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Il Guardian spiega come M5S e Lega hanno preso il potere grazie a Facebook

I dati di un report realizzato dal MediaLab di Pisa, insieme all’Università di Milano, mostrano come i contenuti Facebook siano stati cruciali per i risultati politici dei partiti cosiddetti populisti oggi al governo. Il Guardian, che sta dedicando una serie di articoli al populismo europeo, ha descritto i risultati di uno studio che analizza i numeri relativi al coinvolgimento delle migliaia di post scritti, in campagna elettorale, dei sei principali leader della scena politica italiana: la quasi totalità dei 25 filmati, dirette e foto maggiormente diffuse è riconducibile al segretario della Lega Matteo Salvini o al capo politico dei Cinque Stelle Luigi Di Maio.

Il dominio social degli attuali vicepremier è certificato dai 7,8 milioni di like e condivisioni ottenuti dai loro post nei mesi precedenti il voto. Molto distante Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia, con i suoi 2,6 milioni, oppure l’ex premier Matteo Renzi (1,5). Il professor Gianpietro Mazzoleni, tra gli autori dello studio, non si mostra stupito delle eccellenti performance comunicative dei partiti anti-establishment, visto che su Facebook e affini «è possibile parlare alla pancia delle persone molto meglio che sui grandi media». I video di Di Maio si differenziano per tono e bersaglio degli attacchi, rivolti principalmente al panorama mediatico e alla corruzione delle altre forze politiche. Tra i 25 post citati, il nome dell’allora segretario del Partito democratico compare una sola volta, quando l’immagine della sua torta di compleanno gli fruttò 63.000 interazioni.

Oltre al M5S, è stata la Lega a capitalizzare la frustrazione: hanno avuto un ruolo fondamentale in questo i filmati di Salvini, come quello trasmesso da un centro di accoglienza, dove il segretario leghista sosteneva che «gli italiani pagano perché i clandestini vogliono mangiare ed esser lasciati in pace». Anche Paolo Gerbaudo, del King’s College di Londra, mette l’accento sulla comunicazione del capo del partito: «Esegue streaming live quasi ogni giorno, trasmette un senso di autenticità». Gli accademici guardano da tempo alla relazione tra movimenti populisti e social network. Alcuni politologi ritengono che questi ultimi incoraggino ulteriormente i leader populisti a puntare sulla retorica rabbiosa, semplificata e che mira a dividere; quel che è accaduto in Brasile o India, dove decine di notizie false sono diventate virali grazie ai messaggi diffusi su WhatsApp, lo testimonierebbe. Altri ricercatori criticano invece le contromisure adottate dalle stesse aziende, soprattutto il cambiamento dell’algoritmo introdotto da Facebook a gennaio; nelle intenzioni, avrebbe dovuto «avvicinare le persone alla politica e consentirgli di essere maggiormente coinvolte». Come dimostra però il caso dei Gilet gialli francesi, organizzatisi proprio sui social, la novità ha avuto esiti diametralmente opposti agli auspici.