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E se Fast & Furious 9 fosse veramente un film importante?

Il nuovo capitolo della saga ha il compito di salvare l'industria cinematografica dalla pandemia, ma non va visto solo per questo.

di Francesco Gerardi

Nell’ultimo capitolo della saga di Fast & Furious (F9), “la Famiglia” si riunisce per affrontare la missione più impossibile: salvare il cinema, nel senso di quel luogo in cui dal 1895 al 2020 (tra alti e bassi, certo) si è andati a vedere i film. Gli eroi più potenti di Hollywood sono stati sconfitti uno dopo l’altro: Warner Bros. non s’è ripresa dalla batosta Tenet e ancora si chiede come le è venuto in mente di dare ascolto a quel luddista di Christopher Nolan; Disney è in coma dopo il mozzico della Vedova Nera, cioè di quella serpe in seno di Scarlett Johansson, e manco Shang-Chi pare riuscire a svegliarla; Legendary è arrivata in soccorso dei superamici, ma alla fine Kong e Godzilla sono riusciti solo a evitare il peggio, ora uno se ne è tornato all’Isola del Teschio e l’altro in fondo al mar e chissà quando si faranno rivedere; di Wonder Woman 1984 non parliamone nemmeno, c’è Patty Jenkins con il “cuore spezzato”. Tra noi e il dominio delle piattaforme streaming resta soltanto lui: Dominic Toretto della Universal. Smanicato bianco come il mutandone rosso di Superman, crocifisso al collo come la bat-cintura ai fianchi del Cavaliere Oscuro, espressioni facciali quante quelle che Sergio Leone contava per Clint Eastwood – due, una con il cappello e una senza cappello – con la differenza che Vin Diesel non porta il cappello. Davanti al mostro digitale, Dom alza lo sguardo quel tanto che basta a far capire al pubblico che sta alzando lo sguardo e sibila: «Solo al cinema». E il mostro arretra.

Per quel che dice dell’industria cinematografica post (siamo ottimisti) Covid-19, F9 è il film più importante uscito negli ultimi due anni. Nel mezzo del dibattito su quale sia la distribuzione giusta per l’era nuova, F9 chiarisce un punto che già altri avevano difeso (il sequel di A Quiet Place, Old, Wrath of Man e Free Guy – Eroe per gioco): solo al cinema si può (ancora) fare, 700 milioni di dollari al botteghino mondiale in 31 giorni di distribuzione dovrebbero bastare a convincere gli scettici. E si potrebbe dire che è facile parlare da dentro uno dei più grandi franchise della storia del cinema, ma è proprio guardando dentro che si capisce la fatica che si fa a tenere in piedi la baracca: sì, alla regia torna Justin Lin, ma per la prima volta da Tokyo Drift il film non lo scrive Chris Morgan; sì, tornano Sun Kang, Helen Mirren e Charlize Theron, si aggiunge John Cena ma non c’è Dwayne Johnson che, a quanto pare, si è stancato del capofamiglia Vin Diesel ed è a quest’ultimo che si riferisce quando su Instagram parla di colleghi candy asses; sì, Vin Diesel ha sempre un gran fisico, ma cominciamo a capire che uno a 54 anni non ne può più di stare a dieta e andare in palestra. Paul Walker è morto e il problema delle famiglie vere è proprio questo: prima o poi dei pezzi si perdono, non c’è niente da dire né da fare.

Fast & Furious è come i Rolling Stones: ha attraversato il tempo cioè le mode, prima adeguandosi e poi superando, lasciando una traccia di sé in ogni momento e luogo della cultura popolare nel quale si è fermato. Così come si amano gli Stones per la paraculaggine che però gli può essere riconosciuta solo conoscendo il contesto (quindi il momento, il luogo), allo stesso modo la saga di Fast & Furious diventa più di sé stessa solo se considerata nella sua interezza, che è l’interezza di un decennio di mode cinematografiche. Fast Five è il film che segna la fine della saga com’era stata fino a quel momento (piloti spericolati, macchine pimpate e corse clandestine) e la porta a essere un’altra cosa, ma soprattutto è il film che riconosce a Bad Boys II e a Michael Bay il ruolo di pietre di paragone per ogni film e regista d’azione degli anni a venire (e così sarà, infatti). Fast & Furious 6 segna la definitiva istituzionalizzazione del genere spy action (o action spy, a seconda delle quantità degli ingredienti), la fine di una rivoluzione che era cominciata con Jason Bourne ed era proseguita con il reboot di James Bond. Furious 7 è del 2015, che è l’anno di Avengers: Age of Ultron, cioè dei cinecomics che smettono di essere la cosa nuova. Dal settimo capitolo della saga, Fast & Furious diventa quello che è oggi.

In F9 Roman è convinto che lui e il resto della famiglia siano in realtà invincibili (cioè supereroi, che però non è una parola che qui si può dire) perché non è possibile vivere di scazzottate e incidenti automobilistici senza avere nemmeno un graffio come testimonianza. Fa ridere perché è vero, e perché è una presa in giro ai supereroi Marvel che non sanguinano mai, e perché è la conferma che Fast & Furious è la cronistoria di mode che non vanno prese troppo sul serio (le mode, di sicuro, ma manco la cronistoria delle stesse). «Sei un supercoglione», dice Tej a Roman che è convinto di essere un superuomo, e in fondo anche a noi che ormai a certe cose ci siamo talmente abituati da considerarle spiegazioni accettabili.

