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C’era una volta il thriller erotico

Su Amazon Prime è appena uscito Acque profonde di Adrian Lyne, un ritorno al genere cinematografico che è stato un racconto dell'America degli anni Novanta, quella degli scandali sessuali in politica, dei sex tape rubati e del «Sex is power».

di Francesco Gerardi

Degli anni Novanta abbiamo già ripreso e riciclato praticamente tutto: moda, musica e letteratura, atmosfere e atteggiamenti, forme e colori. Tutto, con una notevole e significativa eccezione: il genere cinematografico che forse più di tutti ha segnato il decennio sia dal punto di vista commerciale che da quello culturale, il thriller erotico. Non che in tempi più o meno recenti siano mancati gli omaggi e le ispirazioni: Gone Girl di David Fincher probabilmente non sarebbe potuto esistere senza il thriller erotico come riferimento narrativo ed estetico, senza quel modo di raccontare i nodi psicologici intrecciati da sesso, violenza e morte. Per certi versi lo stesso discorso vale anche per Il Cigno Nero di Darren Aronofsky. Ma Gone Girl e Il Cigno Nero sono stati un’eccezione, merito di registi che del cinema degli anni Novanta sono stati interpreti prima che eredi. Eccezioni, niente di paragonabile al vero e proprio ritorno del decennio che si è visto in altre forme d’arte.

Un ritorno del thriller erotico non c’è stato ancora e probabilmente non è il caso di aspettarselo: visto il risultato – scarso, scarsissimo – ottenuto da Adrian Lyne con Acque profonde (il film con Ana de Armas e Ben Affleck, disponibile su Amazon Prime dallo scorso venerdì, adattamento del romanzo omonimo di Patricia Highsmith da cui nel 1981 era già stato tratto un film con Jean-Louis Trintignant e Isabelle Huppert), la grande speranza dei fan del genere, è difficile che nei prossimi mesi venga un rinascimento. Per quanto irrilevante (a essere generosi) dal punto di vista cinematografico, Acque profonde sta avendo il merito di aprire una discussione sul perché oggi questo tipo di film semplicemente non funzioni. C’è chi sostiene che per quest’epoca certi personaggi femminili, variazioni sul tema della vamp del cinema muto, della femme fatale del noir e della dark lady del neo-noir, non siano più accettabili. C’è chi si dice convinto che il problema sia un imbarazzante uso a scopo narrativo della psicopatologia: il thriller erotico, d’altronde, è quel genere cinematografico che ha arricchito il dizionario con il termine bunny boiler, da quella scena in Attrazione fatale in cui Alex Forrest (Glenn Close) fa bollire vivo, per sfregio e spregio nei confronti di Dan Gallagher (Michael Douglas), il coniglio che quest’ultimo aveva regalato alla figlia. C’è chi ne fa una questione storica: gli anni Novanta sono stati un decennio ossessionato da un sesso per alcuni versi scandaloso e per altri incomprensibile, quello dell’affaire Clinton-Lewinsky e del sextape di Pamela Anderson e Tommy Lee. C’è chi ne fa una questione, per così dire, geoculturale: il thriller erotico è un genere quintessenzialmente americano che mal si adatta all’epoca dei gusti compositi e dei consumi personalizzati. C’è chi, infine, dà la colpa a internet (e quando mai). Le campagne promozionali dei thriller erotici si fondavano fondamentalmente su un equivoco: che quelli fossero film buoni per masturbarsi, per convincere i maschi che fino a poco prima frequentavano cinema a luci rosse e peep show a scegliere il cinema. Con l’arrivo di internet, i contenuti buoni per masturbarsi sono diventati milioni al giorno.

È vero che il thriller erotico è la storia della liberazione sessuale americana portata al cinema. Fino al 1968 ciò che era “moralmente accettabile” mostrare sui grandi schermi americani era scritto in un compendio legislativo redatto da Will H. Hays, politico dell’Indiana, classe 1879. Quando, alla fine degli anni Sessanta, il Codice Hays fu archiviato e al suo posto introdotto il (a confronto) libertino MPAA Film Rating System, una generazione di futuri cineasti fu esposta alle turbe psicosessuali importate da mezzo mondo, dal Vecchio Continente all’Estremo Oriente: Repulsione di Polanski è del 1965, Blowup di Antonioni del 1966, Bella di giorno di Buñuel del 1967, Ultimo tango a Parigi di Bertolucci del 1972, Breaking Point di Bo Arne Virnius del 1975, Ecco l’impero dei sensi di Nagisa Oshima del 1976. Nel mezzo, ovviamente, ci fu Gola profonda, che nel ’72 fece del sesso un fatto esplicito e perciò pubblico. Questi (e molti altri) film ebbero un’influenza enorme e duratura sui registi che già avevano deciso di dedicarsi al mestiere e su quelli che lo avrebbero deciso di lì a breve. Naturalmente, essendo l’America l’America, a ogni adesione a una novità esterofila corrisponde un ritorno a una tradizione autoctona: praticamente tutti i registi che fecero del thriller erotico il genere cinematografico degli anni Novanta condividono passione e ammirazione per il canone americano.

Quando nel 1980 uscì Vestito per uccidere di Brian De Palma – da molti considerato il primo, vero thriller erotico secondo la definizione che ne sarebbe stata data negli anni a venire – in bella mostra c’erano le stesse fissazioni sessuali che tengono assieme tutta la filmografia (e la vita) di Hitchcock. «Il sesso è spaventoso», dirà De Palma in un’intervista a Esquire concessa nel 1984, in occasione dell’uscita di Omicidio a luci rosse, confermando il debito con il maestro. Brivido caldo di Lawrence Kasdan (e con il recentemente scomparso William Hurt) uscì un anno dopo Vestito per uccidere: tutti i cinefili non potevano fare a meno di notare l’infinità di rimandi a La fiamma del peccato di Wilder. Nel 1987 Attrazione fatale di Adrian Lyne stabilì che il thriller erotico sarebbe stato un genere cinematografico tra i più proficui dell’epoca, nonostante una parte della critica ci trovò soltanto una scopiazzatura mediocre di Brivido nella notte, il film con il quale nel ’71 Clint Eastwood divenne anche regista (ancora una volta il ritorno ai classici).

