Attualità

L’attrice che sparava alla gente

Vita spericolata di Felicia Pearson: spacciatrice, omicida e attrice da The Wire all'ultimo film di Spike Lee.

di Nicolò Porcelluzzi

Chi_Raq-108255155-large Nelle sale americane il quattro dicembre è stato il giorno di Chi-raq. Il film, una parabola satirica sulla violenza nelle strade di Chicago, sta già facendo parlare di sé, e non solo per essere il primo lungometraggio originale distribuito da Amazon Studios; c’è già chi lo descrive come la riscossa di Spike Lee (sul Guardian Jordan Hoffman lo ha definito: «un capolavoro di mezza età»). Ma Chi-raq non sarà un capitolo importante solo per Spike Lee: nel cast, oltre a Jennifer Hudson, Samuel L. Jackson, John Cusack, Nick Cannon e altri, è compresa un’attrice la cui intera carriera dipende da questo film, o quasi. Felicia Pearson.

Barack Obama non ha dubbi: Omar è il suo personaggio preferito di The Wire. Risposta lecita e non troppo impegnativa. Certo, che il Presidente degli Stati Uniti indichi uno spacciatore pluriomicida omosessuale non è poi così scontato, ma Omar è un po’ il preferito di tutti. Se, invece, il tuo personaggio preferito è Snoop, beh, c’è più di qualche probabilità che tu sia uno squilibrato. Stephen King l’ha definita «forse la più terrificante antagonista femminile mai apparsa sugli schermi».

Il ruolo di Snoop Pearson è interpretato da Felicia “Snoop” Pearson (1980), figlia di due tossicodipendenti morti nei primi anni Ottanta. Nata prematura, tre libbre di creatura, Pearson veniva alimentata con un contagocce. Viene adottata da una coppia di anziani, Levi e Cora Pearson, elettricista lui, impiegata del centro adozioni lei. I due la crescono “con la cinta e la Bibbia”, senza farle mancare — a detta dell’interessata — un’infinita dose di affetto. L’infanzia relativamente felice di Pearson, tra Bibbia&Cintura e buoni voti a scuola, finisce nel 1992. Levi Pearson, 81 anni, muore. Felicia Pearson dimentica la scuola e inizia a spacciare (non serve raccontare la trama di The Wire, ma tocca mordersi la lingua per non evidenziare parallelismi tra le varie fasi della sua vita e quella di qualche personaggio della serie).

Come in seconda superiore si sosteneva che il vero protagonista dei Promessi Sposi fosse il Seicento, la vera protagonista di The Wire è Baltimora. La serie esplora tutti i diversi livelli in cui una città è stratificata: carcere, scuola, tribunale, municipio, questura, eccetera. David Simon, l’autore, l’ha ripetuto più volte: queste istituzioni ricoprono il ruolo delle divinità nelle tragedie greche. La loro inerzia mette in moto gli ingranaggi in cui gli esseri umani, volenti o nolenti, finiscono per essere stritolati. I corner, letteralmente gli angoli delle strade, rappresentano probabilmente il set più verosimile della serie. Inseriti ripetutamente nella trama, questi spazi pubblici diventano anche, in un certo senso, la casa dello spettatore.

La vera casa di Snoop, negli anni giovanili, è stata l’intersezione tra East Oliver Street e North Montford. Palazzi abbandonati e negozi sgarrupati. East Baltimore. Il secondo — il più importante — turning point nella vita di Felicia Pearson è da rintracciare nel 27 aprile del 1995. Limitiamoci a prendere atto che quella sera per le strade di Baltimora si sia scatenata una rissa e Felicia Pearson, sentendosi minacciata da una (presunta) spranga di ferro, abbia sparato nel mucchio ferendo a morte Okia Toomer, quindici anni. Le due non si erano mai viste prima.

