Attualità

Gasp was innocent

Il parere di un interista a corredo dell'esonero di Gasperini. Il suo maggiore torto: quella voce troppo sottile

di Cesare Alemanni

Dato che la scena io la posso soltanto immaginare, allora scelgo d’immaginarla priva di un’ambientazione precisa. Potrebbe essere Genova come Milano, una spiaggia caraibica come un rifugio sulle Dolomiti, una grande città oltre oceano o il giardino di una villetta di Grugliasco, 36.000 abitanti a due passi da Torino. Di sicuro siamo un po’ oltre la metà del giugno scorso, il calcio è in vacanza, la Gazzetta spara nomi su nomi a quattro colonne quando a un certo punto squilla un cellulare (un cellulare-cellulare, no smartphone). «Pronto, parlo con Gian Piero Gasperini?» «Sì sono io, mi dica» «Senta, le andrebbe di fare l’allenatore dell’Inter l’anno prossimo?» «Certamente, però…ecco… qui leggo che ne avete già contattati altri cinque, insomma… io non vorrei che poi…» «Ma no, non si preoccupi, soltanto chiacchiere, lei è la nostra prima scelta da sempre. Passi in sede domani che c’è già pronto il contratto da firmare».

Lo psicodramma Gasperini deve essere incominciato più o meno così – cioè molto male, come tutte le cose fatte di fretta, con una certa e non trascurabile trasandatezza, almeno da un parte (non la sua, l’altra) – ed è finito pure peggio, specialmente per lui che a 53 anni un’altra occasione con una Big è facile che se la sogni.

Da subito si profetizzava: «Gasperini non durerà una stagione». Non ci si aspettava di essere presi così alla lettera: ufficializzato tre giorni dopo l’inizio dell’estate, Gaspacho viene cacciato il giorno in cui inizia l’autunno. In tempi di Btp, Bund, Crisi e S&P, poche ore dopo la sconfitta in Champions con i turchi, su Facebook si leggeva: «Aumentato lo spread tra Gasp e il Panettone». Infine qualcuno oggi mi faceva notare che con Gasperini si è passati dagli Zeru Tituli (degli altri), alle Zeru Vittorie (sue, cioè nostre) su cinque partite giocate prima dell’esonero. Un record. Gasp chiude con questo score: 0V – 1P – 4S, 5 gol fatti e 10 subiti. Numeri schiaccianti ma, anche solo per semplice spirito di contraddizione, da interista voglio prendermi la briga di rendere l’onore delle armi al Gasp proprio mentre si levano le grida dei tifosi eccitati alla vista della ghigliottina finalmente scattata.

Gasp Was innocent (o quasi)

Una premessa: se è vero che ogni uomo si costruisce da sè la fortuna, Gasp ci ha messo del suo per costruire la propria rovina. L’ostinazione con cui ha inseguito un solo credo tattico incurante dei segnali del campo (ma anche qui, come si vedrà, non è tutta colpa sua) fa parte del bagaglio di responsabilità specifiche e contingenti che lo hanno portato a bruciarsi in meno di tre mesi. Eppure le sue mancanze, per quanto grandi, riescono ad occultare solo in minima parte  la montagna di errori commessi da chi l’ha scelto prima, sfiduciato quasi subito e scaricato poi. Sono 20 anni che seguo il calcio (ho iniziato un pomeriggio d’inverno a San Siro, guardando Van Basten rifilare 3 gol al Foggia per poi ritrovarmi, chissà perché, dall’altra parte della barricata) e non ricordo di aver mai assistito a una così rapida e ripida decadenza da parte di una squadra campione d’Europa solo 16 mesi prima. Dalla notte di Madrid a quella di Novara, soltanto l’Inter poteva riuscire a fare terra bruciata così velocemente di un ciclo vittorioso. Anzi no, non l’Inter, soltanto Massimo Moratti. Umorale come un preadolescente, in 500 giorni Moratti ha smontato quello che in cinque anni una serie di seri professionisti aveva faticato per assemblare. Come ci sia riuscito resta un mistero solo per gli interisti meno lucidi e dalla memoria più corta (gli stessi che: “tutta colpa di Gasperini”), cioè quelli che non ricordano più le stagioni da 4 allenatori, gli esoneri per stizza, gli eterni ritorni di Hogdson etc… Tutti gli altri hanno o dovrebbero avere presente una serie di fatti accaduti negli ultimi tempi, fatti che hanno impedito alla loro squadra di assestarsi nel gotha Europeo per qualche anno.

