Attualità

Disintossicarsi da Apple

Perché smettere di usare un Mac (o un iPhone, eccetera) è più difficile che smettere di fumare.

di Michele Masneri

Recentemente ho smesso di fumare. Ho fatto un seminario della Easyway, quelli del fondamentale libro È facile smettere di fumare se sai come farlo, quello del commercialista inglese che poi è diventato guru dello smettere di fumare e poi è morto di cancro. Mentre la discepola di Allen Carr spiegava la “grande trappola del fumo” però pensavo al mio Mac. La grande trappola del fumo dice che la dipendenza da nicotina ha sintomi lievi, e che consistono in una piccola ansia da placare, per tornare a una condizione primigenia di pace; ansia che chi non ha mai fumato non conosce. Fumare, dice il seminario, è come infilarsi degli scarponi molto stretti per il solo gusto di toglierli poi e far distendere i piedi doloranti.

Mentre al seminario viene spiegata la grande trappola del fumo, io pensavo continuamente al mio MacBook e al mio trauma recente. Cedendo alle lusinghe che ogni giorno chiedono “vuoi una sigaretta? vuoi fare un tiro? vuoi aggiornare? non ora? stasera? tra qualche ora?, alla fine ho ceduto e ho installato il nuovo sistema operativo, che ha trasformato il mio già performante computer in un Commodore 64 inservibile. E mi ha fatto venire fortissima la voglia/il bisogno di un Mac nuovo di zecca. La situazione di pace era perduta.

Andare col mio Blackberry a cene rigorosamente di soli iPhone è stato interessante

In un’altra parte del seminario viene spiegato invece come fumare continui a essere considerato fico perché ovviamente le multinazionali nel tempo hanno investito in pubblicità e product placement strategico, e però questa cosa sta finendo, e anzi smettendo non saremo più derisi e additati e costretti ad andare a fumare su balconi putridi in compagnia di compagnie a basso potere d’acquisto e non caucasiche. (Questo secondo me è il punto debole del libro-seminario: ti dice che fumare è fico e non è fico insieme; non tiene conto di serie interamente costruite intorno alla nicotina come Mad Men o House of Cards, non considera l’effetto Kate Moss, né che fumare, inopinatamente, è ancora fico). «Fumo perché tutti i miei amici lo fanno» dicono al corso. «E se aveste degli amici eroinomani?». «Magari», ho pensato in certi momenti del seminario (che dura cinque ore).

E però, di nuovo, ho pensato al mio Mac. Mentre ascoltavo tutte queste cose (fumando, al corso, tenuto in un alberghetto dalle parti di Termini, tristissimo, ti fanno fumare, almeno tre sigarette, e forse funziona proprio perché ti intossicano lì, e esci che puzzi di fumo e ti passa proprio la voglia, come una volta i lavoranti Nestlé li ingozzavano di cioccolatini perché poi avresti avuto il rifiuto per tutta la vita) ho capito che in realtà si parlava del mio rapporto con computer e telefoni e accessori Apple.

iPhone 6 Becomes Available In Hong Kong

Recentemente infatti ho preso un Blackberry Passport, e insomma questo Passport è fichissimo, è quadrato e nero, ha la stessa suoneria di Frank Underwood, e del resto in House of Cards ce l’ha lui, poi nella realtà ce l’ha la Merkel e ce l’ha Hillary e ce l’avevano tutti i protestatori delle primavere arabe, vi ricordate, si mandavano i messaggini segreti criptati (ma poi non son finite tanto bene, in effetti). Però mi sembrava un oggetto molto fico, col suo design anni Novanta tipo sveglietta Braun.

Andare col mio Blackberry a cene rigorosamente di soli iPhone è stato interessante. Intanto mi sono reso conto di non conoscere nessun coetaneo con un telefono non iPhone. Tranne mia madre, ma la famiglia non conta, e il mio amico Andrea Minuz, ma lui non conta. Lui ha pure un computer Asus, è un noto provocatore: durante un viaggio in treno recente ha estratto il suo Asus nero e l’atmosfera è molto cambiata nella Metropolitana d’Italia; era come se le poltrone di pelle del Frecciarossa e i tavolini di finto legno lamellare nautico quasi rifiutassero il contatto con la scocca di volgare materia: probabilmente era la prima volta non solo che un Asus, ma proprio un laptop non di alluminio, e addirittura nero, entrava in una carrozza business del silenzio.

Alla vista del suo Asus, io stesso ho avuto una reazione di sdegno, di rabbia. Com’è possibile: fa una professione creativa, ha meno di cinquant’anni, abita in Occidente (poi, ripensandoci; la stessa reazione dei fumatori che incontrano ex fumatori che hanno smesso. I tossici non amano gli ex o i non tossici).

Alle cene, il mio Blackberry elettrizzava l’atmosfera

Alle cene, il mio Blackberry elettrizzava l’atmosfera. A seconda degli ambienti, a Roma venivo guardato con indifferenza (ambienti artistici a basso reddito) o con un misto di compatimento (borghesie medio alte, professioni non liberali), cioè come secondo la Easyway dovrebbero essere visti i fumatori (persone a basso potere di acquisto, sempre non caucasiche). A Milano, invece, a una cena, qualcuno mi ha detto serio «sembra un oggetto vecchio, ma anche d’avanguardia», e tutti ammiravano il mio anticonformismo, colme se andassi in giro con un’Ape Piaggio furgonata invece di una Vespa.

