Cultura | Editoria

Il talento di Mr. Bernardini

Identikit del 29enne italiano finito sulla stampa internazionale per aver "truffato" case editrici di mezzo mondo.

di Clara Mazzoleni

Quando pensiamo a un truffatore colto e camaleontico, nella nostra mente si materializza la faccia di Matt Damon, ovvero il Mr Ripley di Patricia Highsmith (nel film di Anthony Minghella del 1999). Oppure quella di Anna Delvey, la ragazza russa che ha fatto credere alla scena dell’arte contemporanea newyorkese di essere una ricca ereditiera, un personaggio così magnetico, anche per via dei look – gli occhialoni da vista indossati durante il processo, i capelli sfibrati, l’eye-liner nella foto del pezzo di The Cut – che è diventato il soggetto di una serie tv (in arrivo). “Fake it until you make it”, si dice: lusso, vacanze da sogno, una vita al di sopra delle proprie possibilità, l’impagabile soddisfazione che ti dà capire che per intortare i ricchi basta molto poco, ovvero far finta di essere come loro (non è poi così difficile, non sembrano forse tutti uguali?). Da qualche giorno, grazie al New York Times, abbiamo scoperto che a queste facce se ne potrebbe aggiungere una, quella di Filippo Bernardini, 29 anni, impiegato nell’ufficio diritti della casa editrice Simon & Schuster Uk, accusato di aver «impersonato, defraudato e tentato di frodare centinaia di individui» per più di 5 anni, ottenendo nel frattempo centinaia di manoscritti inediti. Un orgoglio tutto italiano, che corona un 2021 in cui il nostro Paese ha trionfato in ogni campo.

Catturato dall’Fbi all’aeroporto John F. Kennedy, dov’era appena atterrato, Mr Bernardini è stato accusato di frode telematica e furto d’identità aggravato presso la Corte Distrettuale degli Stati Uniti. L’arresto chiude un caso di phishing nell’editoria che andava avanti da anni (ne avevamo già parlato qui) ma ciò che rendeva la truffa davvero singolare era proprio che non si capiva il motivo per cui questo misterioso personaggio cercasse di rubare manoscritti inediti, in un mondo, come quello dell’editoria, in cui guadagnare soldi veri – normalmente o barando – è praticamente un miracolo. Insomma, c’è lo scammer, la truffa, l’abilità, il talento camaleontico di farsi scambiare per qualcun altro, ma manca la parte delle camicie di lino e delle vacanze in barca, insomma manca tutta la parte di coolness. Cosa se ne faceva Mr Bernardini di tutti questi libri inediti? Li leggeva?

Secondo l’accusa, per mettere le mani sui manoscritti, Mr Bernardini avrebbe inviato e-mail impersonando persone reali che lavorano nel settore dell’editoria – un editore specifico, per esempio – utilizzando indirizzi e-mail falsi. Utilizzava nomi di dominio leggermente modificati come penguinrandornhouse.com invece di penguinrandomhouse.com, mettendo una “rn” al posto di una “m”. L’accusa ha affermato che Bernardini aveva registrato più di 160 domini Internet fraudolenti che impersonavano professionisti e aziende dell’editoria. Bernardini ha lasciato tracce online, omettendo il suo cognome sui suoi account di social media, come Twitter e LinkedIn, dove ha descritto una «ossessione per la parola scritta e le lingue». Secondo il suo profilo LinkedIn, ha conseguito la laurea in lingua cinese presso l’Università Cattolica di Milano, e in seguito ha lavorato come traduttore italiano per il libro di memorie dell’autore di fumetti cinese Rao Pingru, La nostra storia. Ha anche conseguito un master in editoria presso l’University College di Londra. La sua passione? «Garantire che i libri possano essere letti e apprezzati in tutto il mondo e in più lingue».

A 29 anni, Bernardini sapeva tradurre dal cinese, dal coreano e dallo svedese, conosceva perfettamente il mondo editoriale e le sue dinamiche, mostrandosi sempre sul pezzo. Viene da chiedersi perché non abbia voluto tentare di fare carriera contando semplicemente sul suo ottimo curriculum e sue notevoli skill. Gli attacchi di phishing sono stati così tanti e di vasta portata, colpendo professionisti dell’editoria negli Stati Uniti, in Svezia e a Taiwan, tra gli altri Paesi, che alcuni hanno affermato che non potevano essere opera di una sola persona. Viene da chiedersi, se è stato così bravo, perché non abbia cercato di crescere partendo dalla posizione che ricopriva da Simon & Schuster, una casa editrice importante. Come sottolinea Eva Ferri, l’editor italiana di e/o ed Europa Editions che a Londra ci vive, il nostro non se la doveva passare troppo bene: «Una posizione come la sua viene pagata dalle 18 alle 24mila sterline l’anno, che significa, a Londra, vivere con diversi coinquilini e non poter neanche uscire a cena. Si parla di alti livelli di frustrazione, soprattutto per un immigrato».

