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Confessioni di una sociopatica

«Chi sono io? Sono una persona libera dalle emozioni, sono furba e calcolatrice». Il memoir che vuole convincervi che essere stronzi è dono di pochi.

18 Ottobre 2013

Il lupo narcisista dice agli altri: «Sono una pecora, sono una pecora, faccio parte del vostro gruppo. Le pecore sono le migliori, questi lupi sono cattivi. Io sono una pecora molto speciale, se non mi credi, sei paranoico». Il lupo sociopatico dice a se stesso: «Diventa una pecora. Convinciti di essere una pecora. Tieni nascosto il lupo che è in te. Non cercare di convincere le pecore, comportati come una di loro. Poi divora».
(M.E. Thomas)

A volte mi chiedo se il genere umano non si divida in due categorie: da un lato i sociopatici, dall’altro quelli che vorrebbero esserlo.

“Sociopatico”, a dire il vero, è un termine piuttosto generico, e dalla dubbia valenza scientifica (il DSM, per esempio, non lo utilizza). Il dizionario Garzanti lo definisce come «affetto da sociopatia», ossia «stato patologico originato da fattori sociali», che è un po’ vago e c’entra poco con quello di cui stiamo parlando. In compenso TV Tropes, incantevole contenitore di archetipi contemporanei, spiega: «il Sociopatico è lontano dai classici “cattivi” o “criminali”. Unite alla determinazione a oltrepassare qualsiasi confine morale senza un briciolo di senso di colpa, un’acuta perspicacia delle debolezze altrui e una mancanza di empatia… e avrete il malvagio definitivo». Ecco, già ci avviciniamo. Tra gli esempi di sociopatici nella cultura pop, TV Tropes cita: Dexter, Walter White di Breaking Bad, praticamente tutti i serial killer di CSI, e molti dei personaggi di Games of Thrones. Ma la realtà che, se è vero che molti dei peggiori criminali sono sociopatici, non è necessario tagliare qualcuno a pezzettini o infrangere la legge in altri modi per essere sociopatici. Si può tranquillamente essere un sociopatico bene inserito nella società, sul genere Don Draper o Dr House.

Il libro di cui vorrei parlarvi è stato scritto da una sociopatica fin troppo bene inserita nella società. Confessioni di una sociopatica: Viaggio nella mente di una manipolatrice, che esce in questi giorni per Marsilio (la traduzione è di Errico Buonanno), è l’autobiografia di un’avvocatessa rampante, di bell’aspetto e ancora giovane, mormona praticante, che per anni ha lavorato per un prestigioso studio legale e più recentemente si è dedicata all’insegnamento. Si firma con lo pseudonimo M.E. Thomas, dove “M.E.” sta a indicare l’egocentrismo del personaggio, nonché il compiacimento che trae da esso.

Ha fatto parlare di sé parecchio. Un po’ perché il tema tira nel mondo anglosassone (vedi il successo di The Psychopath Test), un po’ perché, beh, è un libro interessante, e un po’ a causa dell’identità misteriosa dell’autrice e delle vicende che ne sono derivate.

Quando è uscito negli Stati Uniti la scorsa primavera, il memoir ha fatto parlare di sé parecchio. Un po’ perché il tema tira nel mondo anglosassone (vedi il successo di libri come The Psychopath Test di Jon Ronson), un po’ perché, beh, è un libro interessante, e un po’ a causa dell’identità misteriosa dell’autrice e delle vicende che ne sono derivate. Quando M.E. Thomas è apparsa, parzialmente travestita, cioè con una parrucca, al programma televisivo Dr Phil, qualcuno l’ha identificata come Jamie Rebecca Lund, docente alla St. Mary’s School of Law del Texas, e da allora l’università ha rimosso il suo profilo e si dice l’abbia pure licenziata.

