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La fissazione della Gen Z per la tecnologia preistorica non è nostalgia ma ribellione

Fotocamere digitali, Tamagotchi, vecchi iPhone e vecchi blog: dietro alla romanticizzazione degli oggetti tecnologici del passato recente c’è una ricerca di autenticità, e anche voglia di fuggire dalla realtà.

13 Febbraio 2025

C’è qualcosa di tremendamente sexy negli ordigni tecnologici di inizio millennio. In un’epoca in cui l’ultra-tecnologia plasma la nostra percezione del reale con immagini levigate e iper definite, la nostalgia per strumenti obsoleti diventa un atto estetico a cui i più giovani non riescono a rinunciare. E basta qualche scroll per accorgersene: dai selfie scattati con le macchinette digitali e la tipica data arancione in basso a destra, ai ciondoli Tamagotchi di Bella Hadid e i numeri giganti pixelati sugli schermi della sfilata haute couture di Valentino. E poi ci sono i vinili, i CD, il VHS, il ritorno del camcorder e le estetiche anni Ottanta e Novanta che hanno caratterizzato gli anni Dieci grazie a prodotti come Stranger Things e al revival della vaporwave.

Tutto questo non è solamente un vezzo stilistico, ma un manifesto di resistenza al culto dell’iper reale. E in effetti l’ossessione per il lo-fi ha radici profonde, e per i giovani nati con lo smartphone in mano, stimola una ricerca di autenticità in un mondo che sembra averne sempre meno. Ciò che un tempo era errore, oggi è linguaggio. Ma questo continuo riguardarsi indietro non è qualcosa di nuovo, né un unicum della Gen Z: ha toccato tutte le generazioni dalla Gen X in poi, assumendo forme diverse in base al contesto storico e mediatico. Negli anni Novanta c’era l’ossessione per il rock anni Sessanta e Settanta, alimentata dal revival grunge e dall’estetica vintage di MTV. Negli anni Dieci, è stato il turno dell’estetica anni Ottanta, che ha trovato terreno fertile nell’industria musicale, nel cinema e nella moda, con riferimenti che vanno da Drive di Nicolas Winding Refn fino a IT nel remake di Andy Muschietti.

Oggi assistiamo a una nuova trasformazione della nostalgia, che si adatta ai mezzi tecnologici e culturali del momento: non più solo citazioni, ma un vero e proprio remix visivo e concettuale di epoche passate, filtrato attraverso le logiche dei social media e del consumo digitale. Ma chi è nato dopo il 1995 non ricorda davvero l’epoca del lo-fi: la mitizza e la riproduce in modo selettivo, estetizzando le sue imperfezioni. È il paradosso della nostalgia per qualcosa che non si è mai posseduto, un desiderio di autenticità che si rifugia in un’estetica imperfetta proprio perché percepita come più vera di quella contemporanea. Ed è una nostalgia che non nasce dal vissuto, ma dal racconto.

L’ossessione per la tecnologia preistorica è davvero una ribellione al dominio digitale o è solo l’ennesima strategia di consumo? La grana della fotografia a bassa risoluzione, le interfacce spartane dei vecchi blog su piattaforme come SpaceHey, le distorsioni cromatiche di un video girato con una DV Cam: tutte queste cose restituiscono un senso di tangibilità, in cui il difetto è un valore aggiunto. Improvvisamente, sui social si ricomincia a parlare di Y2K e Frutiger Aero, cercando di etichettare un’estetica perduta, o meglio superata, che dà sfogo al nostro desiderio di escapismo. Ma se il gesto non è più spontaneo, se l’errore diventa stile, se l’imperfezione è per scelta, si può ancora parlare di autenticità?

Prendiamo l’esempio di Lyas, influencer e fashion creator francese in ascesa (a oggi conta poco più di 200 mila follower su TikTok), che durante le ultime fashion week ha scelto di utilizzare un iPhone 4S per documentare i backstage delle sfilate a cui era invitato. Il suo è un gesto che sembra voler riscoprire una dimensione più spontanea, anche se di spontaneo alle sfilate c’è poco, ma che in realtà non fa altro che aderire a una tendenza già consolidata, che trasforma la limitazione tecnologica in un simbolo di appartenenza estetica.

Dai vecchi smartphone fino ai telefoni a conchiglia, tutto viene rispolverato nel tentativo di ricostruire il passato, generare hype e illuderci di remare controcorrente. Allo stesso modo, le immagini della campagna Autunno Inverno 2025 di Balenciaga, scattate con un iPhone, a volte storte, con le dita che entrano nell’obiettivo, non fanno altro che dimostrare la nostra sete di concretezza e autenticità, con escamotage che abbassano la percezione di un marchio divenuto fin troppo esclusivo. C’è da dire che da Balenciaga questa nostalgia l’avevano capita prima degli altri e spesso nelle sue collezioni, campagne e comunicazioni social, Demna ha giocato con oggetti tecnologici del passato recente (come l’iPhone 5, rotto, utilizzato come invito alla sfilata nel marzo 2022).

E così, mentre le foto sono sempre più low-budget, il contenuto effettivo resta più irraggiungibile che mai, e costosissimo. Eppure, la fotografia amatoriale era davvero amatoriale, ovvero limitata nella tecnica e nei mezzi, non un’estetica curata a tavolino. Oggi, invece, il pixel fuori posto non è un incidente: è un’operazione di marketing. È ormai chiaro che l’ultra-tecnologia, quella reale che scandisce le nostre vite e che è ossessionata dalla perfezione, ci ha stancati. Guardiamo con sospetto le immagini iper realistiche, i filtri che omologano i volti, l’algoritmo che prevede i nostri desideri prima ancora che li esprimiamo. Il ritorno intenzionale al lo-fi, con la sua estetica grezza e accidentata, diventa così il prodotto più entusiasmante in un mondo che vuole levigare e impacchettare ogni asperità. Perché nel mondo della moda, della bellezza e della comunicazione, tutto è potenzialmente monetizzabile, anche la nostalgia.

Forse, alla fine, il problema non è la tecnologia che avanza, ma il rapporto che abbiamo costruito con essa. Le nuove generazioni non rimpiangono davvero il passato che non hanno mai vissuto, ma cercano solo un’alternativa al presente che la tecnologia ha imposto loro fin dalla nascita.

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