In un video Pearson lo battezza «probabilmente il giorno peggiore della mia vita». E in un lapsus tanto ingenuo quanto agghiacciante, aggiunge: «e anche quello della sua vita». Domanda di buon senso: il giorno in cui moriamo è il giorno peggiore della nostra vita? Comunque: dopo essere stata identificata in mezzo ad altri sospetti in una americanissima lineup (quella dei film), Pearson viene giudicata colpevole di omicidio di primo grado e possesso indebito d’armi. Finisce nel Maryland Correctional Institution for Women di Jessup, la stessa struttura che ha ospitato le riprese di The Wire.

TV PEARSONIn un film il carcere è il posto dove si impara a tacere al momento giusto, scendere a compromessi sensati quando necessario. Nella realtà, l’esperienza della diretta interessata rientra esattamente nel copione: «La prigione rende intelligenti». Si vedrà più avanti se questa sua massima si è poi concretizzata. Ma intelligenti sono state sicuramente le guardie quando, una volta venute a sapere che la madre della vittima sarebbe entrata a Jessup per farsi tre mesi, dirottarono Pearson in custodia cautelare. Scene da film risparmiate. Anzi, no. Le due si incontrano nella cappella del carcere e sembrano riappacificarsi (Miss Toomer parla quasi di un’esperienza extrasensoriale: intesa spirituale che si dissolverà dieci anni dopo, vedendo l’assassina di sua figlia recitare la parte di un’assassina).

La detenzione di Felicia viene alleggerita dal supporto morale di Uncle Lonly, apostrofato “Uncle”, un amico che la motiva a rigare dritto e studiare per il diploma. Cosa potrebbe succedere in un film? Uncle Lonly è coinvolto in certi traffici e un giorno viene ucciso in uno scambio finito male. Felicia strappa la cabina telefonica dalla parete. È stufa di questa vita. In un film Felicia sarebbe costretta in un primo piano, lo sguardo nel vuoto, intorno a lei la luce al neon, poi il buio, poi la luce. Una notte cancellata da un unico pensiero: la mia vita deve cambiare. Nella realtà, secondo la protagonista, la scena si è svolta nella stessa maniera.

Una domenica sera del 2004 un incontro le cambia la vita. Al bar

Dopo cinque anni di carcere, nel 2000, Pearson esce da Jessup grazie alla buona condotta e al lavoro svolto all’interno della struttura. Un film potrebbe concludersi con un monologo in cui Felicia, vestita di verde Starbucks, racconta come si può cambiare vita versando un mocaccino in un bicchiere di cartone. Ma la sua vita è sceneggiata da un autore più esigente (e meno buonista).

La fedina penale le fa perdere due lavori in rapida successione e Felicia Pearson torna nell’unico posto in cui non ha bisogno di presentare il curriculum. Passa qualche anno così, same shit different day, fino a una domenica sera del 2004 in cui un incontro le cambia la vita. È al bar (in un film: interno, luci basse, lungo bancone butterato dal tempo, dalle casse esce Candy Shop) e, così, per svoltare la serata, Felicia attacca bottone con un tizio che la sta fissando.

Obama e tutti gli altri saranno contenti: Michael Kenneth Williams, aka Omar, rimane sconvolto dall’intensità di questa “ragazzina” (Snoop non dimostra i suoi anni da una quindicina d’anni) e decide di portarla sul set di The Wire. Commento della diretta interessata: «L’ultima volta che ho visto così tanti bianchi ero in un’aula di tribunale».

In un film, la protagonista va al primo provino, biascica qualche battuta — inibita dalla sensazione di non essere all’altezza — e rimane sorpresa dall’espressione folgorata del regista. Nella realtà è andata più o meno così. L’unica differenza è che Pearson non si è presentata al primo provino perché nel frattempo si trovava su una macchina rubata, direzione NYC. Ma sono dettagli.

