Attualità

Cosa faremo da grandi

La tecnologia ci migliora la vita ma ci "ruba" il lavoro. Che fare? La scuola alle prese con la sfida del futuro: insegnare ad avere buone idee. Ecco di cosa parla il nuovo numero di Studio, dal 13 giugno in edicola e su iPad.

di Federico Sarica

A un certo punto, durante l’ultima stagione di Mad Men, compare il computer. Enorme, viene posizionato nella stanza che fu dei creativi. Copywriter e art director iniziano a passare gran parte del tempo a bere lunghi caffè fissando attoniti il nuovo macchinario, domandandosi che ne sarà di loro. Uno ci esce pazzo, letteralmente. Le parti della commedia ci sono tutte: il copywriter terrorizzato, l’amministratore cinico convinto che i creativi serviranno sempre di meno, l’entusiasta del futuro, il conservatore scettico. Le scene si svolgono nel 1969.

Sì, quando parliamo di rivoluzione digitale che cambia il mondo del lavoro, semplicemente aggiorniamo l’eterno dilemma di come porsi di fronte al progresso e prendiamo atto della maturazione di un processo iniziato almeno trent’anni fa. Nei primi giorni del 2014 è uscito negli Stati Uniti un libro importante che prova, con dati e ampie riflessioni, a far luce su tutto ciò. Si intitola The Second Machine Age, la seconda era delle macchine, scritto due professori, Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee. Il sottotitolo recita: “lavoro, progresso e prosperità in un’era di brillanti tecnologie”. Il tema è enorme, ma si può brutalmente sintetizzare così: la tecnologia ci migliora la vita ma ci “ruba” il lavoro.

La prima domanda da porsi è ovvia: ma è vero? La seconda, conseguente, è: come usciamo da questa situazione? Brynjolfsson e McAfee nell’introduzione scrivono: «la digitalizzazione porta con sé sfide molto difficili. Ciò non dovrebbe allarmarci: anche i più benefici dei progressi hanno conseguenze spiacevoli che vanno gestite. La rivoluzione industriale fu accompagnata dai cieli inquinati di Londra e da un orribile sfruttamento del lavoro minorile. Quale sarà il loro equivalente moderno? La rapida digitalizzazione sta avendo conseguenze più economiche che ambientali, partendo dal facile assunto che più i computer acquisiranno potere, meno le aziende avranno bisogno di alcune categorie di lavoratori. Il progresso tecnologico più andrà avanti più lascerà indietro alcune persone, probabilmente molte. Non c’è mai stata un’epoca migliore per un lavoratore con abilità speciali o la giusta istruzione, perché saranno loro i soggetti che potranno usare la tecnologia per creare valore. Contemporaneamente, non c’è mai stato periodo peggiore per i lavoratori con capacità “ordinarie”, perché i computer e le tecnologie digitali stanno portando quelle abilità a livelli straordinari».

Forse il punto è proprio in una parola magica di quel paragrafo: istruzione. Forse la sfida vera che abbiamo di fronte parte dai luoghi dove potenzialmente si costruisce il futuro: le scuole. È lì che si formano le società di domani, ed è lì che si può insegnare quella che diventerà un’abilità sempre più centrale: avere buone idee. Che è l’unica cosa che la tecnologia non farà mai meglio di noi. Ma i sistemi scolastici sono all’altezza del cambiamento che hanno di fronte? A che punto si trovano della loro evoluzione? Come dovrebbero cambiare? Quali sono i nuovi modelli globali di education? E le aziende, di conseguenza, come stanno reagendo di fronte a quest’epoca di rottura? E le nuove generazioni? Tante domande, uno scenario incredibilmente in movimento. Storie, modelli, persone, dati, proposte: questo troverete nel nostro lungo speciale “Cosa faremo da grandi”, in edicola e su iPad da venerdì 13 giugno Perché qualcosa faremo, l’abbiamo sempre fatto. Indietro non si torna, questo resta il dato più entusiasmante.

 

Nell’immagine: sala centrale della biblioteca della Humboldt University a Berlino (foto di Natalie Toczek per Studio)