Attualità
Da George Washington allo Spaventapassere
Come continuerà la carriera schizofrenica di David Gordon Green, promessa del cinema d'autore americano finito per firmare buddy movie a base di cannabis?
David Gordon Green è uno dei registi più bizzarri in attività. All’ultima Mostra del Cinema di Venezia ha portato Joe, il suo ultimo lavoro che, stando alle recensioni dei fortunati che l’hanno visto, è il film della maturità. Una cosa molto scontata da dire, ma nel suo caso quest’affermazione assume un significato particolare. Il problema è che parliamo di un regista dalla filmografia quasi schizofrenica o, quanto meno, poco prevedibile. Partiamo dal suo penultimo film, Prince Avalanche, remake dell’islandese Á Annan Veg del 2011 e che, sempre stando alle critiche, sembra essere un’ottima anticipazione di Joe. Nel 1987 un terribile incendio, di cui ancora oggi non si conosce la causa, ha cancellato settecentomila acri di foreste in Texas. Case distrutte, vite finite e un danno ecologico incalcolabile. L’anno successivo due operai, interpretati da Paul Rudd ed Emile Hirsch, sono incaricati di risistemare la striscia d’asfalto che passa attraverso quel territorio. Banalmente: devono rifare le linee sul manto stradale, mettere i paletti ai bordi e cose del genere. E Prince Avalanche è tutto qui: nel rapporto tra i due protagonisti, costretti a vivere insieme nella foresta, e nei piccoli incontri che punteggiano la narrazione. C’è un camionista alcolizzato e saggio solo come i camionisti alcolizzati del Texas possono essere e una donna che cerca i propri ricordi nella cenere della sua vecchia casa, distrutta dal fuoco. Un film che a un potenza delle immagini spesso sconvolgente contrappone un’aria quasi sospesa, impalpabile. David Gordon Green realizza un’opera difficilissima che basa gran parte del proprio fascino sulla fusione tra l’Uomo e la Natura, tema a lui caro e che prende in prestito da quello che è stato a lungo il suo nume tutelare, ovvero Terrence Malick.
Se già All The Real Girls non era andato bene al botteghino, Undertow è un mezzo disastro finanziario. Al solito però la critica ne è entusiasta e Roger Ebert continua a parlare di Green come di una e vera promessa del cinema d’autore statunitense
David Gordon Green esordisce nel 2000 a soli 25 anni con il bellissimo George Washington, presentato anche questo al Festival di Venezia. Si tratta di un film piccolo che racconta con uno stile assolutamente personale la vita (e la morte) di un gruppo di bambini, più o meno sui di dodici anni, che vivono nella più totale povertà in Carolina del Nord. Il film gira il mondo in lungo e in largo per tutti i maggiori festival di cinema e David Gordon Green è un nome di quelli sui cui puntare. Due anni dopo è la volta del dramma d’amore All The Real Girls che viene presentato al Sundance Film Festival. La storia è quella di un ventenne incapace di avere una relazione stabile che si innamora della sorella vergine del suo migliore amico. Il film ha un cast per l’epoca incredibilmente lungimirante: Paul Schneider, Zooey Deschanel, Shea Whigham e Danny McBride. Una volta uscito in sala All The Real Girls va piuttosto male dal punto di vista economico, ma ancora una volta la critica è tutta con lui. Del valore del regista si convince proprio lui, Terrence Malick, che nel 2004 produce Undertow, terzo film di Green. Questa volta la storia è quella di due ragazzini interpretati da Jamie Bell e Devon Alan che vivono insieme al padre, lo straordinario Dermot Mulroney, in un’isolata fattoria in Georgia. Dal nulla rispunta uno zio, Josh Luca, che dopo un tentativo di convivenza forzata finisce per uccidere il padre e per tentare di eliminare anche i due bambini. Lo stile del regista continua a rafforzarsi e Undertow è un ottimo film che sembra anticipare il cinema di Jeff Nichols, il cui esordio Shotgun Stories, non a caso, è prodotto proprio da David Gordon Green. Ma c’è un problema: la produzione di un nome come Malick, un protagonista come Jamie Bell e un villain con le fattezze di Josh Lucas fanno uscire la pellicola dagli ambienti a cui è ormai abbonato il regista e si comincia a giocare con i grandi nomi. E se già All The Real Girls non era andato bene al botteghino, Undertow è un mezzo disastro finanziario. Al solito però la critica che conta è entusiasta e il compianto Roger Ebert continua a parlare di Green come di una e vera promessa del cinema d’autore statunitense.
