Hype ↓
08:17 martedì 2 dicembre 2025
È morto Tom Stoppard, sceneggiatore premio Oscar che ha reso Shakespeare pop Si è spento a ottantotto anni uno dei drammaturghi inglesi più amati del Novecento, che ha modernizzato Shakespeare al cinema e a teatro.
La Tv argentina ha scambiato Gasperini per il truffatore delle pensioni che si era travestito da sua madre Un meme molto condiviso sui social italiani è stato trasmesso dal tg argentino, che ha scambiato Gasperini per il Mrs. Doubtfire della truffa.
La parola dell’anno per l’Oxford English Dictionary è rage bait Si traduce come "esca per la rabbia" e descrive quei contenuti online il cui scopo è quello di farci incazzare e quindi interagire.
A giudicare dai nomi in gara, Carlo Conti vuole che Sanremo 2026 piaccia soprattutto ai giovani Tanti nomi emergenti, molto rap e veterani al minimo: è questo il trend di Sanremo 2026, pensato per un pubblico social e under trenta.
I dazi turistici sono l’ultimo fronte nella guerra commerciale tra Stati Uniti ed Europa Mentre Trump impone agli stranieri una maxi tassa per l'ingresso ai parchi nazionali, il Louvre alza il prezzo del biglietto per gli "extracomunitari".
Papa Leone XIV ha benedetto un rave party in Slovacchia in cui a fare da dj c’era un prete portoghese Il tutto per festeggiare il 75esimo compleanno dell'Arcivescovo Bernard Bober di Kosice.
I distributori indipendenti americani riporteranno al cinema i film che non ha visto nessuno a causa del Covid Titoli molto amati da critici e cinefili – tra cui uno di Sean Baker e uno di Kelly Reichardt – torneranno in sala per riprendersi quello che il Covid ha tolto.
La presidente della Tanzania Samia Suluhu Hassan ha nominato il nuovo governo e ha fatto ministri tutti i membri della sua famiglia In un colpo solo ha sistemato due figlie, un nipote, un genero, un cognato e pure un carissimo amico di famiglia.

Eurovision, guerra e noia

L'edizione bellica del festival della canzone europea finisce esattamente come tutti prevedevano: vincono gli ucraini Kalush Orchestra, trionfatori alla fine di un evento un po' cupo, molto (troppo) simbolico e sorprendentemente senza pezzi trap.

15 Maggio 2022

È sbucata dal nulla, colonizzando le pagine degli spettacoli e i palinsesti televisivi, questa passione nazionale per Eurovision, festival musicale europeo, ospitato a Torino per la sua 66esima edizione. Diciamoci la verità: l’Eurovision in Italia non se l’è mai filato nessuno, tranne una nicchia di puristi (che adesso guarda con spocchia – ingiustificata – tutti gli appassionati dell’ultima ora), anzi si vocifera addirittura che i Jalisse abbiano in realtà vinto l’edizione del 1997 con Fiumi di parole ma furono boicottati dalla Rai, che non voleva organizzare l’edizione successiva, e si adoperò per truccare il risultato (il trofeo, un microfono di vetro, andò poi al Regno Unito). Ecco però che dopo qualche anno di super prestazioni italiane – sempre prontissimi a salire sul carro del vincitore –, unite alla revolucion sanremese del Che Amadeus, ci stringiamo a coorte per Mahmood & Blanco.

Già, Sanremo. Vi ricordate? Erano solo tre mesi fa, e tutto andava bene: la nazionale di Mancini aveva vinto da poco a Wembley, i campioni dell’Europa eravamo noi, iniziavamo a spartirci la pioggia di miliardi del Pnrr, le previsioni di crescita del PIL al 4 per cento, Tananai simpaticamente sulla cresta dell’onda. Entusiasmo generalizzato. Sembra passata una vita: oggi la stessa Nazionale di calcio ha perso contro la Macedonia del Nord lo spareggio per qualificarsi ai Mondiali, c’è la guerra, il gas e il grano scarseggiano, l’olio di semi di girasole è razionato, dobbiamo scegliere fra la pace o i condizionatori d’aria. Servirebbe un aiutino, e ci piacerebbe dire che l’Eurovision ha rallegrato gli animi: purtroppo, non è così. In realtà lo spettacolo è stato piuttosto cupo, neanche un fiore sul palco, scenografie tendenti al nero, non si ride mai. È un Eurovision bellico. Si sarebbe potuto magari infilare un intermezzo comico, per dare brio alla conduzione un po’ ingessata di Mika, Cattelan e Pausini? Forse, però non abbiamo comici d’esportazione, e poi c’era la paura di un assalto dal pubblico – nei giorni scorsi si è parlato anche di assalti alle hostess durante le feste che hanno preceduto Eurovision, sarà stato qualcuno dei molestatori che girano indossando un finto cappello da alpino per screditare la categoria? Mistero. Achille Lauro, che beffa, è stato eliminato in semifinale (un’ingiustizia?), forse il momento più basso della sua carriera dopo la lite con Valerio Staffelli. Provano a tirarci su il morale i Måneskin, orgoglio nazionale, presentando il loro nuovo singolo, sexyssimi. Purtroppo fanno l’effetto di quei figli andati via di casa, magari a studiare all’estero, che tornano a trovarci dopo moltissimi mesi ma ci trovano invecchiati, si annoiano e si spazientiscono subito – emblematica in questo senso la polemica idiota Damiano vs. Chef Rubio del mese scorso, con chiosa del rocker su Instagram: “Benvenuti in Italia”.

