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20:21 mercoledì 10 dicembre 2025
Si è scoperto che Oliver Sacks “ritoccò” alcuni casi clinici per rendere i suoi libri più appassionanti e comprensibili Un'inchiesta del New Yorker ha rivelato diverse aggiunte e modifiche fatte da Sacks ai veri casi clinici finiti poi nei suoi libri.
Lo 0,001 per cento più ricco della popolazione mondiale possiede la stessa ricchezza della metà più povera dell’umanità, dice un rapporto del World Inequality Lab Nella ricerca, a cui ha partecipato anche Thomas Piketty, si legge che le disuguaglianze sono ormai diventate una gravissima urgenza in tutto il mondo.
È morta Sophie Kinsella, l’autrice di I Love Shopping Aveva 55 anni e il suo ultimo libro, What Does It Feel Like?, era un romanzo semiautobiografico su una scrittrice che scopre di avere il cancro.
La Casa Bianca non userà più il font Calibri nei suoi documenti ufficiali perché è troppo woke E tornerà al caro, vecchio Times New Roman, identificato come il font della tradizione e dell'autorevolezza.
La magistratura americana ha pubblicato il video in cui si vede Luigi Mangione che viene arrestato al McDonald’s Il video è stato registrate dalle bodycam degli agenti ed è una delle prove più importanti nel processo a Mangione, sia per la difesa che per l'accusa.
David Byrne ha fatto una playlist di Natale per chi odia le canzoni di Natale Canzoni tristi, canzoni in spagnolo, canzoni su quanto il Natale sia noioso o deprimente: David Byrne in versione Grinch musicale.
Per impedire a Netflix di acquisire Warner Bros., Paramount ha chiesto aiuto ad Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi e pure al genero di Trump Lo studio avrebbe chiesto aiuto a tutti, dal governo USA ai Paesi del Golfo, per lanciare la sua controfferta da 108 miliardi di dollari.
Sempre più persone si uniscono agli scream club, cioè dei gruppi in cui per gestire lo stress invece di andare dallo psicologo ci si mette a urlare in pubblico Nati negli Stati Uniti e arrivati adesso anche in Europa, a quanto pare sono un efficace (e soprattutto gratuito) strumento di gestione dello stress.

Dago macchina del fango? Mah

28 Giugno 2011

Pubblichiamo un editoriale di Alberto Piccinini su Dagospia e sul suo inventore nei giorni in cui il sito è finito nel tritacarne P4 e accusato di essere parte della fantomatica macchina del fango.

D’AGOSTINO Roberto. Detto Dago, come Dagospia. Come il sito “incastrato” in questi giorni dalle intercettazioni dell’inchiesta P4 per i rapporti col nuovo Gran Burattinaio, Luigi Bisignani. Una telefonata su Mara Carfagna e Italo Bocchino (e chissà che altro). Pubblicità per 100.000 euro ricevuta dall’Enel su interessamento del Burattinaio. Peggio ancora: la convinzione del pm Woodcock che Bisignani fosse un “cogestore” del sito. Netta la risposta di D’Agostino, che ha querelato per diffamazione il giornalista diRepubblica autore delle rivelazioni dei verbali dell’inchiesta, e ha aggiunto: “Io rivendico, come giornalista,il mio diritto di chiamare al telefono anche il diavolo in persona pur di ottenere notizie e indiscrezioni escenari prossimi venturi”.

Non che Dagospia abbia mai goduto di grande reputazione, giornalisticamente e moralmente parlando. C’è stato un periodo in cui i giornalisti lo sbirciavano dal computer, senza farsi scoprire. Da ultimo era fonte riconosciuta. Ma nemmeno le riviste e le agenzie specializzate in dossieraggi dei misteri italiani (tipo Opdi Pecorelli) hanno mai goduto di gran reputazione. Giustamente. Dagospia però è stato un fenomeno indiscusso del post-giornalismo italiano recente, per stile, presenza, efficacia. E’ stato modellato su Drudge Report, il sito internet che fece esplodere grazie alla Rete lo scandalo Clinton sulla scena della news (rubò lo scoop al troppo prudente Newsweek). Fino al plagio: fondo bianco, foto, lettering qualsiasi. Legato a due o tre cose, molto romane: più gossip su poltrone Rai che su attricette e vip, insider di misteriosi scenari economici, foto di potenti alle feste dei potenti. Il Cafonal di Umberto Pizzi, vecchio paparazzo comunista specializzato nel mostrificare i suoi soggetti, è un’invenzione di Dago.