Uno degli inseguimenti presenti nel nuovo capitolo di Fast & Furious

Non che Roman abbia torto: F9 è un film di supereroi fatto e finito. Lo è nei rimandi: nel dispositivo Ares che è il doomsday device di tutti i fumetti e film di supereroi, è il Tesseract del primo Avengers ed è l’Infinity Gauntlet dell’ultimo; in Cipher/Charlize Theron chiusa in un cubo, trickster imprigionato come lo era Loki nella fortezza volante dello S.H.I.E.L.D; lo è in Jakob/John Cena, il Winter Soldier per il Capitan America di Dom/Vin (Cena next big thing del cinema d’azione? The Suicide Squad, F9 e adesso la serie tv su Peacemaker). Lo sarebbe pure nel signor Nessuno/Kurt Russel, che altri non è che Nick Fury/Samuel L. Jackson, ma meglio non dirlo perché non so quanto i due attori gradirebbero l’accostamento. F9 è un film di supereroi anche nell’autocompiaciuta goffaggine con cui gestisce una mitologia ormai troppo ampia per non perderne di vista un pezzo o l’altro: Han è morto? No, non lo è. E come? Lo ha salvato il signor Nessuno. Sì, ma come? Che vuol dire come: salvandolo. Dom ha un fratello, che però è talmente caucasico che è biondo con gli occhi azzurri mentre il resto della famiglia è latino-americana: come si spiega? I Toretto hanno una discendenza piuttosto mista, ci spiega Cipher, e tutto sommato quanto si può prendere sul serio una scienza cominciata con un monaco che studia piante di piselli? Fast & Furious sta tutto qui: si può prenderlo sul serio e sbagliare, oppure lo si può prendere come va preso e ricordarsi, quando si scopre la discendenza piuttosto mista dei Toretto, di quella puntata di Louie in cui si viene a sapere che Louis C.K è mezzo messicano, ha una moglie nera e due figlie bianche. E fa ridere, questa cosa. E, fidatevi, delle incongruenze della mitologia è meglio ridere che prenderle sul serio come fanno i fumetti di supereroi. A meno che non vogliate che la moda duri in eterno e nasca un sottogenere di film appositamente pensato per sistemare ciò che non torna: leggere Crisi sulle terre infinite della DC per capire la minaccia alla quale si va incontro a fare i precisini.

F9 è un film di supereroi ma più creativo nelle soluzioni pur essendo un capitolo minore di una saga che ha contribuito a ridefinire i canoni dell’action movie. «Forse il primo grande film dell’età post-umana», fu la stupenda definizione che Richard Corliss del Time diede a Fast Five. Ed è così, come prima e più di prima: ormai le macchine che volano sopra i dirupi sono la cosa ovvia, la novità sta nell’usarle come armi da lancio o come reti di salvataggio, la stranezza sta negli inseguimenti in cui per seminare il nemico si usano interi negozi di lavatrici e grossi pezzi della rete d’illuminazione di una città. «Questa è nuova», sottolinea Letty a un certo punto, che è quello che ci si aspetta di dire in sala durante il film: vai a capire di chi è il merito, del film o di chi lo guarda, quando effettivamente questa frase si forma nella testa, esce dalla bocca. Certo, stavolta il film è troppo lungo pur essendo lungo quanto gli altri: probabile sia così perché si capisce subito che Jakob è un figliol prodigo, e le auto-evidenze son difficili da spiegare. E infatti alla fine la spiegazione non viene data affatto, ed è per questo che Chris Morgan è più bravo di Daniel Casey (lo sceneggiatore di questo capitolo assieme a Lin).

Questa è nuova: un razzo attaccato a una macchina. O forse no, forse è un omaggio alla Opel RAK degli anni ’20, il primo di tutti i publicity stunt con dentro le automobili, idea di Fritz von Opel in persona. In F9 c’è un razzo attaccato a una macchina. Potrebbe essere che la saga ci stia segnalando l’arrivo al confine, il superamento del limite: oltre questo, oltre un’automobile nello spazio aperto, ci sono solo Thanos e Darkseid. Magari il prossimo film andrà così. Potrebbe essere anche, però, che F9 ci stia avvertendo che “è qui che la frontiera si chiude”. Magari oltre F9 c’è una cosa ancora una volta diversa, c’è quello che è stato Logan – The Wolverine per i film di supereroi. Magari F10 sarà la storia intima e personale di Dominic Toretto, ex-un sacco di cose che ora cerca solo di tenere assieme la sua famiglia e di omaggiare suo padre riaprendo il circuito automobilistico in cui questo trovò la morte. Un intenso Vin Diesel che si guadagna finalmente la nomination all’Oscar. Vai a sapere: Fast & Furious è stato un sacco di cose, potrebbe essere pure questo.