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È morto Vince Zampella, l’uomo che con Call of Duty ha contribuito a fare dei videogiochi un’industria multimiliardaria Figura chiave del videogioco moderno, ha reso gli sparatutto mainstream, fondando un franchise da 400 milioni di copie vendute e 15 miliardi di incassi.
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Uccidere i Simpson

Per salvarli una volta per tutte. (Mentre Fox programma altre due stagioni).

26 Maggio 2015

È facile dire che I Simpson, la serie animata iniziata nel dicembre 1989, sia andata in malora, oltre il salto dello squalo (jumping the shark, ovvero il momento in cui una serie o un prodotto culturale supera il suo picco qualitativo prendendo l’inevitabile china verso l’oblio), contorcendosi in un’acrobazia decennale che assomiglia molto a un’interminabile agonia. I Simpson non sono più quelli di vent’anni fa, ma nemmeno più quelli di dieci anni fa, e dimostrano come ogni discesa possa essere eterna e tragica, se non viene fermata con la definitiva parola FINE.

È del 2007, per esempio, questo j’accuse pubblicato dal Guardian secondo cui «I Simpson hanno saltato lo squalo dieci anni fa», ovvero nel 1997, quando la serie era tra l’ottava e la nona stagione. L’opinione di Dean Driscoll è forte, severa e può aprire una lunga discussione sul preciso momento in cui la meravigliosa parabola della creatura di Matt Groening (e Sam Simon e George Meyer) abbia raggiunto il picco, che l’ha resa uno dei prodotti migliori del XX secolo, per poi cominciare la discesa.

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Una modesta proposta

Prima di inaugurare la fiera dei nerd, qualche fatto. I Simpson sono già un prodotto scomposto tra televisione e merchandising: quest’ultimo settore, secondo i dati a disposizione, è da solo un business miliardario e di fatto indipendente dalla creazione di nuovi episodi, essendo alimentato dalla miriade di repliche dello show trasmesse ogni giorno in tutto il mondo, dal film uscito al cinema nel 2006 e dal ricordo emotivo, ormai indelebile, tracciato nelle menti di milioni di persone. I Simpson, inoltre, hanno anche un parco tematico, che è la cosa che succede a tutte le idee geniali che il tempo trasforma in farsa. E anche quello è un business. E allora perché Fox ha deciso di rinnovare lo show per altre due stagioni, le prossime? La risposta è chiara e diretta, dimostra la redditività del moribondo show. Durerà per sempre? Ovviamente no. Sperando che finisca prestissimo, procediamo all’analisi della scatola nera.

Cosa è andato storto

L’età d’oro dello show, l’arco temporale in cui I Simpson divennero la cosa migliore mai realizzata per la televisione (sì, a mio avviso meglio anche di Twin Peaks, e sono pronto alla lotta), andò dal 1992 al 1997, ovvero dalla quarta alla nona stagione, con la quarta a segnare uno spartiacque decisivo tra i proto-Simpsons della Bart-mania (quando Bart era il bambino ribelle che il mondo temeva e amava) e uno spettacolo maturo, comicamente solidissimo e animato da un sense of humor che finì per influenzare tutto e tutti. Alcuni degli episodi di questo periodo: quello in cui Homer dice no alla Messa e diventa eretico, quello in cui Marge scopre d’avere la fobia di volare, quello della cometa di Bart, quello degli Spaccapietra (e sono tutti episodi della sola quarta stagione!).

Sono gli anni in cui al fianco di autori senior come George Meyer (che prese la creatura di Groening e la trasformò nel capolavoro comico che ricordiamo) sedeva Conan O’Brien, l’unico autore dell’era dorata in grado di proporre tre episodi di fila e vederseli accettare tutti (tra cui quello della monorotaia, scritto in pochi minuti andando al meeting) e quello che, a giudizio di tutti gli amanti della serie, è il vero genio ribelle dello show: John Swartzwelder. Poco noto, ma una figura mitica tra gli addetti ai lavori e gli appassionati, ha un curriculum impressionante: ha scritto 59 episodi dello show in tredici anni (dalla prima stagione alla tredicesima, 1990-2013) e basta scorrere la lista delle sue creazioni per rabbrividire. Una versione più moderata dell’opinione di Dean Driscoll, sostiene che la vera crisi dello show comincia proprio con la 13esima stagione, l’ultima a cui collaborò Swartzwelder. È una posizione che mi sembra accettabile, per quanto molto generosa: l’imperdibile account Twitter @SimpsonsQOTD, per esempio, pubblica battute provenienti dalle prime undici stagioni, un limite temporale più stretto, severo e forse preciso. Nonostante Swartzwelder sia e rimanga la stella polare della questione – quella stella che, scomparsa dal cielo, ha mandato alla deriva gli autori – gli ultimi suoi episodi non sono i migliori della sua produzione – e sono annacquati con una una dose sempre più massiccia di mediocre confusione comica.