La stragrande maggioranza di interviste a Snoop è impregnata di una certa retorica, la retorica del cambiamento, la possibilità di una rinascita, un caposaldo dell’ethos americano. Tuttavia, malgrado abbia iniziato a recitare in The Wire, Snoop non può smettere di spacciare da un giorno all’altro. 2005. Per la strada, Snoop è una pusher “mid-level”: davanti alle telecamere, lo stesso. In questa fase della sua vita la differenza tra realtà e finzione diventa una questione di illuminazione artificiale. A un certo punto, rispettando uno scrupolo più pratico che etico, Snoop capisce che è arrivato il momento di dare un taglio alla vecchia occupazione; spacciare è un mestiere che prende troppo tempo, un mestiere dove la reperibilità dev’essere garantita h24 e questo mette in crisi la qualità della sua performance nella serie. Per abbandonare la sua realtà incasinata deve buttarsi nella versione fittizia della sua realtà incasinata.

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2008, finisce The Wire. 2008, prima ricaduta: Snoop rifiuta di testimoniare al processo a carico di Steven Lashley, accusato di omicidio e altre cose successe in un night, e viene arrestata “on a minor drug charge”. La cosa si risolve velocemente. Inizia però la crisi d’identità, creata in primo luogo dai media. È semplice, dipende da chi ha il microfono dalla parte del manico: se si tratta di un giovane democratico, magari fan della serie, l’accento verrà posto sulle differenze tra la Snoop di The Wire e Felicia “Snoop” Pearson («Non spari alla gente, no? Sei più tranquilla? Vero?»). Se invece si tratta di un giornalista squalo in cerca di piccoli brividi, l’accento verrà imposto sulla crudissima aneddotica dell’attrice («Ci parli di quando avevi dieci anni e qualcuno ha scoccato una freccia nel ventre di un’amica incinta di tua madre?». Tutto vero).

E Snoop non si tira indietro. Al di là dei cliché, è obiettivamente cresciuta sulla strada e lì ha imparato ad arrangiarsi. Le interviste la strattonano da una parte all’altra. Snoop buona, Snoop cattiva. Video-interviste titolate Felicia “Snoop” Pearson: My life is like The Wire.  Si verificano anche cortocircuiti paradossali: quando le chiedono se la violenza descritta nella serie si manifesti su base quotidiana, nelle periferie di Baltimora, Pearson risponde «Sometimes, everyday». Tutti i giorni, a volte.

Di essere molto capace ad adattarsi alle occasioni gliel’ha detto anche il giudice. Nel 2011 infatti c’è stata una seconda recidiva, più seria di quella del 2008: Snoop — in mezzo ad altre 64 persone beccate da un’operazione inter-federale — viene accusata di spaccio di eroina (e favoreggiamento) e opta per l’ammissione di colpa. Quando richiede l’uscita per cauzione però, ecco cosa le dice John Addison Howard, nel nome della legge: «Ho visto gli episodi di The Wire in cui reciti. Sembri molto diversa da come ti mostri oggi». In pratica, non puoi uscire perché non mi fido di te. Cambi apparenza in continuazione. Evidentemente Snoop ha interiorizzato il famoso motto di Prop Joe: «Look the part, be the part, motherfucker».

Snoop si adatta alle situazioni, modificando l’abbigliamento quanto il linguaggio (lo facciamo tutti e non è furbizia, al massimo educazione: Snoop però, con i suoi modi, esaspera involontariamente questa ambiguità). Intervistata nel Larry King Live all’interno di Jessup (non come detenuta questa volta, come attrice tra detenute: è un bordello, vero?) aggiunge continuamente il suffisso «sir» a qualsiasi «yes». Ricorre a secchiate di «sir» e «madam» con diversi intervistatori. Quando parla di «Mr David Simon», «Mr Ed Burns», sottolinea tra le righe un certo grado di sottomissione: attenzione, è una questione di classe, non strettamente razziale (tra i mister c’è anche Mr Michael K Williams, per dire).

