Attualità | Coronavirus

Nord e Sud si sono capovolti

Sui contagi del Coronavirus, le due parti d'Italia (e Fontana e De Luca) per una volta si sono scambiate i ruoli.

di Arnaldo Greco

La statua di Dante con la scritta «L'amore vince su tutto» in una piazza Dante deserta nei giorni della quarantena (Photo by CARLO HERMANN/AFP via Getty Images)

Il 21 febbraio, nelle stesse ore in cui un certo Mattia di Codogno diventa il paziente 1, a pochi chilometri di distanza, allo stadio Mario Rigamonti di Brescia, si gioca Brescia – Napoli. I tifosi del Brescia intonano per l’occasione un nuovo coro a cui hanno lavorato tutta la settimana – e che oggi, a due mesi di distanza, ci appare in tutta la sua prodigiosa insensatezza – «napoletani coronavirus» (o «napoletano coronavirus» secondo altre fonti), che, ai loro occhi, è un geniale aggiornamento di un coro che, da decenni, si sente in tanti stadi, quello su Napoli e il colera). Perché, come anche il completamento automatico di Google può confermare, colera e Napoli sono indissolubilmente legati, e perché il napoletano è sporco e si mangia il sapone, non solo secondo quelli che vanno in curva, semplicemente quelli hanno pure il coraggio di cantarlo. (Poi, a volte, qualcuno per rispondere se ne viene fuori con la storia del primo bidet d’Italia, installato proprio a Napoli, e allora le cose prendono una piega freudiana: chi risponderebbe a un’accusa così infame se non gli riconoscesse almeno un briciolo di verità?).

Da lì, per settimane, il timore che si è rincorso nelle chat, sui social, sui giornali e persino nei corridoi della politica, è stato quale disastro ci sarebbe stato quando il virus avrebbe messo piede a Napoli – Napoli veniva usata per sineddoche, pensavano a tutto il Sud – e poi quanto sono scellerati questi meridionali che scappano di notte, pur di non resistere nei loro bugigattoli al Nord, soli e senza stipendio, e poi ancora “guardate questi video di Napoli, quanta gente in mezzo alla strada” come se la densità abitativa della Pignasecca fosse identica a quella della collina torinese e, in percentuale, i numeri delle persone in giro non fossero simili ovunque. Quindi, ancora, ci si concentrava sul baldanzoso De Luca con la segreta convinzione che, nel breve, avrebbe dovuto moderare i toni, posare i lanciafiamme immaginari e pensare alle cose serie.

Una volta, questa dicotomia Nord – Sud sarebbe culminata nello scontro col partito politico che ha sposato gli slogan della curva, ma oggi che la nuova Lega ha una vocazione nazionale, lo scontro è stato tra il governatore Fontana e, per l’appunto, Vincenzo De Luca. Uno scontro che si sperava culminasse, ieri sera, nella puntata di Porta a Porta che li vedeva entrambi ospiti, anche se poi, come spesso accade, quando hanno condiviso lo schermo hanno provato a sopire le polemiche. (Possiamo essere altrettanto sicuri che dalla prossima diretta Facebook ricominceranno a beccarsi).

In realtà, fin dal primo momento, Fontana ha dimostrato la sua inadeguatezza a una sfida che ha subito perso ogni carattere politico per spostarsi nel campo della performance. Così, dove Fontana è rimasto immortalato mentre si ingarbugliava coi fili della mascherina sul viso come un personaggio della commedia dell’arte (e poi fingendo di non capire che il problema era la necessità di indossare la mascherina in diretta, mica quella di indossarla), De Luca assurgeva a personaggio su scala globale, elogiato da star americane come simbolo di pragmatismo politico e rendendo superflua la caricatura di Crozza: l’ha sorpassata a sinistra, interpretando al meglio le leggi su popolarità e vanità che valgono su internet. (È sempre quella storia di Napoli città del teatro, dove tutti sono in scena anche quando vivono. Come puoi vincerla sul piano dell’interpretazione contro De Luca?).

Nel frattempo, il 20 aprile, Napoli ha registrato la prima giornata senza nuovi contagi mentre l’Osservatorio nazionale sulla Salute ha comunicato che dal 9 maggio (forse in concomitanza con la nuova uscita di Liberato) in Campania non ci saranno nuovi contagi e mentre Milano continuava a macinare dati negativi. È vero, abbiamo imparato per sfinimento che tutti i dati presi così, estrapolati, non significano granché, e che nulla si può paragonare, e che tutto quello che ci sta succedendo lo capiremo tra anni, quando la scienza potrà rispondere accuratamente alle nostre domande. E pure che gli scenari cambiano quotidianamente. Però alcune cose, quelle senza dati, le possiamo osservare già ora. Per esempio, quando, nei giorni scorsi, un articolo di Michele Serra ha suscitato un enorme moto di indignazione tra i lombardi che si sono sentiti offesi in quanto “lombardi”. Ecco, quello è stato un movimento davvero inatteso. Perché solo fino a pochi mesi fa l’indignazione “in quanto romano” o “in quanto campano” era appannaggio solo del Sud. Altrove non era immaginabile.

E poi ci saranno di sicuro delle ragioni epidemiologiche serie per giustificare il mancato dilagare del Coronavirus nel sud del Paese in questa primavera, ma forse una ragione la si può ricavare anche in quel tradizionale fatalismo che in occasioni di questo tipo costituisce e, a volte, si sostituisce a una risposta efficace. Quel fatalismo per cui #milanononsiferma è uno slogan che in Campania non sarebbe mai potuto nascere. E che, nonostante qualcuno ci abbia provato, non avrebbe mai potuto avere seguito, anzi, forse ha suscitato qualche sorriso, qualche presa in giro, molte scrollate di spalle. Sembrano risposte semplici, da Napoli da cartolina o di Bellavista, dove l’ingegnere del Nord suscita timore per il solo desiderio di essere attivo, mentre il filosofo napoletano non si capisce bene come tiri a campare (e forse pure noi chiusi in casa ci auguriamo che a un certo punto De Luca e Fontana facciano la pace chiusi bloccati in ascensore come nel film), ma sono le uniche risposte che abbiamo a portata di mano mentre gli uomini politici ci intrattengono e la scienza prova a spiegarci se almeno possiamo tenere l’aria condizionata accesa d’estate o il virus si diffonde pure così.