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È morto D’Angelo, l’artista che ha prima rivoluzionato e poi abbandonato la musica soul Aveva 51 anni ed era malato di cancro. Lascia in eredità tre album diventati culto e una storia personale caratterizzata dal difficile rapporto col successo.
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È morto D’Angelo, l’artista che ha prima rivoluzionato e poi abbandonato la musica soul

Aveva 51 anni ed era malato di cancro. Lascia in eredità tre album diventati culto e una storia personale caratterizzata dal difficile rapporto col successo.

15 Ottobre 2025

È morto a 51 anni D’Angelo, uno dei musicisti che più hanno contribuito al rinnovamento della scena dell’R&B americano negli anni ’90, dando un contributo fondamentale alla nascita del movimento neo-soul. A dare la notizia della sua scomparsa è stata la famiglia, rivelando che da tempo D’Angelo era malato di cancro: «Dopo una lunga e coraggiosa battaglia contro il cancro […] D’Angelo se ne è andato. Siamo addolorati che possa lasciare alla sua famiglia solo cari ricordi, ma siamo eternamente grati per l’eredità musicale straordinariamente commovente che lascia dietro di sé..» Compositore, cantante, polistrumentista e produttore musicale, D’Angelo lascia tante collaborazioni (con i The Roots, A Tribe Called Quest, Lauryn Hill, B.B. King, solo per citare le più note) e “soltanto” tre album, tra i più discussi della storia recente della musica americana.

Appena 21enne, nel 1995 pubblicò l’album di debutto Brown Sugar. Fu un successo immediato: da sconosciuto artista proveniente dalla Virginia trasformò la scena soul, diventando l’inizio e l’interprete del suo rinascimento, il cosiddetto neo-soul. Consumatore onnivoro di generi musicali, nel suo album d’esordio sintetizzò il sound classico del soul con le sonorità più innovative che stavano rinnovando R&B negli anni ’90, arrivando a contaminare il pop mainstream, come ricorda nel lungo profilo-playlist dedicato all’artista il New York Times. 

Cinque anni dopo D’Angelo pubblica Voodoo, l’EP della maturità artistica ma anche l’inizio di un periodo personale difficilissimo. Mentre la critica e il pubblico accolgono il suo secondo album come un capolavoro, D’Angelo deve resistere ai suoi stessi produttori, che insistono per una svolta più commerciale che lo porti a un successo ancora più ampio, più mainstream. Introverso di natura e poco amante di interviste e apparizioni pubbliche, D’Angelo viene convinto ad allenarsi per presentarsi più magro e muscoloso sul set del video di Untitled, dove gli viene chiesto di cantare la sua canzone vestito solo di una catenina d’oro col crocifisso al collo. Il primo piano dei suoi occhi, il corpo scolpito che emerge e scompare dallo sfondo nero quasi “coprono” la potenza del pezzo e dell’album complesso, stratificato e artisticamente compiuto che quel singolo finisce per rappresentare. 

D’Angelo diventa al contempo una delle voci più influenti della musica statunitense ma anche una di quelle più difficili da intercettare, rifiutando ostinatamente qualsiasi intervista. Si chiude in un silenzio che dura anni, che poi il pubblico scoprirà essere stati anni di profonda sofferenze, di malessere psicologico e grave alcolismo, come ricordato in queste ore da Spin, che in queste ore ha ripubblicato un pezzo del 2008 intitolato “D’Angelo: What the Hell Happened?”. Per più di un decennio i musicofili s’interrogano su dove sia finito, cosa sia successo, mentre il resto dell’industria musicale inizia a capire, elaborare e imitare Voodoo.

Il terzo e ultimo album arriva nel 2014, a sorpresa: Black Messiah viene anticipato di un anno rispetto all’uscita programmata perché D’Angelo sente l’urgenza di tornare sulla scena mentre negli Stati Uniti cresce il movimento Black Lives Matter, convinto dell’impatto che la musica possa avere in un momento così delicato. Racconto dei suoi problemi e delle sue opinioni, Black Messiah è l’album più politico di D’Angelo e diventa una colonna sonora di quei mesi di protesta e rivolta. In una delle sue rare interviste, concessa a GQ all’uscita dell’album, disse della musica che «è un mezzo molto potente in cui siamo coinvolti. Ho imparato in tenera età che quello che facevamo nel coro era importante tanto quanto quello che faceva il predicatore. Il palco è il nostro pulpito, e puoi usare tutta quell’energia e quella musica e le luci e i colori e il suono. Ma sai, devi stare attento».

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