Attualità | Esteri

Cuba: una rivoluzione per salvare la Rivoluzione

Quali sono i principali motivi della rivolta contro il regime che potrebbe cambiare il corso della storia dell'isola caraibica.

di Alberto de Filippis

Luglio 2021, Cuba (Photo by YAMIL LAGE/AFP via Getty Images)

Immaginate se le lotte del Risorgimento italiano fossero iniziate a Rimini. A Cuba la rivolta che rischia di cambiare il corso della storia dell’isola caraibica è iniziata nel posto in cui nessuno si aspettava. Tutto comincia in una località turistica della provincia: San Antonio de los baños. La città è anche conosciuta come la capitale dell’umorismo, dove si celebra il festival internazionale della caricatura. Fino al luglio del 2021. Da qualche settimana infatti, la cittadina è diventata l’epicentro della protesta che sta scuotendo per la prima volta il regime castrista nelle sue fondamenta. È qui che già negli anni ’90 del secolo scorso iniziarono le proteste che finora avevano rappresentato il peggior momento per il governo comunista. Allora, l’Unione Sovietica stava disgregandosi ed erano venute a mancare le importazioni provenienti da Mosca, più che alleato politico vero motore economico dell’isola. Il Paese latinoamericano andò incontro al cosiddetto “periodo especial”, un periodo di duro razionamento. Fra il 1990 e il 1994, Cuba perse oltre il 36 per cento del pil. L’Urss vendeva a Cuba petrolio a prezzi preferenziali. Il greggio veniva poi rivenduto sul mercato internazionale e la differenza permetteva giganteschi benefici, senza dimenticare linee di credito a interessi quasi inesistenti per i compagni all’Avana. Scomparso l’alleato sovietico bisognerà attendere l’alleanza con il Venezuela di Chavez per ritrovare un’altra nazione tanto disposta a investire, a perdita, sull’isola.  

Anche nel 1990 le proteste iniziarono a San Antonio e si estesero alle province di Mayabeque e Matanzas fino a Varadero, vero cuore del turismo da spiaggia nel paese. Un caso più unico che raro visto che mai, in oltre sessant’anni di rivoluzione cubana si erano verificate proteste e manifestazioni al di fuori della capitale l’Avana. Tranne appunto, che agli inizi degli anni ‘90 con il cosiddetto “maleconazo”. E oggi.   

Come ogni volta che viene attaccato sul piano sociale, politico e delle libertà civili, il regime cubano cerca di accusare di ogni male il blocco navale statunitense. In realtà il blocco è solo nei discorsi propagandistici. Cuba fa affari con tutto il mondo, dalla Spagna, alla Cina e persino con gli Stati Uniti. Il 66 per cento del pollo che fa parte della dieta basica cubana proviene da allevamenti statunitensi. Inoltre era il regime, non Washington che aveva imposto il divieto alle importazioni di medicinali. La bilancia commerciale cubana non è certo quella di un Paese strangolato dalle sanzioni.  Ma com’è possibile che il regime abbia perso il  controllo della situazione proprio oggi? Si è trattato di una serie di concause: nel 2018 il governo, attraverso la sua controllata Etecsa, inizia a permettere l’uso di internet sui cellulari. Questo offre ai cubani il modo di aggirare la censura, anche grazie alle reti vpn. Le informazioni, non più controllate, iniziano a circolare liberamente. E poi arriva il Coronavirus. 

In una società che vorrebbe essere impermeabile alle ingerenze esterne, è stato proprio il regime cubano a portarsi il Coronavirus in casa. Viste le difficoltà in cui versava e versa l’alleato Venezuela, l’economia cubana non poteva certo prescindere del turismo straniero per ottenere valuta forte: euro e dollari su tutto. E l’unica fonte di reddito a portata di mano era appunto il turismo. 

