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5 cose da leggere prima di guardare L’amica geniale

Da stasera al 3 ottobre nelle sale italiane vanno in onda i primi 2 episodi della serie più attesa dell'anno.

di Studio

Gaia Girace e Margherita Mazzucco nei panni di Lila e Elena

A partire da stasera e fino al 3 ottobre, i cinema italiani proietteranno in anteprima gli episodi 1 e 2 di L’amica geniale, la serie Hbo-Rai Fiction e Timvision diretta da Saverio Costanzo tratta dal best seller di Elena Ferrante, presentata per la prima volta alla Mostra del Cinema di Venezia. Cosa dobbiamo aspettarci? Vogue America l’ha definita una serie «neorealista», citando De Sica, De Santis e Rossellini. La serie, costituita di otto episodi, è ambientata in un set di 20mila metri quadrati che ricostruisce a Caserta un finto rione napoletano.

Esattamente un anno fa, la casa editrice e/o presentava l’edizione completa della tetralogia, che raccoglie in un solo volume di 1728 pagine i 4 libri dedicati alla storia di Elena e Lila: L’amica geniale, Storia del nuovo cognome, Storia di chi fugge e di chi resta Storia della bambina perduta, un rapporto di amicizia morboso e tormentato, fondato sull’invidia, il confronto e l’ammirazione, e al tempo stesso indissolubile, nato in un rione popolare di Napoli, quando le protagoniste sono ancora bambine. Nell’attesa di vedere le prime puntate della serie, che dovrebbe riuscire a conquistare i fan più accaniti come i lettori più scettici, compreso chi di questi libri non avesse mai letto una riga (un po’ come successe con Ferrante Fever, il documentario diretto da Giacomo Durzi di cui parlavamo qui), abbiamo raccolto 5 articoli importanti per capire e conoscere Elena Ferrante.

Elisa Del Genio (Elena) e Ludovica Nasti (Lila)

‘To translate is to betray’: the Elena Ferrante phenomenon in Italy and the USThe Guardian
In questo articolo Rebecca Falkoff analizza le differenze con cui il fenomeno Elena Ferrante è stato recepito negli Usa e in Italia: da una parte l’esplosivo, unanime entusiasmo americano, dall’altra l’atteggiamento ambivalente degli italiani, sospeso tra auto-flagellazione e accondiscendenza. Allo stesso tempo, secondo lei, tradurre in inglese una storia così profondamente radicata nella lingua e nella cultura napoletana significa inevitabilmente tradirla. Nel pezzo, Falkoff cita anche “La narrazione esotica italiana all’estero”, un articolo di Cristiano de Majo e pubblicato su Studio che, secondo lei, «offre una riflessione più perspicace, comparando L’amica geniale alla Grande bellezza di Paolo Sorrentino, un film che è stato deriso dalla critica. Entrambe le opere comprendono protagonisti napoletani che sono emigrati più a Nord e hanno raggiunto il successo con la scrittura». Ma soprattutto, entrambi mettono in scena un tipo di nostalgia in grado di muovere quella che potremmo chiamare “la sensibilità del turista”.

Elena Ferrante’s writing is better in English than Italian – Quartz
Un’altra importante riflessione sulla differenza tra Italia e Usa, che sostiene una posizione quasi opposta a quella dell’articolo precedente: possibile che, considerando l’entusiasmo degli americani e lo scetticismo degli italiani, i libri in inglese di Elena Ferrante siano meglio di quelli originali? Annalisa Merelli li ha letti nella versione italiana e in quella tradotta da Ann Goldstein, editor nel New Yorker: secondo lei la seconda versione è decisamente migliore (e per dimostrarlo mette a confronto una serie di frasi) perché Goldstein ha corretto e migliorato molte delle sbavature, soprattutto stilistiche, di Ferrante.

Those Like Us – n+1
Questo articolo è un vero e proprio caso di “Ferrante Fever”, la febbre che ha contagiato gli ambienti letterari Usa, dove i critici e i lettori sono letteralmente impazziti. Nel pezzo si riflette, come sempre, sulla faccenda dell’anonimato, ma c’è un paragrafo dove la scrittrice viene definita “troppo brava”, una caratteristica che finisce per spiazzare il recensore, che finisce in preda a una sorta di sbigottimento: «Ma c’è un ostacolo ancora più grande, ovvero che i romanzi sono troppo belli», «Ferrante è la migliore scrittrice contemporanea», «l’Alice Munro italiana», sottolineando come in un caso come il suo diventi addirittura difficile, o inutile, scrivere una recensione.

Women on the Verge – The New Yorker
Nel 2013 James Wood scrive questo appassionato articolo in cui analizza l’opera omnia di Elena Ferrante – compresi i primi libri, all’estero meno conosciuti rispetto alla tetralogia: L’amore molesto, I giorni dell’abbandono e La figlia oscura. Commentando una serie di brani selezionati, Wood sottolinea soprattutto la costanza con cui Ferrante, fin dall’inizio, si è dedicata prima di tutto all’esplorazione della vita interiore delle ragazze e delle donne, del loro ruolo nella società, nella famiglia, nella scuola e dei rapporti che intercorrono tra loro e gli uomini.

Ecco la vera identità di Elena Ferrante – Il Sole 24 Ore
A differenza dei tentativi precedenti (decine) l’indagine di Claudio Gatti pubblicata da New York Review of Books, Il Sole 24 Ore, Frankfurter Allgemeine ZeitungMediapart nel 2016, segue un metodo più aggressivo. Non un’attività critica, che paragona i paragrafi di Elena Ferrante con quelli di altri scrittori, né i confronti tra le biografie “reali” di altre scrittrici o scrittori con quelle dei personaggi di finzione dell’opera. Per scoprire la vera identità della scrittrice, utilizza invece un sistema collaudato e pragmatico: “follow the money”, che condurrebbe ad Anita Raja, traduttrice e compagna di Domenico Starnone. L’indagine di Gatti ha ricevuto molte critiche: c’era davvero bisogno di conoscere la vera identità della scrittrice? Sulle pagine di Studio, Davide Coppo si era interrogato sul senso della ricerca: «sarebbe ingenuo non pensare che il successo di Elena Ferrante è in parte dipendente dal mistero della sua identità, ed è naturale la volontà di svelarla. Ma tutte le cose naturali sono buone?». Anche Alexandra Schwartz diceva la sua in un lungo articolo sul New Yorker, nel quale esprimeva un’evidente antipatia nei confronti del tema, dei metodi e perfino del risultato (l’articolo, secondo lei, era pure scritto male), dell’indagine di Gatti.