Ma d’altronde, l’abbiamo già detto, lo sappiamo, c’è la guerra alle porte dell’Europa, è un Eurovision fortemente simbolico. Nel senso che vincono i Kalush Orchestra (c’erano dubbi?), direttamente dall’Ucraina, esentati dalla leva obbligatoria per motivi artistici, anche se a chi scrive – mi perdonerete – sembrano una versione dei Boombadash cresciuta a borsch e pane all’aglio invece che a bombette e focaccia alle patate. Non è un complimento. Doppio ricatto morale, canzone di una nazione invasa e dedicata alla mamma. Sullo sfondo, durante la loro esibizione, gli occhi sofferenti di una nonna ucraina. Anche loro, come molti artisti in gara, sembrano impegnati a spiegarci chi sono e che valori vorrebbero rappresentare, più che a proporci una bella melodia. E quindi abbiamo le magliette con gli slogan per i diritti delle persone transessuali, le storie dolenti di infanzie bullizzate, l’orgoglio per essere nati in un certo modo piuttosto che in un altro, anche perché poi i ritornelli sono raramente memorabili e le canzoni per la maggior parte fanno schifo, quindi su quelle non ci si dilunga troppo, giustamente. Che palle. Che cosa ne è stato del never complain, never explain? Prima dell’incoronazione canta anche Gigliola Cinquetti, e ci si lascia andare alla nostalgia per i bei tempi andati che non abbiamo mai vissuto. Anche se poi Dipollina ha scritto l’altro giorno su Repubblica: «Avvertenza per il pubblico in là con gli anni (TeamGigliola): evitare di ripetere che tizio sarà trasgressivo ma ai tempi Alberto Camerini, allora, era Andy Warhol. Non serve a nulla, si fa una figura da babbioni e se anche un giovane ascoltasse ti guarderebbe vacuo, pensando cose irriferibili», e chi siamo noi per smentirlo, anche sfidando le accuse di campanilismo.

Le canzoni, dicevamo. Non c’è un brano trap (che sia finito il trend? Che cosa ne sarà di tutti i trapper italiani? Finiranno a scazzottarsi al Maurizio Costanzo Show?), solo la Germania propone un rappettino a metà fra Eminem e Post Malone (arrivato all’ultimo posto). Nessuna curiosità sociologica da soddisfare sullo sviluppo della musica pop nelle varie regioni d’Europa, quasi tutte le canzoni sono smarmellate sullo stesso canone e suonano allo stesso modo: insipide. Nessuno suona dal vivo, ci si esibisce su basi registrate, e più di metà dei partecipanti canta in inglese. Tanta nostalgia degli anni ’90, moltissimi brani in gara sembrano singoli scartati dal primo disco di Mandy Moore. Chi scrive aveva un debole inspiegabile per la canzone del crooner svizzero Marius Bear, forse per la somiglianza con I can’t help falling in love with you – paragone ardito, mi rendo conto – e per Konstrakta, affascinante concorrente della Serbia. Entrambi arrivati senza troppi scossoni a metà classifica. E che dire di Mahmood & Blanco? Elegantissimi, certo, ma privi di verve, ci hanno proprio deluso, non si saranno mica montati la testa? Speravamo in qualcosa di più di un’esibizione live da compitino e un sesto posto in classifica.

Comunque il trend è questo, nessuno si stupisca. Slava Ukraini, vince l’Ucraina, forte anche dell’endorsement del presidente Zelensky ieri pomeriggio su Telegram («Molto presto nella finale dell’Eurovision il continente e il mondo intero ascolteranno le parole della nostra terra. Credo che, alla fine, questa parola sarà Vittoria! Sosteniamo i nostri connazionali, sosteniamo l’Ucraina!»), si va incontro allo spirito dei tempi e pure gli ascolti hanno premiato Eurovision, come si dice in questi casi. Quindi, a meno di conflitti atomici, ci si rivede l’anno prossimo a Kiev.

Articoli Suggeriti
Leggi anche ↓
È morto Tom Stoppard, sceneggiatore premio Oscar che ha reso Shakespeare pop

Noto al grande pubblico come vincitore di un Oscar e di un Golden Globe per la sceneggiatura di Shakespeare in Love.

A Sanremo tiferemo per Sayf

Padre italiano, madre tunisina, una vita tra Rapallo e Genova, non riesce a scegliere chi preferisce tra Bob Marley e Fabrizio De André, ma soprattutto è una delle più interessanti novità del rap italiano: la nostra intervista dal numero di Rivista Studio.

La parola dell’anno per l’Oxford English Dictionary è rage bait

Si traduce come "esca per la rabbia" e descrive quei contenuti online il cui scopo è quello di farci incazzare e quindi interagire.

A giudicare dai nomi in gara, Carlo Conti vuole che Sanremo 2026 piaccia soprattutto ai giovani

Tanti nomi emergenti, molto rap e veterani al minimo: è questo il trend di Sanremo 2026, pensato per un pubblico social e under trenta.

di Studio
I libri del mese

Cosa abbiamo letto a novembre in redazione.

La vita vera, istruzioni per l’uso

L'uso dei dispositivi, i social, l'intelligenza artificiale ci stanno allontanando dalla vita vera. Come fare allora a ritrovare una dimensione più umana? Un viaggio tra luddisti, nuove comunità e ispirazioni, nel nuovo numero di Rivista Studio.