Cultura | Estate

Ricordi d’estate sull’iPhone

Racconto di cinque estati ritrovate grazie ad altrettante gallery salvate su un telefono.

di Giorgio Biferali

Ho le note dell’iPhone piene di idee per romanzi che non pubblicherò mai. Idee che mi vengono di giorno, quando sono fermo nel traffico e osservo la vita degli altri che in quel momento somiglia tanto alla mia, o di notte, che appunto in maniera telegrafica, confusionaria, per poi ritrovarle al mattino, non appena mi sveglio, leggermente diverse, cambiate, come se le avesse scritte qualcun altro. Tutte queste idee, in fondo, hanno a che fare con la memoria, con quello che vorrei ricordare e mettere da parte per il futuro, con quello che ho paura di dimenticare.

Una volta ho visto un film dove c’era un adulto un po’ hipster che dopo aver perso la moglie si innamorava di un sistema operativo. «Il passato è solo una storia che raccontiamo a noi stessi», diceva, e con il tempo mi sono accorto che quell’adulto un po’ hipster aveva ragione. Mi ricordo di una ragazza che a una presentazione mi aveva chiesto quanto ci fosse di autobiografico nel mio romanzo, mi ricordo che io non sapevo che dire. Adesso, le risponderei citando la battuta di quel film, oppure le direi che la memoria è inaffidabile, che ogni nostro ricordo non è altro che il ricordo di un ricordo, che è destinato a cambiare nel tempo. Che spesso non riusciamo a trovare le risposte giuste perché facciamo a noi stessi le domande sbagliate. È successo davvero? Qual è la verità?, ci si chiede, ma in fondo, che cosa ce ne importa? Le risponderei che sto leggendo un romanzo in spagnolo con Google Lens e che in questo romanzo, che è autobiografico, che ha quasi la forma di un diario, frammentato, il protagonista dice che se è vero che scriviamo per recuperare sensazioni che credevamo di aver perso, è altrettanto vero che quando scriviamo dovremmo cercare di vedere le cose come se fosse la prima volta, come fa un bambino o uno che si sta riprendendo da una malattia e sta imparando di nuovo a camminare. Le direi, anche se lei non me l’ha chiesto, che io come David Shields scrivo per dire: «Non siete soli». Che è una delle cose belle della letteratura, ritrovarsi nelle parole e nelle vite degli altri.

In una delle note del mio iPhone c’è un’idea per un racconto su uno che riceve continuamente email dalla Apple, email tipo “il tuo nuovo iPhone ti aspetta” o “lo spazio di archiviazione iCloud è esaurito”, e allora per liberare un po’ di spazio, per alleggerire un po’ la memoria, decide di aprire una galleria pubblica in cui espone la galleria del suo iPhone. Solo che poi ci ripensa, si rende conto che i ricordi non sono opere d’arte, si sente in colpa per aver avuto un’idea da megalomane, che non va d’accordo con il suo modo di essere, con la sua timidezza, e decide di cominciare a scrivere. So che le parole e le immagini, intese come opere d’arte, sono profondamente diverse, ma se io fossi il protagonista di quel racconto, aprirei la galleria, sceglierei un mese, agosto, per capire che cos’è cambiato, se c’è qualcosa che adesso mi manca, come sono arrivato fin qui.

Nell’agosto del 2018 ho fotografato tre libri, ma ne ho letti solo due. Quello che non ho letto, o meglio, che non ho riletto, era Siete plantas, l’edizione spagnola di uno dei miei racconti preferiti di Buzzati, che ho comprato in una Fnac a Barcellona. Ci sono un video di Dzeko che segna un gol incredibile all’ultimo minuto contro il Torino, un altro di Scary Movie 3 in cui Leslie Nielsen saluta gli indiani, e poi diverse foto, due suore nella metro che hanno comprato un impianto stereo e una macchina del caffè, dei cartelli appesi nel corridoio di un ospedale, la copertina di un album di Calcutta, un selfie con una smorfia, le nuvole rosa e arancioni nel cielo di Roma.