Nel 2007 si torna al Sundance con Snow Angel, un drama molto cupo sulla vita di una piccola cittadina di provincia che vede come protagonisti la bella Kate Beckinsale – evidentemente in cerca di riscatto e affetta dai sensi di colpa per aver partecipato a Underworld – e dal bravissimo Sam Rockwell. Il film ha un’uscita limitata in sala e poi circola in Dvd ma al di là di qualche critica entusiasta segna una piccola pausa nella creatività del regista. Non che sia inferiore o diverso da quello a cui ci ha abituati, anzi. Il problema è che sembra ormai incapace di uscire da quelle atmosfere o storie. Il cinema di David Gordon Green, che solo sette anni prima s’era abbattuto sul panorama statico e poco stimolante dell’indie americano, comincia ad essere forse prevedibile. E Lui reagisce in maniera del tutto inaspettata.
Costato 25 milioni di dollari, ne incassa più di 100. Un successo del genere ha delle conseguenze: Green passa dall’altra parte della barricata e diventa uno dei registi di riferimento per la nuova ondata del cosiddetto Frat Pack
Nel 2008 l’alfiere del cinema indipendente e d’Autore del decennio si mette dietro la macchina da presa per Strafumati, titolo italiano di Pineapple Express, una commedia con James Franco, Danny McBride e Seth Rogen (qui anche sceneggiatore insieme a Evan Goldberg), prodotta da Judd Apatow. Si tratta di una buddy comedy con giallo annesso, incentrata su un’erba potentissima (la Pineapple Express del titolo) e con un numero di “fuck” esagerato. Ok, è un film girato bene, da un regista che si vede che sa quello che fa, ma non c’è nulla che possa avvicinare Strafumati a George Washington. Costato venticinque milioni di dollari, ne incassa più di cento. Ovviamente un successo del genere ha delle conseguenze: David Gordon Green passa dall’altra parte della barricata e diventa uno dei registi di riferimento per la nuova ondata di stralunate comedy del cosiddetto Frat Pack. La cannabis è alla base anche del film successivo di David Gordon Green che esce nel 2011 con il titolo di Your Highness che in Italia traduciamo (perdendo il doppio senso) come Sua Maestà. Il budget è altissimo e gli attori in campo sono più che noti; c’è ancora James Franco, c’è Natalie Portman, Toby Jones, Zooey Deschanel e Danny McBride. L’idea di mescolare la comedy bromance più volgare che si possa immaginare con il fantasy sembra geniale, ma tutto rimane solo sulla carta. Your Higness è un pasticcio abbastanza insulso che non piace quasi a nessuno, soprattutto al pubblico: dei 50 milioni di dollari spesi se ne recuperano poco più della metà. Ma ormai quella sembra essere la strada intrapresa dal nostro che, invece di tornare sui suoi passi e dedicarsi a un cinema più personale, rilancia con The Sitter, tradotto in italiano – tenetevi molto forte – Lo Spaventapassere. Jonah Hill, studente universitario senza alcun talento o iniziativa, si trova costretto a fare il babysitter per una notte a tre bambini. Durante la serata succederà veramente di tutto tra spacciatori, discoteche, travestiti, sesso e festini vari. The Sitter piace ancora meno di Your Higness alla critica che lo boccia senza appello.
David Gordon Green comincia ad essere considerato un povero pazzo colpevole di aver gettato alle ortiche un talento. In realtà nei suoi film c’è sempre un tocco riconoscibile e soprattutto nel frattempo fa le cose più belle della sua carriera, ovvero alcune puntate della serie tv della Hbo Eastbound & Down. Lo show, di cui vi abbiamo già parlato, è l’esatto punto di unione tra le due diverse carriere di Green. Si tratta di una comedy, non c’è dubbio, ma al tempo stesso è l’esempio più lampante di come il genere negli Stati Uniti si presti anche a derive drammatiche. Il regista, insieme ai creatori della serie Jody Hill, Ben Best e il solito McBride, recupera in gran parte il suo stile e lo mette a disposizione di alcune delle puntate più dolenti della serie. Forse è anche grazie a quest’esperienza che trova il coraggio di tornare sui suoi passi e girare due film come Prince Avalanche e Joe. Ma le sorprese non finiscono qui: da tempo si parla di un suo remake di Suspiria del nostro Dario Argento. Che stia per partire una terza parte della carriera di David Gordon Green?