2008, finisce The Wire. 2008, prima ricaduta: Snoop rifiuta di testimoniare al processo a carico di Steven Lashley, accusato di omicidio e altre cose successe in un night, e viene arrestata “on a minor drug charge”. La cosa si risolve velocemente. Inizia però la crisi d’identità, creata in primo luogo dai media. È semplice, dipende da chi ha il microfono dalla parte del manico: se si tratta di un giovane democratico, magari fan della serie, l’accento verrà posto sulle differenze tra la Snoop di The Wire e Felicia “Snoop” Pearson («Non spari alla gente, no? Sei più tranquilla? Vero?»). Se invece si tratta di un giornalista squalo in cerca di piccoli brividi, l’accento verrà imposto sulla crudissima aneddotica dell’attrice («Ci parli di quando avevi dieci anni e qualcuno ha scoccato una freccia nel ventre di un’amica incinta di tua madre?». Tutto vero).
E Snoop non si tira indietro. Al di là dei cliché, è obiettivamente cresciuta sulla strada e lì ha imparato ad arrangiarsi. Le interviste la strattonano da una parte all’altra. Snoop buona, Snoop cattiva. Video-interviste titolate Felicia “Snoop” Pearson: My life is like The Wire. Si verificano anche cortocircuiti paradossali: quando le chiedono se la violenza descritta nella serie si manifesti su base quotidiana, nelle periferie di Baltimora, Pearson risponde «Sometimes, everyday». Tutti i giorni, a volte.
Di essere molto capace ad adattarsi alle occasioni gliel’ha detto anche il giudice. Nel 2011 infatti c’è stata una seconda recidiva, più seria di quella del 2008: Snoop — in mezzo ad altre 64 persone beccate da un’operazione inter-federale — viene accusata di spaccio di eroina (e favoreggiamento) e opta per l’ammissione di colpa. Quando richiede l’uscita per cauzione però, ecco cosa le dice John Addison Howard, nel nome della legge: «Ho visto gli episodi di The Wire in cui reciti. Sembri molto diversa da come ti mostri oggi». In pratica, non puoi uscire perché non mi fido di te. Cambi apparenza in continuazione. Evidentemente Snoop ha interiorizzato il famoso motto di Prop Joe: «Look the part, be the part, motherfucker».
Snoop si adatta alle situazioni, modificando l’abbigliamento quanto il linguaggio (lo facciamo tutti e non è furbizia, al massimo educazione: Snoop però, con i suoi modi, esaspera involontariamente questa ambiguità). Intervistata nel Larry King Live all’interno di Jessup (non come detenuta questa volta, come attrice tra detenute: è un bordello, vero?) aggiunge continuamente il suffisso «sir» a qualsiasi «yes». Ricorre a secchiate di «sir» e «madam» con diversi intervistatori. Quando parla di «Mr David Simon», «Mr Ed Burns», sottolinea tra le righe un certo grado di sottomissione: attenzione, è una questione di classe, non strettamente razziale (tra i mister c’è anche Mr Michael K Williams, per dire).
«Posso recitare altri ruoli. La gente mi deve solo dare la possibilità»
Cosa significa tutto ciò? Probabilmente che come attrice merita sicuramente più spazio. Ma di spazio non ce n’è. Qui ci viene incontro Urban Dictionary.
typecast: Presumere che un attore o un’attrice siano incapaci di interpretare un ruolo diverso da quello per cui sono diventati famosi. Un buon esempio è Matt Le Blanc. Diventato così famoso e tipico in Friends, è diventato difficile prendero sul serio in qualunque altro tipo di ruolo.
Già in un articolo del Washington Post del 2007, Teresa Wiltz paventava l’ombra del typecasting. E anche Snoop ne sembra consapevole: «Posso recitare altri ruoli. La gente mi deve solo dare la possibilità». Le possibilità però tardano ad arrivare; la bolla immobiliare le scoppia in faccia costringendola ad abbandonare la casa comprata con le risorse accumulate grazie alla serie. Snoop non ha nemmeno il tempo di abituarsi allo scampolo di futuro che la convivenza con la sua compagna e l’acquisto di un nido sembrano promettere: dal punto di vista professionale il vuoto è assoluto, il tempo è denaro, ed ecco arrivare il 2011 e l’accusa di spaccio. Certo, Snoop ne è uscita di nuovo e si è data pure al sociale. Ci sta provando, insomma. Citando da un’intervista con Michael K. Williams, Snoop non vuole tornare da dove viene, vuole andare avanti. Sa però che a ogni passo falso c’è chi la aspetta al varco.
Come nel 2011, quando alla notizia dell’arresto per spaccio un discreto numero di testate si è fiondato sulla storia. Il Baltimore Sun per esempio è andato a bussare ai demiurghi: David Simon, Ed Burns (Snoop lo adora, ricambiata) e il direttore del casting di The Wire, Pat Moran. Simon — è qualche anno che lo seguo e bisogna riconoscere che ne è oggettivamente e comprensibilmente ossessionato — riconduce la parabola di Snoop alla disgraziata war on drugs, una guerra più al sottoproletariato che altro (ne ha parlato anche alla Casa Bianca, per dire, intervistato da Obama). Il traffico di sostanze è uno dei pilastri di quella economia alternativa che, giorno per giorno, slabbra il tessuto sociale americano, sabotando la comunicazione tra le parti e — secondo Simon — la possibilità di giudicare.
L’industria dell’intrattenimento non è un posto accogliente per “quelli come” Snoop. Ed Burns è d’accordo, parla della carenza di alternative per guadagnarsi la pagnotta, parla di typecasting: quando si tratta di attori afroamericani, a Hollywood ci sono molti più talenti che ruoli. Pat Moran definisce la vicenda di Snoop una «American tragedy». È facile giudicare dalla poltrona, dice, per quello che so di lei è già un miracolo se cammina sui suoi piedi.
Infine, il 2015: partecipando a Same Difference, un documentario sulle discriminazioni interne alla comunità lesbica americana, Snoop ha deciso di impegnarsi anche su questo fronte. Il film racconta le infinite sfaccettature dell’orientamento sessuale, mostrando come ci si può trovare ingabbiati in forme incredibilmente rigide. A proposito,tornando al typecast: la situazione sembra migliorare di giorno in giorno. Dopo avere recitato nelle vesti di una prostituta sieropositiva vittima di un vampiro in borghese in Da Sweet Blood of Jesus, un pastiche di Spike Lee decisamente dimenticabile, qualcosa sembra essersi sbloccato. Oltre al ruolo di Dania in Chi-raq, comparirà in Respect the shooter di French Montana. Il 2016 sarà l’anno del suo secondo libro autobiografico e di un reality show con la sua compagna: un passo che ha tutta l’aria di essere quello decisivo. Potrebbe darle lo slancio o farla cadere dal trampolino.
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