Nell’agosto del 2019, ci sono un video in cui Adam Sandler parla con John Turturro, un altro in cui Maria Antonietta canta “Con gli occhiali da sole”, e poi una foto di Banderas in Dolor y gloria, un’altra della locandina di Mindhunter, un’altra ancora di un libro di Moretti, il fratello di Nanni, sulla letteratura americana. E poi ecco il panorama dalla cucina della casa nuova, le case bianchissime di Ostuni, il Mc sull’autostrada sotto un cielo azzurro, i selfie con le smorfie, le luci e i colori della prima in casa all’Olimpico, i cartelloni ironici delle agenzie funebri per strada che non mi hanno mai divertito davvero.

Nell’agosto del 2020 tornano i selfie, ma anche se avessi fatto delle smorfie bisognerebbe immaginarle, indovinarle, perché io e lei abbiamo i volti coperti a metà da una mascherina. C’è lei, appunto, mentre tiene in mano un’ecografia, mentre entra in piscina, in una masseria di Ostuni, con il costume intero che lascia intuire una nuova curva, c’è la sua pancia che in un video sembra muoversi, ma non è che sembra, si muove davvero. C’è una nuova casa nuova, ancora vuota, ancora tutta da immaginare. Ci sono due gol che ho fatto a Fifa, un cucchiaio e un tiro da fuori davvero incredibile. Ci sono dei libri, uno di Cercas e un altro di Tomine in cui lui racconta se stesso e a un certo punto si chiede: «Adesso, cosa cazzo farebbe un adulto?». Ecco, devo essermelo chiesto anch’io, e ogni tanto ancora me lo chiedo.

Nell’agosto del 2021 ci sono due sposi che girano in centro con una vespa sidecar, ma non siamo noi. C’è la foto di un cartello dei gelati al mare, e chissà quale abbiamo scelto di mangiare, poi. Ci sono due di spalle alla mostra del World Press Photo, due che giocano a ping pong, e quelli sì che siamo noi, con la mascherina abbassata, finalmente, ma comunque appesa alle orecchie. E soprattutto c’è una bambina che mangia uno yogurt, che gioca sdraiata sul tappeto nella sua cameretta, che morde i libri, che dorme spesso, che vorrebbe parlare, camminare, ma ancora non è in grado di farlo.

Nell’agosto del 2022 sono tornate le smorfie, tutte intere. C’è una foto di una scritta nella tv che dice che l’avversario si è ritirato mentre stavo giocando a fifa online contro di lui, chissà perché l’ho fatta. C’è la bambola gigante di Squid Game, prima di un libro di Chul-Han sulle non cose. C’è la foto di un cartello davanti a una spiaggia, c’è scritto Playa Sin Humo con accanto il simbolo del divieto di fumare. C’è una foto di Picasso disteso in spiaggia, con l’asciugamano intorno alla vita. C’è una foto dello stadio della Juve e poi subito dopo uno screenshot dell’app Free Now che mostra l’assenza dei tassisti a Torino. Ci sono i funko pop di Jim Carrey e di Jeff Daniels, trovati per caso in un centro commerciale. Ma a parte questo, in quasi tutte le foto, in quasi tutti i video, c’è quella bambina, che ha un anno in più, che cammina a bordo piscina, guarda Peppa Pig sul letto in albergo, si nasconde tra gli scaffali del supermercato, gioca a calcio da Decathlon, prende il suo primo aereo. Alcune delle sue prime volte, che in fondo sono anche le mie.

E io adesso non lo so come sarà il prossimo agosto, come saranno i prossimi. Posso immaginarlo, forse, cieli colorati, viaggi, smorfie, partite di calcio in tutte le forme, libri, film, serie, con quella bambina che diventa sempre più grande, che immagina, come faccio io ogni tanto, la sua vita come se fosse un romanzo di formazione. Come diceva qualcuno, adesso stiamo costruendo i nostri ricordi. Che saranno pronti, un giorno, per essere inventati.