Avevo sottovalutato le rinunce, però. Smettere di usare l’iPhone è facile, se sai come fare. Ma ci sono imprevisti misteriosi, per esempio iMessage. O i contatti. Ci sono cose che le multinazionali non ti dicono: le sostanze segrete contenute nelle sigarette. Ci sono tante applicazioni per copiare i contatti nel tuo telefono non-iPhone. Non funzionano mai. Si può benissimo rinunciare a iMessage: tanto hai i messaggi gratis. Il tuo telefono non iPhone manderà messaggi che non arriveranno mai al destinatario, e si perderanno nell’etere in dimensioni e atmosfere parallele.

Infine, l’effetto Marlboro Gold. Come scrivevo, sono possessore felice di un MacBook acquistato nel 2012 (non vent’anni fa, nel 2012). Ora sono eticamente diviso. Comprarne un altro? Arricchire chi mi ha instillato il vizio? Vengo da una famiglia di sinistra. A casa nostra prima di acquistare una lavastoviglie o un CaffèSimac (era il Nespresso degli anni ottanta, inutile ridere) o un videoregistratore si studiava. Ci si ponevano questioni, anche: era giusto comprare un lettore cd Sony sapendo che era Philips che l’aveva inventato? Era meglio il Vhs o il primigenio Betamax? Che politiche sociali e ambientali avevano queste aziende? Inoltre si poneva grande attenzione al design, si era cresciuti tra le svegliette Braun, appunto, disegnate da Dieter Rams, e le lampade bresciane di Achille Castiglioni.

Con questo grave fardello di funzionalismo etico, non fu senza perplessità che si acquistò il primo iBook bianco, in una offerta speciale all’Unieuro di Brescia, sarà stato il 1999. Lo si comprò insieme alla amica Alice, con cui si condividevano scelte trasgressive, e ci sostenemmo a vicenda come se si andasse a provare il crack o fare delle messe nere. Come spesso accade, lei era più sicura di questa scelta, del resto uno dei primi Mac che avessi mai visto era a casa di sua zia, che era abbastanza hippy e lavorava per la Fao e viveva in Toscana, e il tutto aveva un alone di trasgressione e internazionalismo.

A casa mia, dilemmi cattocomunisti più pesanti, come se si stesse per entrare in una setta: «non avrai la compatibilità»; «si può installare Word?», «si può collegare una stampante?». Entrati nella setta, non se ne uscì più. Con Alice ci vediamo poco, lei ora fa il medico, son stato a casa sua recentemente, a Milano, giusto il tempo di ricaricare il mio iPhone, di raccontarci le pieghe che aveva preso la nostra vita («Hai figli?» «Io no, ho il Sei, ma mio marito ha il Cinque, vieni che ti do il cavetto»).

First Apple Store In South America Opens In Rio de Janeiro

Adesso però il mio laptop dovrei proprio cambiarlo; però è la terza volta che vado all’Apple store sotto casa, a Roma, a via Merulana; è anche un posto interessante, nell’ultimo palazzo principesco costruito a Roma, da un principe smandrappato che ha sposato una newyorchese molto affluente, una Downton Abbey merulana; e in questo palazzo ha anche lo studio un famoso chirurgo plastico, e io per la terza volta vado in questo Apple Store col dilemma: è giusto, è corretto, che io paghi duemila euro alla multinazionale che mi intossica di nicotina il computer? Se mi comprassi un Asus? Avrà la compatibilità? Potrò stampare? Sono abbastanza trasgressivo? Cosa penseranno di me?

Alla terza volta, quando sono lì lì per acquistare un nuovo MacBook e tornare alla situazione di quiete, ecco che entra una signora con le Hogan e molto gonfia in faccia, e probabilmente di passaggio dal celebre chirurgo, e chiede un po’ arrogante e un po’ flirtando a un ragazzo dell’Apple store: «’Che ‘so arivati i nuovi Gold?», e per questi nuovi Gold intende la versione oro del nuovo MacBook da dodici pollici, che costa 1.500 euro ed è offerto nelle tre versioni, nel classico alluminio-Frecciarossa, in Grigio Siderale (ce l’aveva un signore a Capalbio, la settimana scorsa, il grigio siderale), e Gold. Non mi ero reso conto dell’arrivo dei colori-moda tra i laptop: e mi rendo improvvisamente conto che la signora botoxata con le Hogan chiedeva chiaramente un grande pacchetto di Marlboro Gold. A quel punto non ce l’ho fatta. Sono tornato a casa e ho ripreso a lavorare sul mio vecchio Mac lento. Se non fumi da un’ora sei già un non fumatore, dice il seminario. È facile, se sai come fare.

 

Nell’immagine in evidenza, l’Apple Store sulla Fifth Avenue (Eric Thayer/Getty Images); nel testo, l’apertura dell’Apple Store a Rio de Janeiro (Mario Tama/Getty Images).