Insomma, l’addio di John Swartzwelder può segnare l’inizio della fine della serie? Risposta: Nì.

*

Ci sono episodi passati alla storia per la loro bruttezza quasi scioccante e tra tutte, due si giocano il ruolo di “inizio della fine”. La prima è “The Principal and the Pauper”, in cui viene svelata la vera identità del preside Skinner, Armin Tamzarian, e il vero Skinner torna in città. Il motivo è semplice: la puntata è debole e l’arco narrativo costruito su un artefizio da soap opera – “quest’uomo non è quello che pensiamo! Ci sta ingannando tutti!” – il quale peraltro non avrà nemmeno impatto nel futuro del show. No, Armin Tamzarian scompare alla fine della puntata, un chiassoso colpo di scena usato per dare peso a uno show già sciatto. L’esperto della serie Chris Turner l’ha definito nel suo Planet Simpson «uno degli episodi più deboli» nella storia dello show. Il comico Harry Shearer, che doppiò il “vero” Skinner nell’episodio, ha dichiarato nel 2001 di aver criticato gli autori per una storia «arbitraria e gratuita e non rispettosa nei confronti del pubblico».

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NOT. FUNNY.

Poi c’è l’episodio in cui Homer salta letteralmente uno squalo su una moto d’acqua – parodiando la scena di Happy Days – una scena tragica per il carico d’amara ironia del tutto. Il punto è che qualcosa successe verso la fine degli anni Novanta: alcuni autori lasciarono il team, altri non all’altezza vennero assunti per prendere il loro posto; ma soprattutto, I Simpson smisero d’essere la novità eccezionale e divennero un nuovo standard. E che succede quando nasce uno standard? Che il panorama del settore cambia.

La concorrenza, ovvero la tragica insufficienza della fionda di Bart

Nell’agosto 1997 Comedy Central ha mandato in onda la prima puntata di South Park. Due anni dopo Fox ha presentato al mondo I Griffin, ovvero la versione sporca ed estrema della famigliola media americana che i Simpson avevano incarnato per un decennio. La stessa Fox, due anni prima, aveva anche presentato The King of the Hill, ottima serie d’animazione “indie”, dal successo imparagonabile a quello dei Griffin, ma che spostava l’asticella della comicità “adulta” animata di un’ulteriore tacca. Ecco cos’è successo: I Simpson cambiarono il mondo. E la televisione. E la televisione trovò il modo di adattarsi con nuove proposte selvagge e senza sconti, con i vaffanculo e le scoregge di Kartman a fare arrossire le bravate di Bart, il quale potrebbe essere tranquillamente umiliato da quel malato di mente di Stewie Griffin. Incapaci di aggiornarsi, la serie ha da un lato cercato di adattarsi al nuovo (rispondendo per esempio ai flashback assurdi dei Griffin), dall’altro è rimasta intrappolata in un cul de sac, diventando “dad humor”, cose che fanno ridere i padri i famiglia, gli adulti, quelli “non cool”, come ha scritto Clan Cruise.

Rimane comunque sbagliato tagliarla corta dicendo che la famiglia gialla non resse il confronto con la concorrenza, perché attorno al 1997 qualcosa era già successo e la qualità dello show stava già diminuendo. La soluzione va cercata altrove, in un’altra forma di concorrenza, questa volta interna: nel 1999 Matt Groening ha presentato Futurama, breve ma brillante serie animata che, secondo alcuni, fu una grossa “distrazione” per il creatore e molti autori, già stanchi del formato Simpson e contenti di poter divertirsi con una storia nuova – e fantascientifica. Anche Futurama è un sintomo della grandezza raggiunta a fine anni Novanta dai Simpson, tale da consentire al suo ideatore di sperimentare con una serie bizzarra, il genere di side-project che viene permesso solo ai Grandi.

È sempre meglio andarsene quando si è in gloria, come ci ha ricordato pochi giorni fa David Letterman. Per I Simpson è già troppo tardi (quanto tardi? Abbiamo visto che dipende da ciascuno di noi) ma forse si può fare ancora qualcosa, tirare avanti per altre due stagioni, evitare un altro episodio crossover con I Griffin (PER PIACERE) e sperare nella potenza dei ricordi dei tempi andati. Ricordi che si fanno sempre più lontani, oppressi da innumerevoli episodi mediocri e senza direzioni che continuano a vagare tra i palinsesti come spettri.

Nell’immagine in evidenza, l’entrata di The Simpson Ride, una giostra del parco a tema degli Universal Studios.
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