione un riferimento obbligato e onnipresente. Giuliano Pisapia, in un momento particolare come quello della fine dell’era Moratti, nel 2011 era infatti riuscito a far convergere su di sé le speranze di uno spettro politico molto vasto, ricevendo l’investitura tanto dei moderati quanto degli attivisti schierati su posizioni più radicali.

Filippo Barberis, rappresentante Pd in consiglio comunale, definisce il percorso del nome di Sala a Milano «naturale»: «Dopo che il partito ha fatto di tutto per convincere Pisapia a ricandidarsi, la figura di Sala ha preso il sopravvento grazie al momento storico della città, con Expo che ne ha segnato gli ultimi anni, con le sfide nei campi della mobilità e delle relazioni internazionali», dice Barberis, che sottolinea come metà della giunta comunale si fosse schierata con lui ancora prima che scendesse in campo. Sala secondo Barberis era una «figura sconosciuta che aveva sorpreso a Expo», convincendo con la realizzazione positiva di un evento che aveva provocato diversi scetticismi. E, tuttavia, Pisapia? Chi ci pensa a Pisapia? Il consigliere prova a rassicurare: «Rimanere in linea con l’attuale sindaco significa innovare, Milano oggi è la frontiera».

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Sala ha spiegato di considerarsi «molto resiliente», e di aver ridimensionato il peso che dà alle cose che gli capitano da quando, nel ’98, gli era stato diagnosticato lo stesso linfoma che pochi anni prima aveva portato via suo padre. Allora quarantenne, era appena diventato il capo della divisione pneumatici di Pirelli, l’uomo più fidato di Marco Tronchetti Provera e uno dei manager più in ascesa a livello nazionale. Di recente ha raccontato al Corriere di essere riuscito, nei due anni di cure e trattamenti, a rendere persino quella «un’esperienza costruttiva», per riflettere su sé stesso e sentirsi poi «rivoluzionato come essere umano».

Oggi, vent’anni dopo, la percezione è che il nuovo problema, se così si vuol chiamare, del candidato di sinistra a Milano sia dimostrarsi abbastanza di sinistra, quasi a voler espiare un passato da dirigente societario diventato improvvisamente una colpa. E allora, se da una parte Sala dichiara «l’esame del sangue non me lo faccio più fare», dall’altra il posizionamento politico del civil servant nominato dall’allora sindaco Letizia Moratti è diventato una sorta di meme, alimentato da fotomontaggi che applicano il suo volto sul ritratto di Che Guevara e collegamenti a programmi radio in cui gli viene chiesto di cantare “Bandiera rossa”. Ma al di là degli scherzi, Beppe Sala è un uomo di sinistra o no? Per Barberis dimostra «un’empatia molto immediata» con le persone che incontra durante la campagna elettorale. Lia Quartapelle, parlamentare Pd, parlando con Studio lo definisce «un progressista meneghino» che non si innamora troppo della retorica. Lui, il portabandiera del progressismo con caratteri milanesi, dal canto suo dice di aver «sempre votato Pd, e prima Ds e Pds».

Dna purosangue o meno, ha portato dalla sua Sel, una lista arancione e più di 50 comitati cittadini

Se anche si trattasse di un bluff, sarebbe un bluff riuscito: Beppe Sala, dna purosangue o meno, ha portato dalla sua il gruppo comunale di Sel, una lista arancione capeggiata dalla scrittrice Daria Colombo e più di 50 comitati cittadini, e alle elezioni si presenterà con il capolista Pierfrancesco Majorino, assessore al Welfare e candidato “più a sinistra” delle primarie di febbraio, nonché volto in prima linea su questioni che vanno dall’emergenza profughi alle abitazioni di Aler, l’ente dell’edilizia popolare comunale.

Sala nel suo programma propone di destinare 100 milioni di euro alla riquilificazione delle case popolari di Milano, e, tra le altre cose, si schiera a favore della spesso dibattuta riapertura dei Navigli e dell’istituzione di nuovi servizi ad hoc dedicati ai freelance e le partite Iva, il quarto stato milanese. Tifa Inter, l’ex braccio destro di Tronchetti Provera, ma vede di buon occhio la costruzione del nuovo stadio del Milan. Nella sua etica protestante brianzola, pare che per Sala i criteri essenziali siano sempre la praticità e l’efficacia; è per questo, con ogni probabilità, che ha già manifestato l’intenzione di diminuire le partecipazioni comunali in società come Sea Aeroporti, che gestisce gli hub di Malpesa e Linate, e reinvestire i surplus in altre opere.

“Mr Expo”, come è stato ribattezzato dalla stampa, non è stato toccato dagli scandali di tangenti sugli appalti che sono arrivati fino al suo vice, e di recente è stato attaccato per mancati adempimenti burocratici riguardanti una villa a Zoagli, nel golfo del Tigullio e una casa in Svizzera, rispondendo con la pubblicazione online della sua dichiarazione dei redditi. La moglie di undici anni più giovane, Dorothy De Rubeis, è consulente finanziaria per un influente studio legale americano, e la coppia al di là di qualche uscita mondana non fa molto parlare di sé. All’epoca della nomina morattiana a direttore generale del comune di Milano, Repubblica definiva Beppe Sala «un personaggio schivo e riservato». Da uomo d’azienda con idee di sinistra, oggi forse il candidato ha completato il percorso in direzione inversa, diventando un uomo di sinistra con mentalità maturate negli uffici di Pirelli e Telecom ed Expo, un progressista atipico il cui mantra recita: «Valuterà la gente sulla base delle cose da fare».

Immagini Olivier Morin/Afp/Getty Images