Dopo il successo di questo film, a Hollywood cominciò a girare una specie di nuovo proverbio: «Per far andare alla grande un film, tutto quello che serve è la sceneggiatura di un thriller, un titolo suggestivo e un paio di attori che vadano spesso in palestra e che siano disposti a spogliarsi». Era ancora l’epoca della cattiva pubblicità che è pur sempre pubblicità, la parola shitstorm ancora doveva entrare nella lingua scritta e parlata. Quando la scrittrice e giornalista Susan Faludi scrisse di Attrazione fatale nel suo Backlash: The undeclared war against american women, in certi uffici di Hollywood si misero a fare proiezioni su quanto questa citazione potesse rendere nel mercato home video. Non importava a nessuno che il personaggio di Glenn Close venisse psicanalizzato sui giornali e alla tv per dimostrare la misoginia dell’industria cinematografica, che quello di Michael Douglas fosse disprezzato per l’assoluzione sempre concessa al white male lead, che Adrian Lyne venisse oramai raccontato come il teorico e l’esteta del male gaze, l’architetto delle scene di sesso sostenute da colonne di vapore e travi di fumo.

Body Heat

E il fatto è che, dal punto di vista commerciale, quei produttori avevano ragione a stare sereni. Nel 1992 sarebbe arrivato Basic Instinct di Paul Verhoeven, lo zenith del thriller erotico. Basic Instinct fu la prova che quel nuovo proverbio ripetuto dai produttori hollywoodiani su sceneggiature, titoli e attori palestrati e nudi forse era una verità. Il film di Verhoeven ottenne tutto quello che si poteva desiderare per un film hollywoodiano di quell’epoca: recensioni entusiastiche (come quella di Peter Travers, che su Rolling Stone scrisse una frase che è più segno dei tempi del film stesso: «Stone, a former model, is a knockout») e stroncature velenose (Roger Ebert definì il film interessante finché non si capiva dove andasse a parare, dopodiché «inutile come un cruciverba già risolto»), le proteste delle associazioni femministe e Lgbtq+, un successo al botteghino incredibile già di per sé – 352 milioni di dollari al box office mondiale – e ancora di più se si considera che il 1992 fu l’anno di Aladdin, Guardia del corpo e Mamma, ho riperso l’aereo. Soprattutto, Basic Instinct divenne parte dell’immaginario collettivo, entrò a far parte dell’esposizione permanente nel museo della cultura pop. Luka Magnotta, l’assassino canadese la cui storia fu raccontata nel documentario Netflix Giù le mani dai gatti, era ossessionato dal personaggio di Sharon Stone in Basic Instinct al punto di “abbellire” il cacciavite con cui uccise Jun Lin in modo da farlo somigliare a un punteruolo da ghiaccio, l’arma prediletta di Catherine Tramell.

Nel 2000, nella popolarissima soap inglese EastEnders, Natalie si lamentava con suo marito Barry del fatto che «sbattermi contro la sezione dei thriller erotici» non fosse la sua idea di romanticismo, dopo che lui le aveva proposto di ravvivare la loro spenta vita sessuale con una notte di follia chiusi nel video store del quartiere. Nel 1996, nel leggendario episodio dei Simpson “Chi ha sparato al signor Burns?”, il giardiniere Willie fu protagonista di una scena-parodia dell’interrogatorio di Catherine Tramell. Come tutti i prodotti davvero popolari, Basic Instinct infuse una linfa nuova e finale in un genere che con questo film inizia di fatto a sparire. La mia peggiore nemica con Drew Barrymore, Inserzione pericolosa di Berbert Schroeder, Jade di William Friedkin, Boxing Helena di Jennifer Lynch, Sliver di Philip Noyce, Il colore della notte di Richard Rush, Rivelazioni di Barry Levinson, Body of evidence con Madonna, probabilmente uno dei film più stroncati della storia della Settima Arte: titoli minori e maggiori che saranno la coda lunga di un genere che con Proposta indecente di Adrian Lyne (ancora lui) scriverà il suo stesso epitaffio. Anche se, forse, l’epitaffio perfetto del thriller erotico si poteva leggere sulla locandina di Rivelazioni: «Sex is power», un calco evidente di quel «Greed is good» che aveva definito il cinema degli anni Ottanta per bocca di Michael Douglas (ancora lui), tre parole che meglio di tutte spiegano gli anni Novanta americani e il genere cinematografico che ne è stato la rappresentazione.

In un’intervista concessa a Linda Ruth Williams per lo splendido The erotic thriller in contemporary cinema, Verhoeven ha parlato delle ragioni che secondo lui hanno portato all’eliminazione del thriller erotico dalla lista dei generi spendibili nella Hollywood contemporanea. Verhoeven, con l’umorismo che è stato la sua fortuna, ha spiegato che secondo lui è cominciato tutto all’inizio degli anni 2000, con il nuovo furore religioso della prima amministrazione di George W. Bush in politica e l’indignazione puritana delle nuove guerre culturali. Il thriller erotico era nato in America e in America è morto, dice Verhoeven. «Penso che tutti quanti pensino di avere Dio dalla loro parte. E siccome Dio non scopa, allora non dovremmo scopare nemmeno noi».