Hype ↓
23:43 giovedì 18 settembre 2025
Tutte le recensioni di Una battaglia dopo l’altra di Paul Thomas Anderson dicono la stessa cosa: è un capolavoro Il film, con protagonista Leonardo DiCaprio, arriverà nelle sale cinematografiche italiane il 25 settembre.
Siccome una creator l’ha “accusata” di essere transgender, Brigitte Macron mostrerà in tribunale il suo Dna per dimostrare di essere nata donna E vincere così la causa per diffamazione contro Candace Owens, creator dell'alt-right Usa che sostiene che la Première dame abbia cambiato sesso.
Israele vuole cancellare la sua versione degli Oscar perché ha vinto un film che parla di un ragazzino palestinese Anche perché, vincendo, The Sea è automaticamente candidato a rappresentare Israele agli Oscar quelli veri.
Il candidato della Francia all’Oscar per il Miglior film internazionale è un film ambientato in Iran, che parla di Iran e diretto da un iraniano Dalla Palma d’Oro a Cannes alla candidatura francese agli Oscar, il viaggio di Jafar Panahi attraverso le crepe della politica e del cinema
Sulla tv del ministero della Difesa russo c’è uno show fatto con l’AI che trolla i politici stranieri Macron con i bigodini rosa, Trump che parla di gabinetti dorati, von der Leyen in versione soviet: questo il meglio che la "satira" russa offre.
Il late show di Jimmy Kimmel è stato sospeso per dei commenti di Kimmel su Charlie Kirk Commenti che però Jimmy Kimmel non ha mai fatto.
Nel nuovo film di Carlo Verdone ci sarà anche Karla Sofía Gascón, la protagonista caduta in disgrazia di Emilia Pérez La notizia ha permesso a Scuola di seduzione di finire addirittura tra le breaking news di Variety.
Enzo Iacchetti che urla «Cos’hai detto, stronzo? Vengo giù e ti prendo a pugni» è diventato l’idolo di internet Il suo sbrocco a È sempre Cartabianca sul genocidio a Gaza lo ha fatto diventare l'uomo più amato (e memato) sui social.

L’amateur della politica

Un viaggio nell'estetica del Movimento 5 stelle. Il blog di Beppe Grillo e le scritte in bold, le caricature che irridono gli avversari politici, i video in bassa risoluzione e il trionfo dell'antiprofessionismo.

14 Febbraio 2014

Qualcuno ancora se lo ricorderà, quando Berlusconi entrò nel panorama politico. Fu una cosa irruente, inaspettata e per molti versi rivoluzionaria e, fra le tante cose che sconvolse, una fu di certo l’uso dell’immagine, quella cosa che poi oggi si chiama comunicazione visiva. «Sconvolse» perché era, insieme ai modi, il linguaggio, le idee, una cosa a cui la politica italiana non era abituata, perché era un’immagine che veniva dal mondo aziendale, dal marketing.
Era lo studio della comunicazione visiva che invadeva il campo politico per la prima volta in Italia. C’era lui, e la sua faccia, ovunque.
C’erano gli slogan, come per una lavatrice, c’era il fotoritocco, l’impaginato, la scelta del font, delle parole, del corsivo, le luci, gli sfondi. Per dirla in poche parole, quella di Forza Italia era una comunicazione sostanzialmente classica: al centro il prodotto (cioè il leader) reso bello, ritoccato, lucente, e intorno una grafica istituzionale, persino di lusso, da albergo. Il posto dove vorresti essere ma non puoi essere, era il messaggio. È un’immagine uscita direttamente dal team Mediaset, allora Finivest, e infatti assomigliava in tutto e per tutto alla tv.

A dirla tutta per quei tempi era già un’immagine vecchia, anni ‘80. I grandi marchi della moda avevano già virato sul real, su Kate Moss semplice e struccata, su scenografie di appartamenti comuni, fra termosifoni e muri scrostati. Ma nella politica italiana quella era avanguardia, basti pensare che erano anni in cui, a sinistra, era sostanzialmente proibito usare i volti (il partito, prima delle persone) e la comunicazione del Pci dal 1968 era stata per anni sostanzialmente affidata a Oriano Niccolai, che era un grafico-artista, colto – più vicino alla pop-art italiana, al Futurismo, che non a Carosello, per capirci. Era un’immagine studiata, ma educatrice: cospargevano il paese di una grafica “alta”, tra l’altro bellissima, ma molto lontano dall’idea che servisse a creare consenso.

Quando arrivò Berlusconi invece, invase il paese di un’immagine dozzinale, ammiccante, catchy si direbbe oggi, studiata per piacere. Ma rimaneva un’immagine di lusso, di un bel prodotto a cui tendere, non qualcosa in cui riconoscersi: d’altronde era funzionale al messaggio di un leader fuori dal sistema, imprenditore splendente arrivato per salvare il gregge. E far splendere tutti di luce riflessa.

Da quei tempi sono passati 20 anni, e a tutti gli effetti il Pd continua a essere poco innovativo. E sostanzialmente anonimo (qualcuno si ricorda della campagna di Prodi?), un partito che in materia ha mantenuto un atteggiamento per lo più vago, grigio, indecifrabile. A tratti vecchio e appassito (Bersani, su tutti). E persino Renzi, che per il Partito Democratico risulta rivoluzionario, ha un’immagine giusta, studiatissima e spesso efficace, ma sostanzialmente in linea col mondo. “#cambiaverso”, per esempio, è una campagna di grande qualità, ma oggettivamente già vista. Insomma, niente che meriti particolare attenzione.

