Attualità

Sei possibili scenari per Israele e Gerusalemme

Potrebbe rientrare tutto, ma anche scoppiare un’intifada. Cosa succederà in Medio Oriente?

di Anna Momigliano

La scorsa settimana Donald Trump ha annunciato che gli Usa riconoscevano Gerusalemme come capitale di Israele e che sposteranno lì l’ambasciata, che ora sta a Tel Aviv. A ridosso dell’annuncio, che è stato fatto mercoledì sera, qualcuno aveva previsto forti disordini, o addirittura lo scoppio di una nuova intifada. Altri hanno minimizzato, facendo notare, per esempio, che il Congresso americano aveva già riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele e approvato una misura per spostare l’ambasciata (col Jerusalem Embassy Act del 1995). Sul campo, per il momento, la situazione è tesa, però meno tesa di quanto non si erano immaginati i più pessimisti. A distanza di qualche giorno, è possibile provare a tracciare qualche scenario.

1. Ci sarà una terza intifada?

Quando Trump ha annunciato il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele, una delle reazioni più diffuse, specialmente in Italia, è stata “ecco, adesso scoppierà una terza intifada”. È uno scenario possibile, ma francamente non probabile. Ci sono stati disordini, certo, a Gerusalemme Est e in Cisgiordania, dove i manifestanti palestinesi si sono scontrati con le forze israeliane (molti degli abitanti arabi di Gerusalemme Est non hanno la cittadinanza israeliana e dunque sono palestinesi a tutti gli effetti). La domanda però è se tutto questo possa deflagrare in una vera e propria intifada, come successe trent’anni fa e nel 2000. È una questione che ha esaminato a fondo Anshel Pfeffer su Haaretz, giungendo alla conclusione che è molto improbabile. Sono 13 anni che tutti si aspettano una terza intifada, scrive, ma finora non si è mai concretizzata. In gran parte perché i palestinesi hanno troppo da perdere: due intifade hanno fatto molti morti e non hanno portato a un gran che. Quello che si è visto negli ultimi anni è piuttosto un aumento ciclico di singoli episodi di violenza (gli accoltellamenti, le auto sulla folla) che però non hanno portato a una rivolta violenta su vasta scala.

2. Provocherà il caos in Medio Oriente?

Poco probabile. Il Medio Oriente è già nel caos di per sé e in tutto questo il conflitto israelo-palestinese c’entra sempre meno. Ci sono guerre civili in Siria, Iraq, Libia e Yemen, ma israeliani e palestinesi per il momento restano (relativamente) tranquilli. C’è chi dice che la questione israelo-palestinese potrebbe fungere da “miccia” e in effetti qualche disordine legato alla questione c’è stato in Libano. Però è improbabile che la cosa esploda. Un po’ perché la questione israelo-palestinese non è più così centrale in Medio Oriente. E poi perché, con tutte le guerre civili che ci sono e che si trascinano da anni, nei Paesi arabi dove le cose sono tranquille la gente ci pensa davvero due volte prima di fare casini.

3. Rientrerà tutto?

È una prospettiva forse un po’ troppo ottimista ma non del tutto campata in aria: la questione potrebbe semplicemente rientrare. Almeno in parte. L’annuncio di Trump infatti consiste in due elementi: il riconoscimento di Gerusalemme capitale e lo spostamento dell’ambasciata da Tel Aviv e Gerusalemme. Il riconoscimento di Gerusalemme capitale ha una valenza simbolica e politica importante, ma non fa altro che confermare due cose che già si sapevano: Israele considera Gerusalemme sua e gli Stati Uniti non sono neutrali, stanno con Israele. Avere formalizzato questa cosa ha creato rabbia e disordini tra i palestinesi, ma probabilmente finirà lì. Lo spostamento dell’ambasciata invece riguarda la situazione sul campo e potrebbe portare a disordini maggiori. Se e quando avverrà. Perché nel breve e medio periodo l’ambasciata resterà dov’è. La Casa Bianca ha detto che sposterà l’ambasciata tra quattro anni. Ma, come ha spiegato l’ex ambasciatore Dan Shapiro al Washington Post, probabilmente ne serviranno almeno dieci.

Reaction To US Embassy Announcement In Jerusalem

4. I rapporti tra Europa e Israele saranno sempre più tesi?

Per il momento sembrerebbe di sì, ma non ingigantiamo la cosa: l’annuncio di Trump e l’esultanza di Netanyahu sono stati condannati da Macron e Gentiloni, per fare due esempi. Il premier israeliano ha avuto un’accoglienza gelida a Bruxelles. Però i Paesi dell’Europa orientale sembrano propensi a seguire la linea di Trump: la Repubblica ceca ha detto che sposterà l’ambasciata. È la conferma di un trend già in atto: Israele va sempre più d’accordo con Trump, Putin e i Paesi dell’Est e sempre meno d’accordo con l’Europa occidentale. Ma non è una cosa che avrà grandi conseguenze concrete.

5. Archivieremo l’idea di uno Stato palestinese?

Un’altra delle cose che si sono sentite dire tanto è che la dichiarazione di Trump “affosserà il processo di pace”. Il problema è che il processo di pace è affondato già da un bel po’. Per processo di pace in genere s’intende il principio, nato nei primi anni Novanta, di giungere a un modello di “due popoli per due Stati” (con un futuro Stato palestinese che sorga a fianco di quello israeliano) e dove i palestinesi danno “pace in cambio di terra” (tradotto: voi israeliani ci date l’indipendenza, noi smettiamo di darvi fastidio). Ecco, questa cosa qui è bell’e che morta. La dichiarazione di Trump però mette la sua morte nero su bianco, dice “il processo di pace così come lo conoscevamo non c’è più”. Ma dice anche un’altra cosa, e cioè che, per come la vedono gli Usa, possiamo anche dimenticarci uno Stato palestinese. Come ha scritto Menachem Klein su +972, adesso c’è «un consenso israelo-americano che non ci sarà nessuno Stato palestinese e nessuna capitale a Gerusalemme». 

6. E se invece fosse un’occasione per i palestinesi?

È uno scenario di cui si sta discutendo tra gli analisti, ma, anche qui, un po’ troppo ottimista. Uno dei ragionamenti è questo: bene, abbiamo messo nero su bianco che il vecchio modello del processo di pace è morto e sepolto, allora non potrebbe essere un’occasione per iniziare a esplorare altre strade? Un altro ragionamento è: la più grande potenza del mondo ha riconosciuto Gerusalemme come israeliana, almeno adesso la comunità internazionale dovrà riconoscere che c’è un problema con lo status di chi ci abita. (Come accennato prima, i residenti arabi di Gerusalemme non hanno la cittadinanza: inizialmente era stata offerta loro ma avevano rifiutato, adesso invece la chiedono in molti ma viene loro negata). Si tratta però di una prospettiva un po’ forzata, il famoso “tanto peggio, tanto meglio”.

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