C’è chi è rimasto stupito dal candore (o simulato tale) con cui M.E. Thomas parla dei suoi sentimenti (pardon, delle mancanza di). E in effetti l’autrice non perde l’occasione di ribadire la sua più genuina indifferenza per il prossimo, che spesso sfocia nel disprezzo preventivo, e l’amoralità che secondo lei ne consegue (non tutti, ovviamente, ritengono che empatia e moralità siano direttamente collegate. Simon Baron-Cohen, uno dei massimi esperti di autismo nonché cugino del più celebre Sacha, ha avuto cose interessanti da dire a riguardo). A scanso di equivoci, riporta anche la diagnosi che le è stata fatta da uno psichiatra: «pronunciata mancanza di empatia, approccio calcolatore e anaffettivo alle relazioni sociali e interpersonali, e una relativa incapacità di provare emozioni negative» e «tratti antisociali e psicotici (in particolar modo egocentrismo e ricerca di sensazioni forti), dominazione interpersonale, tendenza all’aggressione verbale e un’eccessiva considerazione di sé».

Eppure quello che mi ha colpito è la ricerca spasmodica da parte dell’autrice dell’ammirazione, e forse ancor più della gelosia, del lettore. M.E. Thomas non è soltanto una donna senza scrupoli e una «manipolatrice», come suggerisce il titolo, che incidentalmente ne va pure fiera. È una persona incapace di empatia e di rimorso che sente il disperato bisogno non soltanto di sbandierare la propria sociopatia, ma ancor più di insinuare nel lettore il dubbio e un pizzico d’invidia: se soltanto fossi come lei, non sarebbe tutto più facile?

M.E. Thomas si dichiara «incapace di provare emozioni negative». Sottotesto: tu, che di emozioni negative presumibilmente ne provi, non vorresti essere come me?

Tutto in Confessioni di una sociopatica trasuda un senso di beata superiorità, il convincimento di essere immune dall’insuccesso e dalla sofferenza, di potere farla franca in qualsiasi situazione, come quando l’autrice, ragazzina, riesce a fare espellere un professore che le dava voti bassi montando ad arte un caso di molestie sessuali. M.E. Thomas si dichiara «incapace di provare emozioni negative». Sottotesto: tu, che di emozioni negative presumibilmente ne provi, non vorresti essere come me? «Chi sono io? Sono una persona libera dalle emozioni più irrazionali e incontrollabili. Sono furba e calcolatrice. Sono intelligente, sicura di me e molto affascinante; ma faccio anche del mio meglio per reagire in maniera appropriata ai confusi segnali emotivi che mi vengono lanciati dalle altre persone».

Inoltre è determinata a convincervi che essere manipolato da un sociopatico è un’esperienza cui, sotto sotto, aneliamo. «Vi è mai capitato di usare il vostro fascino o la confidenza che avevate con qualcuno per fargli fare qualcosa che, altrimenti, non avrebbe mai fatto? Qualcuno potrebbe chiamarla manipolazione (…) ma si tratta solo di uno scambio. La gente vuole una determinata cosa – compiacerti, sentire che hai bisogno di lei, essere vista di buon occhio – e la manipolazione è solo un modo rapido, magari un po’ sporco, di far sì che entrambe le parti ottengano quel che vogliono». Un po’ come quella canzone degli Eurythmics: Some of them want to use you, Some of them want to get used by you.

Confessioni di una sociopatica è soprattutto un libro in cui l’autrice cerca di persuadere il lettore, o di “manipolarlo”, se preferite, dato il contesto. Da un lato M.E. Thomas cerca di convincerci che, nel più profondo, noi desideriamo essere manipolati da un sociopatico, dall’altro che tutte le persone “normali” (gli «empatici», come li chiama lei) vorrebbero essere dei sociopatici. Se solo potessero, visto che dall’empatia, ossia il vizietto che c’impedisce di restare indifferenti davanti alle ingiustizie e alle sofferenze altrui, non si sfugge. Un po’ (perdonate la seconda digressione musicale), come dire: esser stronzi è dono di pochi, farlo apposta è roba da idioti. M.E. Thomas, palesemente, vive la sua sociopatia come un dono, o se non altro questa è l’immagine che tiene a dare di sé. Ma il suo messaggio è un po’ diverso da quello degli Zen Circus.

Se fosse una canzone, suonerebbe così: esser stronzi è dono di pochi, e visto che farlo apposta è impossibile, rosicate pure.

Leggi anche: Don Draper, sociopatico.

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