Mentre di là, in quel posto politico indecifrabile e assurdo (e forse ancora incompreso) che è il Movimento 5 stelle, accadono cose mai viste, e per questo degne di nota. Lasciando stare il giudizio politico (che va da sé), finire sul blog di Grillo è, da un punto di vista prettamente visivo, un unicum nel panorama della propaganda di tutto l’occidente.

C’è sempre un uso spintissimo del fotomontaggio per irridere chiunque e qualsiasi cosa, come un ariete per veicolare qualsiasi messaggio e sminuire qualsiasi avversario. Perfetto, e potentissimo. L’uso di grafiche prodotte da chiunque, e in qualsiasi circolo della penisola, senza alcuna cura, griglia grafica, o criterio di omologazione, in una sorta di “va tutto bene”.
E poi una serie di ingredienti inconfondibili: la diffusione di video pixelati, inquadrati male, da webcam. Dai comunicati di Grillo fino allo streaming con Bersani, ci si chiede dove trovino telecamere a così bassa risoluzione. E l’uso dei meme, persino nell’impaginato, che sono un tipo di grafica, con quel font bold e grezzo sopra le foto, venuta dal profondo web, eppure oggettivamente popolare. O ancora l’uso dei watermark, con addirittura la faccia di Beppe apposta in ogni angolo. L’uso di font che non si trovano più da nessuna parte. Le didascalie in Arial, bordate, da video di Youtube. Per non parlare dei pop-up, i link sottolineati blu, gli sfondi, i layout non modulari, i banner e gli annunci inseriti ovunque.

E tutto questo in quantità traboccanti, in cui ogni sito contiene un numero di immagini, video, messaggi la cui abbondanza irride la logica, colonna portante teorica del marketing, del messaggio unico. E per di più in un elenco sterminato di contenitori (LaCosa, il Movimento, il blog, il gruppo) in cui non è possibile scorgere un minimo comune denominatore visivo, nei font, nelle griglie e nemmeno nel colore. Pensateci, quasi non esiste movimento politico, brand, identità, che non abbia riconoscibilità quantomeno nel colore. Mentre lì vivono realtà parenti, cugine, forse sorelle, nella quasi totale anarchia e in barba a qualsiasi legge di marketing.

È come se tutto fosse consegnato a un’apparente amatorialità, in cui qualsiasi stilema dell’alfabeto visivo si presenta grezzo e lasciato al caso. Una sorta di aggregatore di amateur politico, sgranato ma vero, brutto ma reale. Dove quindi persino l’immagine, solitamente studiata, è dal basso e quindi pericolosamente coincidente con un del basso.
Eppure, nonostante questo, nonostante tutto, è un alfabeto perfettamente riconoscibile, graniticamente identitario, e quindi perfettamente funzionale. Genera appartenenza, visite, condivisioni, e coincide con una propaganda in cui l’a-professionismo è un diritto e il manifesto del mio pensiero è lo stesso manifesto della tua pizzeria. Perché il messaggio è che può fare comunicazione chiunque, può essere della partita chiunque e, quindi, può fare politica chiunque.
È ovviamente frutto di un sentimento generale di delegittimazione di qualsiasi conoscenza, che sia intellettuale (i professori), tecnica (Mario Monti, gli economisti, eccetera), professionale e di qualsiasi istituzione regolatrice.

Questa cosa nasce chiaramente da una frattura fra classe dirigente e paese che è preoccupante (e su cui toccherebbe interrogarci) ma in cui oggettivamente il professionismo (e quindi il timone) appare quasi come un estraneo. E così forse per la prima volta l’immagine della propaganda non si guarda dal basso verso l’alto, ma sporgendosi un pelo fuori sul balcone, due piani più sotto, nel volantino disegnato da tuo cugino.

Se da un lato Berlusconi aveva costruito un altrove, il “dove vorresti essere”, il famoso sogno italiano, e dall’altro la sinistra comunicava un fallimentare “noi sappiamo dove dovresti essere, ora te lo spieghiamo”, il Movimento di Grillo fa un passo di lato: non raccontiamo un altro mondo, perché quello in cui ti trovi è già un posto magnifico. Sono “loro” che sono sbagliati. Sono loro – la casta, i politici corrotti, i banchieri, i gruppi di potere, in altre parole i professionisti – che ce lo stanno rovinando. Quello che costruiremo noi, anche se avrà video pixelati e annunci invasivi, sarà comunque il nostro.

Leggi anche ↓

L’attivista palestinese che ha lavorato a No Other Land è stato ucciso da un colono israeliano

Maestro e attivista, Odeh Muhammad Hadalin aveva aiutato i registi del documentario premio Oscar a girare il loro film a Masafer Yatta.

Sam Altman ha detto che a differenza dell’avvocato e del terapeuta, Chat GPT non ha l’obbligo del segreto professionale

Quello che le diciamo non si può cancellare e potrebbe essere usato in tribunale.

Ripensare tutto

Le storie, le interviste, i personaggi del nuovo numero di Rivista Studio.

Il surreale identikit di uno degli autori dell’attentato a Darya Dugina diffuso dai servizi segreti russi

La Nasa è riuscita a registrare il rumore emesso da un buco nero