Moratti all’Orfanotrofio

Era il 25 maggio 2010 e l’Inter aveva appena vinto la sua terza Coppa Campioni, apoteosi di una stagione irripetibile. Le luci della festa erano ancora tutte accese e José Mourinho, demiurgo assoluto del trionfo, sedeva già sulla carrozza del Real Madrid rompendo l’incantesimo di quella squadra prima della mezzanotte. L’Inter e i suoi tifosi erano orfani di… Un trauma, un brutto trauma. C’era però un uomo, un uomo di quasi sessantacinque anni, che quel trauma, glielo si leggeva negli occhi, non lo avrebbe mai superato. Lasciato da Mourinho in una cesta davanti a un orfanotrofio in una notte da romanzo di Dickens, Moratti Twist non ha mai smesso di cercare José negli occhi del mondo. E così ha costruito una crisalide di orgoglio intorno a quel progetto, nella speranza di preservarlo dalle ingiurie dei giorni. Gli errori da quel punto in poi, sono molteplici, quindi ne cito solo alcuni: 1) La mancata cessione di Milito (25 milioni, metteteci anche il logoro Maicon e si arriva oltre i 50) al Real Madrid per pura e nobile riconoscenza in barba a qualunque considerazione imprenditoriale e nonostante fosse statisticamente poco probabile che l’argentino pescasse l’asso per due volte di fila. 2) Il veto d’orgoglio posto al ritorno di Ibra* giusto perché la parabola del figliol prodigo, dalle parti dei Paperoni un po’ dandy,  tira solo se il figliol prodigo non è troppo stronzo nell’animo suo. 3) Il totale snobismo con cui è stato trattato, dal giorno A al giorno Z, un allenatore indubbiamente capace come Rafa Benitez, il quale aveva il solo torto riconosciuto di non assomigliare in niente a José Mourinho e il buon senso di chiedere un paio di innesti di peso per rilanciare il progetto e rimanere ai vertici d’Europa, e che, invece, a un certo punto si è ritrovato a perdere punti giocando con 7 primavera in campo. 4) L’ingarbugliato esito del progetto del “Simpatico” Leonardo, estintosi nel mistero praticamente a due minuti dal ritiro estivo. 5) Il piano di risanamento finanziario sventolato come ragione “etica” per la diminuzione degli investimenti che si smaschera da sé con l’acquisto dell’oggetto misterioso Ricky Alvarez per 15 milioni (devo aggiungere che con la stessa cifra in Europa si prendono certezze di media grandezza?). 6) L’assunzione, e qui arriviamo dopo lungo peregrinare al punto, di Gian Piero Gasperini, un maturo professionista di 53 anni di cui si sapevano per certo solo queste cose: pratica il 3-4-3, le sue squadre giocano molto bene a corrente alternata, prende un sacco di gol, ha una voce sottile e non è una fulmine di carisma. Più Medio(Man) che Special(One). Il che, si capisce, dato il vento nostalgico che tira sulla poppa del Titanic, non ha mai giocato a suo favore.

Gasp Was Innocent (Reprise)

Detto del quadro antecedente all’atterraggio di Gasp sul pianeta Pinetina, ecco le ragioni per cui, al netto degli errori proprio di Gian Piero da Grugliasco (tipo – enorme – mettere  Muntari contro la Roma), io non me la sento di addossargli tutte le responsabilità dell’ esonero. Gasperini, come tanti altri allenatori dell’Inter prima di lui (ad eccezione dei due cocchi presidenziali Mancini e Mourinho**), arrivava infatti all’Inter con un’identità tattica e tecnica specifica, di certo non ignota a chi l’ha assunto ed eppure ugualmente, completamente ignorata e trascurata proprio da chi l’ha assunto. Gasperini chiedeva ali vere e gli compravano Forlan, Gasperini faceva capire che Sneijder non era indispensabile e Sneijder*** veniva bloccato mentre non si faceva quasi niente per trattenere Eto’o, cioè l’unico giocatore decisivo in rosa. Gasperini chiedeva un valido giocatore che conosceva bene come Palacio e, quasi alla stessa cifra, gli si comprava Zarate, un flop certificato da due anni. Gasperini chiariva che per assimilare la difesa a tre ci sarebbero voluti tempo, calma e pazienza e l’ambiente, presidenza in testa, gli imponeva la difesa a 4, meglio se di corsa. Gasperini in sostanza è stato preso come allenatore a rendere. Un vuoto da riempire con idee che altri (dentro e fuori dallo spogliatoio, dentro e fuori i potentissimi clan sudamericani che scorrazzano per Appiano) avevano già in testa ben prima di assumerlo. Un capro espiatorio praticamente preparato ad arte.

A ben vedere il più grande torto di Gasperini è stato proprio quello di non aver capito da subito in che posizione stavano mettendolo -lui, un’onorata carriera da portare avanti in squadre belle e quasi vincenti – e di avere avuto la scarsa lungimiranza (o se preferite, l’incoscienza) di bruciarsi accettando una sfida “dentro o fuori” in una società che vive già di ricordi, anche se ha appena smesso di vincere. A ben vedere il più grande torto di Gasp è proprio avere una voce così sottile. Troppo sottile per rispondere a quella telefonata ricevuta verso la seconda metà di giugno con un ben scandito: «Mavaffa…».

Può sempre farlo ora. Da queste parti c’è un’interista, di rito antimorattiano, che ci spera.

 

* Il quale s’era addirittura auto-offerto. Inutile dire che riprenderlo – per affiancarlo a Eto’o – a un quarto del prezzo di vendita sarebbe stata operazione sublime, da annali oltre che da vittorie assicurate.

** Non a caso gli unici che hanno goduto del privilegio di autogestire il proprio progetto tecnico, senza interferenze dall’alto, sono anche gli unici ad aver vinto.

*** Un altro, tra i tanti, che per le sue stesse specifiche non si ripeterà mai ai livelli di 2 anni fa. Uno che, in sostanza, se non si gioca in velocità, non è un trequartista, di cui non ha né la visione, né il piede, né il passo e che, in una squadra di manovra, ha come unica soluzione sui 25 metri il tiro da fuori. E su questo ci metto la firma.