Uno dei bastioni economici del castrismo è il consorzio Gaesa (Grupo de Administración Empresaria), un gruppo in mano ai militari che controlla, fra l’altro gli hotel di lusso dove sciamavano ogni anno migliaia di turisti. Gaesa detiene il gruppo turistico Gaviota che possiede a sua volta un centinaio di residenze turistiche sull’isola. Il turismo pre coronavirus rappresentava oltre 3 miliardi di dollari. Per non rinunciare a questa fonte di denaro l’Avana ha quindi riaperto le porte ai visitatori, in particolare quelli provenienti da un vecchio Paese amico, la Russia. E il problema è che Mosca ha prima avuto dei ritardi nella vaccinazione, che ancora oggi non è così diffusa come nell’Unione Europea, e poi è stata colpita più di altre nazioni dalla temuta variante Delta. Malgrado tutto questo, frotte di turisti russi sono sbarcati sull’isola. A partire dal febbraio di quest’anno centinaia di essi sono risultati positivi, soprattutto nella provincia di Matanzas dove si trova Varadero. Così che, malgrado i tentativi di isolamento, la malattia si è diffusa in una nazione già in gravissime difficoltà economiche. 

Il regime ha cercato a questo punto di correre ai ripari aumentando le interruzioni di elettricità e tagliando internet per evitare che attraverso Whatsapp, ad esempio, gli oppositori potessero organizzarsi. Considerando però che la marea continuava a montare soprattutto nelle classi più povere, il presidente Diaz-Canel è andato in televisione per chiedere ai sostenitori del regime di scendere in strada a contrastare i manifestanti, definiti come controrivoluzionari e non come gente che aveva semplicemente fame. 

L’offensiva mediatico-diplomatica intanto, in questi giorni, prosegue, soprattutto all’estero, in maniera abbastanza scomposta. Il superministro degli affari esteri europei, il catalano Josep Borrell che certamente non è mai stato nemico della sinistra latinoamericana, si è visto attaccare per una risoluzione europea abbastanza tiepida che chiedeva al regime di rispettare il diritto dei cittadini a manifestare. E nemmeno la diplomazia medica cubana con l’invio di personale in tutto il mondo sembra più in grado di fermare le critiche soprattutto dopo che l’Onu ha riconosciuto che molti di questi “medici” erano in realtà lavoratori forzati che vedono solo una minima parte del denaro versato al regime cubano per fornire la propria manodopera a basso costo.

Neppure la diplomazia vaccinale pare funzionare. Il vaccino cubano Soberana Plus non sembra molto popolare neppure nella regione e persino a Caracas e Buenos Aires ne preferiscono altri per affrontare la pandemia. I dati sui decessi per Coronavirus a Cuba non sono contestati da nessuno, ma è il regime che li fornisce. È impossibile effettuare ricerche indipendenti. E i video che mostrano la situazione in cui versano i nosocomi cubani sono un tantino differenti da quello di cui parlano gli esegeti del regime.    

Se all’esterno il governo mostra compattezza, all’interno però pare sia iniziato un repulisti (a meno che non si voglia credere che la morte di cinque generali cubani, in cinque giorni, sia uno caso sfortunato). I dissidenti cubani, soprattutto all’estero hanno ripreso coraggio. Anamely Ramos, insegnante, una delle fondatrici del movimento di opposizione San Isidro, costretta a riparare in Messico è stata lapidaria, offrendo una sintesi di quanto sta succedendo: «Non ci hanno creduto per anni. Soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, ci hanno definito mercenari dell’imperialismo. Adesso qualcuno comincia a porsi delle domande. Io capisco che sia esaltante cercare di riempire la propria vita con ideali come l’eguaglianza e la difesa dei diritti civili. Ma allora perché anche noi di questi diritti non dobbiamo goderne? Perché dobbiamo essere l’eccezione in nome di un’utopia che ha condotto il Paese alla rovina? […] Vorrei che la gente fuori capisse che non è giusto che a noi vengano rifiutate conquiste date per scontate in quasi tutto il mondo. Perché bisogna ammettere che il sogno di alcuni è il nostro incubo».