Riassumo quel poco altro che so di D’Agostino. Negli anni ’60, per esempio, andava in pellegrinaggio da Fernanda Pivano col suo amico Paolo Zaccagnini, girava per Roma con Renato Zero, frequentava il Piper. Nel ’70 lavorava in banca, perché era figlio di una famiglia normale, nato a San Lorenzo. Intanto scriveva su Ciao 2001 e Rockstar, e – mi pare – metteva dischi in una radio privata. Si inventò il Titan, il primolocale punk-rock di Roma (e ci costruì sopra una riflessione teorica pubblicata su due pagine da Lotta Continua). Pochi anni dopo, con le cravatte di Memphis e le giacche oversize girava discoteche new wave ma soprattutto appariva nelle trasmissioni di Arbore come ”lookologo”. Un cazzaro, ma divertente.

Il resto, forse, si ricorda un po’ meglio. La discesa all’inferno di D’Agostino nel trash italiano è arrivata fino a Domenica in e a Sanremo. A tirare un brocca d’acqua in testa a Sgarbi, nella trasmissione di Ferrara. Intanto scriveva la rubrica “Spia” per l’Espresso. Gli venne chiusa quando scrisse che Agnelli portava sfiga. Aprì Dagospia, scommettendo sulla Rete, e non era così scontato. Da lì ha iniziato la risalita da figurina del trash popolare per specializzarsi in trash del potere come operazione artistica. Più o meno.

Ultimamente, dopo qualche problemino di salute, Dago ha avuto una sbandata mistica e si è riempito il corpo di tatuaggi stile mistico-messicano. Incontrandolo di recente per un’intervista nella sua casa-attico sul lungotevere, con due enormi statue di Mao e Berlusconi sul tetto (si vedono illuminate nellanotte se guardate in alto poco prima dell’incrocio con via Tomacelli), sono stato fulminato da una specie di personaggio alla Thomas Pynchon: un vecchio hippy con la barbetta diabolica, ossessionato dal Complotto e dagli arcani del Potere. Vagamente stonato, in senso buono. E abbastanza furbo da ficcarsi in maniera un po’ cialtrona, un po’ rock’n’roll, dentro gli eterni regolamenti di conti tra potenti italiani.
Ha cominciato con Cossiga, amante del torbido e sufficientemente pazzo per maneggiare i mille misteri italiani. Cossiga – lo dice D’Agostino – fu il vero ispiratore di Dagospia. Dava “dritte” e gossip che D’Agostino, sempre per sua ammissione, manco capiva. Ma pubblicava. Che Bisignani abbia sostituito Cossiga nellaparte del diavolo, è del tutto possibile. Che Dagospia sia un’articolazione della macchina del fango, avrei qualche dubbio a sostenerlo, come invece fa perentoriamente “La Repubblica” in questi giorni.

D’altra parte, per tre quarti Dagospia funziona come una rassegna stampa. E per un quarto dà voce all’insopportabile vandea intellettuale di destra in apposite rubriche delle lettere (copiate – a detta di Dago – dalla pagina delle lettere di Lotta Continua). In un certo senso la sua responsabilità è limitata. E’ post-giornalismo nel senso del copia-incolla. E’ stato pure schifosamente berlusconiano, quando andava di moda. Ora è schifosamente antiberlusconiano. Solo l’ultimo quarto dei contenuti di Dagospia è farina del sacco di Dagospia: bizzarri gossip economici, anticipazioni di notizie vere, rivelazioni da corridoi Rai. A qualcuno interessa.

“Io ho imparato una cosa: il potere non è quello che si vede”. D’Agostino ama definire così il suo lavoro nel torbido dell’informazione, in quel secondo livello che solitamente era riservato agli addetti ai lavori, ma non al pubblico. E che oggi è la vera posta in gioco. Cosa rivela la P4 se non la stessa sindrome Matrix che accompagna la storia di questo paese almeno dal dopoguerra? Di questa sindrome, di certo, D’Agostino non è responsabile. Nutrire l’ego e il narcisismo di chi si sente un po’ più fico perché grazie a Dagospia conosce “il retroscena” è invece un effetto da non sottovalutare. Altro è capire se poi questo retroscena è un altra messainscena, o cosa.

E’ D’Agostino un raffinato furbone? Un perfido anarchico? La pedina di un gioco più grande di lui? E’ tutte e tre le cose insieme?

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