«Posso recitare altri ruoli. La gente mi deve solo dare la possibilità»

Cosa significa tutto ciò? Probabilmente che come attrice merita sicuramente più spazio. Ma di spazio non ce n’è. Qui ci viene incontro Urban Dictionary.

typecast: Presumere che un attore o un’attrice siano incapaci di interpretare un ruolo diverso da quello per cui sono diventati famosi. Un buon esempio è Matt Le Blanc. Diventato così famoso e tipico in Friends, è diventato difficile prendero sul serio in qualunque altro tipo di ruolo.

Già in un articolo del Washington Post del 2007, Teresa Wiltz paventava l’ombra del typecasting. E anche Snoop ne sembra consapevole: «Posso recitare altri ruoli. La gente mi deve solo dare la possibilità». Le possibilità però tardano ad arrivare; la bolla immobiliare le scoppia in faccia costringendola ad abbandonare la casa comprata con le risorse accumulate grazie alla serie. Snoop non ha nemmeno il tempo di abituarsi allo scampolo di futuro che la convivenza con la sua compagna e l’acquisto di un nido sembrano promettere: dal punto di vista professionale il vuoto è assoluto, il tempo è denaro, ed ecco arrivare il 2011 e l’accusa di spaccio. Certo, Snoop ne è uscita di nuovo e si è data pure al sociale. Ci sta provando, insomma. Citando da un’intervista con Michael K. Williams, Snoop non vuole tornare da dove viene, vuole andare avanti. Sa però che a ogni passo falso c’è chi la aspetta al varco.

Come nel 2011, quando alla notizia dell’arresto per spaccio un discreto numero di testate si è fiondato sulla storia. Il Baltimore Sun per esempio è andato a bussare ai demiurghi: David Simon, Ed Burns (Snoop lo adora, ricambiata) e il direttore del casting di The Wire, Pat Moran. Simon — è qualche anno che lo seguo e bisogna riconoscere che ne è oggettivamente e comprensibilmente ossessionato — riconduce la parabola di Snoop alla disgraziata war on drugs, una guerra più al sottoproletariato che altro (ne ha parlato anche alla Casa Bianca, per dire, intervistato da Obama). Il traffico di sostanze è uno dei pilastri di quella economia alternativa che, giorno per giorno, slabbra il tessuto sociale americano, sabotando la comunicazione tra le parti e — secondo Simon — la possibilità di giudicare.

L’industria dell’intrattenimento non è un posto accogliente per “quelli come” Snoop. Ed Burns è d’accordo, parla della carenza di alternative per guadagnarsi la pagnotta, parla di typecasting: quando si tratta di attori afroamericani, a Hollywood ci sono molti più talenti che ruoli. Pat Moran definisce la vicenda di Snoop una «American tragedy». È facile giudicare dalla poltrona, dice, per quello che so di lei è già un miracolo se cammina sui suoi piedi.

Infine, il 2015: partecipando a Same Difference, un documentario sulle discriminazioni interne alla comunità lesbica americana, Snoop ha deciso di impegnarsi anche su questo fronte. Il film racconta le infinite sfaccettature dell’orientamento sessuale, mostrando come ci si può trovare ingabbiati in forme incredibilmente rigide. A proposito,tornando al typecast: la situazione sembra migliorare di giorno in giorno. Dopo avere recitato nelle vesti di una prostituta sieropositiva vittima di un vampiro in borghese  in Da Sweet Blood of Jesus, un pastiche di Spike Lee decisamente dimenticabile, qualcosa sembra essersi sbloccato. Oltre al ruolo di Dania in Chi-raq, comparirà in Respect the shooter di French Montana. Il 2016 sarà l’anno del suo secondo libro autobiografico e di un reality show con la sua compagna: un passo che ha tutta l’aria di essere quello decisivo. Potrebbe darle lo slancio o farla cadere dal trampolino.