Ma a far deviare le ipotesi dalla pista economica è il fatto che in tutti gli anni in cui è stato attivo Bernardini non ha preso di mira soltanto autori di alto profilo come Margaret Atwood o Ethan Hawke ma anche raccolte di storie e opere di autori esordienti. Quando i manoscritti sono stati rubati con successo, nessuno sembra essere apparso sul mercato nero o sul dark web. Le richieste di riscatto non si sono mai concretizzate. Chi era, allora, Filippo Bernardini? Un esaurito che reagisce ai livelli di pressione altissimi e allo stipendio bassissimo lavorando non stop, 24 h su 24, per truffare tutti? Un poveretto che si sentiva isolato e aveva cercato di consolarsi con uno strano passatempo? L’ultima persona realmente e sinceramente appassionata di libri rimasta nel mondo? Berardini si difenderà (al momento dell’arresto non aveva un avvocato) dicendo che cercava di ottenere i manoscritti per uso personale. «Se penso alle persone nella sua posizione provo più che altro comprensione e tenerezza, forse il suo sogno era fare il traduttore e non ha trovato altro modo», dice sempre Eva Ferri aggiungendo che ogni anno su Amazon vengono pubblicati un milione e mezzo di libri, non c’è nessun controllo sulle cose che vengono pubblicate su tanti canali, «quindi chissà quanti Filippi Bernardini ci saranno e ci sono, è pieno di situazioni ambigue in giro».

Le mail che mandava agli editori iniziavano sempre nello stesso modo, «Buongiorno, Spero di trovarvi bene», il tono era eccessivamente cordiale e anche un po’ sottomesso, ricco di «scusate se vi disturbo». Ci è stata girata una mail in cui si prostrava e riassumeva il suo cv «mi scusi se non mi ero presentato, avevo fatto una prova di traduzione per voi quattro anni fa (…). Mi scusi ancora per il disguido e il disagio causato, errore mio, ed ovviamente capisco che tramite mail è difficile ricordarsi delle persone».  E alla fine della mail: «Per quanto riguarda le proposte di traduzione, spero di poter collaborare con voi un giorno, ma se le ritiene superflue e per voi è un problema, la prego di farmelo sapere». Un’assistente dell’agenzia di talenti e media WME ha riferito a Vulture che si è resa conto che un’e-mail presumibilmente del suo capo era fraudolenta perché il suo capo non avrebbe mai scritto “per favore” o “grazie”.

Nella mail che abbiamo letto, però, si scusava perché gli era stato fatto notare che continuava a bombardare di proposte editoriali la casa editrice senza essersi mai presentato, «la cosa che ci ha incuriositi e ci ha fatto decidere di incontrarlo su Zoom era che proponeva dei buoni libri o dei titoli molto caldi, che già stavamo valutando in quel momento – ci eravamo chiesti: ma come fa a sapere così tante cose? Un suggeritore in più avrebbe fatto comodo, soprattutto per una casa editrice che non ha scout. E poi c’era la curiosità di conoscere un genio del genere: interrogato su come avesse fatto a imparare così tante lingue, aveva raccontato di aver imparato lo svedese grazie a un suo amico o fidanzato madrelingua con cui abitava a Londra e con cui “guardava la televisione in svedese”, me l’ha venduta così. Di solito i traduttori, essendo fuori dai giri, propongono titoli già usciti o troppo di nicchia, è raro che siano così dentro le dinamiche editoriali, le relazioni con gli agenti e gli scout. Facendo lui l’ufficio diritti di una grossa casa editrice inglese, non sembrava così assurdo però, lui stesso aveva ammesso di sapere tutto quello che sapeva grazie agli scambi con i colleghi. Insomma mi è sembrato un tipo strano ma non più strano di molti altri», ci ha detto una direttrice editoriale italiana che preferisce rimanere anonima e che ha avuto diversi contatti con Bernardini.

Nell’ultimo incontro su Zoom, avvenuto nel 2021, però, Bernardini non aveva fatto una buona impressione alla nostro fonte: era un tipo “strano”. Ma strano in che senso? Ho anche parlato con delle persone che hanno frequentato l’università con lui a Londra tra il 2015 e il 2016, mentre faceva il master in editoria. «Era una persona chiassosa, a tratti fuori luogo». Parlava troppo, «non si teneva un cecio in bocca, in senso negativo». Un’altra ragazza che l’ha conosciuto mi ha detto: «Era un attention seeker, lo trovavo molto antipatico». Di aspetto sembrava invece piuttosto normale, «non mi sarei voltata per la strada a guardarlo, no». E invece adesso, tutti lo farebbero: perché Filippo Bernardini è diventato famoso. Chissà, forse era questo il suo obiettivo. Lo stesso di ogni mitomane, o forse della maggior parte delle persone ambiziose: fare qualcosa che buchi la superficie piatta e monotona della normalità e dell’anonimato, qualcosa di speciale, per riuscire finalmente a diventare il protagonista della propria vita o, ancora meglio, di una serie tv sulla propria vita.