Attualità

Don Draper, sociopatico

Da Mad Men ai Soprano, perché ci piacciono gli adorabili stronzi? La risposta del teologo Adam Kotsko (dove il pubblico non fa una bella figura).

di Anna Momigliano

Domenica prossima, sette aprile, comincia in America la sesta serie di Mad Men.  Per l’occasione abbiamo messo insieme un piccolo speciale dedicato alla serie. Qui la prima puntata.

In un episodio di South Park, Cartman è umiliato da un bulletto adolescente che gli vende i suoi peli pubici per dieci dollari. In un primo momento pensa di avere fatto un affare, convinto com’è che il solo fatto di “avere” dei peli faccia di lui un uomo (nessuno gli aveva spiegato che, per contare, la peluria doveva essere attaccata al suo corpo). Quando capisce di essere stato preso per i fondelli, però, decide di vendicarsi: ammazza i genitori del bulletto, li trita, e li serve sotto forma di hamburger all’ignaro adolescente. Che, quando si rende conto di avere fatto merenda con la carne dei suoi, scoppia in lacrime: Cartman ha avuto sua vendetta.

Nella puntata successiva tutto è tornato come prima. Cartman è il chiattone bastardo di sempre, che fa la vita di sempre, e lo stesso vale per tutti gli altri personaggi. Non è successo nulla.

«Peggy, ascoltami: esci da qui e va avanti. Tutto questo non è mai accaduto. Ti stupirà quanto non sia mai accaduto». Don Draper,  Mad Men, seconda stagione.

Alla fine della prima stagione di Mad Men, Peggy Olson partorisce un bambino di cui fino a un momento prima ignorava (voleva ignorare) la presenza nel suo stesso ventre. Onde salvaguardare reputazione e carriera, lo abbandona. Poco dopo (cioè nella seconda stagione, quinto episodio) Don Draper va a trovarla in ospedale: «Peggy, ascoltami: esci di qui, va avanti. Tutto questo non è mai accaduto», le dice. «Ti stupirà quanto non sia mai accaduto».

Cartman e Don Draper hanno due cose in comune (oltre, s’intende, all’essere personaggi immaginari): sono entrambi sociopatici e, il più delle volte, il loro comportamento sociopatico non risulta in conseguenze dirette da pagare. Sono due stronzi e la fanno quasi sempre franca, e di conseguenza si inseriscono in una interminabile sequela di “sociopatici di fantasia” (il termine sociopatico qui non ha valenza clinica) che costituiscono l’ossatura stessa delle serie televisive contemporanee. Questa, almeno, è l’opinione di Adam Kotsko, professione: teologo. Che nel suo ultimo saggio Why We Love Sociopaths: A Guide to Late Capitalist Television (Zero Books, 2012) scandaglia una assai variegata gamma di serie TV, per giungere a una conclusione: tutti i personaggi più amati sono dei sociopatici perché, nel profondo, tutti vorremmo essere dei sociopatici.

L’elemento comune che rende i protagonisti amabili agli occhi del pubblico: la mancanza quasi assoluta di empatia, un basso coefficiente di scrupoli e la capacità di farla franca.

Si va dai Simpsons ai Soprano, da Dexter a The Wire, da Seinfeld a Dr House. Dentro c’è TV fatta bene e TV dozzinale, insomma, e poco importa, perché a Kotsko non interessa fare l’elogio della serie televisiva come ultima frontiera della narrazione, quanto analizzare l’elemento comune che rende i protagonisti amabili agli occhi del pubblico: la mancanza quasi assoluta di empatia, un basso coefficiente di scrupoli e, non ultimo, la capacità di farla franca. Kotsko – che confessa di avere cominciato a scrivere di televisione per motivi banali: «mentre studiavo per il dottorato guardavo un sacco di TV, poi per una volta volevo occuparmi di qualcosa di diverso dalla teologia, un argomento più pop» – classifica i personaggi in tre categorie: gli “artefici di complotti” improbabili, che non soffrono conseguenze ma neppure traggono vantaggio del loro egotismo solipsistico, in quanto sprovvisti della capacità di farsi strada nel mondo adulto (Homer Simpson, Jerry Seinfeld e il sopracitato Cartman); gli “arrampicatori” che fanno della loro mancanza di rispetto per le regole del sistema lo strumento privilegiato per salire al vertice di quello stesso sistema (Don Draper, Tony Soprano); e infine i giustizieri che infrangono le leggi del sistema con l’intento dichiarato di proteggerlo (Dexter, ovvero il serial killer che squarta i serial killer, McNulty di The Wire)

Tu scrivi che non ci limitiamo ad amare i sociopatici, bensì li invidiamo profondamente: “Se solo potessi essere così spietato come Don Draper, potrei farmi strada in questo mondo…” Che origini ha questa illusione?

«Potrei essere uno di quegli stronzi di successo, ma sto scegliendo liberamente di non esserlo perché ho una coscienza»: questa è la fantasia che offre alle persone frustrate una valvola di sfogo.

In definitiva, si tratta dai nostri sentimenti di impotenza e il nostro senso che il sistema funziona solo per quelli che sono disposti a barare. La vecchia promessa che se si lavora sodo, si può godere di una comoda vita borghese non sembra tenere. Le serie TV di cui scrivo offrono alle persone frustrate una sorta di valvola di sfogo. Possono immaginare che avrebbero potuto andare avanti se solo avessero messo da parte la morale, si possono identificare con un personaggio di successo e carismatico, ma poi anche pensare a se stessi come moralmente superiori colui che ammirano. La fantasia è questa: «Potrei essere uno di quegli stronzi di successo, ma sto scegliendo liberamente di non esserlo perché ho una coscienza».

 

Se ho ben capito, secondo te quello che rende popolari i protagonisti sociopatici è non tanto la loro mancanza di scrupoli, quanto il fatto che riescano a non pagarne le conseguenze. Un po’ come in una inversione della vecchia formula del romanzo ottocentesco per cui un dato personaggio veniva inevitabilmente punito dal destino…

In parte quello che piace di questi show è sicuramente la soddisfazione che deriva dall’osservare i personaggi farla franca con i loro crimini. Credo che questo sia dia piacere alla maggior parte delle persone, semplicemente perché la maggior parte di noi si sente così impotente nella vita quotidiana, pochi di noi hanno una sicurezza nel lavoro, siamo sempre più appesantiti dal debito, e la politica e l’economia funzionano nella totale indifferenza ai bisogni e ai desideri umani.
In questo contesto, guardare qualcuno ottenere qualsiasi cosa, anche se si tratta di qualcosa di malvagio, funge da compensazione. (Naturalmente, se questi personaggi facessero qualcosa di buono, la trama non sarebbe più credibile)
Allo stesso tempo, credo che questi show vogliano in qualche modo “punire” i loro eroi. Per esempio, la freddezza emotiva di Don Draper lo aiuta a realizzare il suo incredibile ascesa, da figlio di una povera prostituta a potente dirigente di un’agenzia pubblicitaria, ma significa anche che egli trova incredibilmente difficile formare autentici legami affettivi con gli altri. In un certo senso, essere un sociopatico è presentata come una sorta di punizione in sé.

 

Veramente io pensavo che il “bello” di essere un sociopatico stesse proprio nell’immunità dai sensi di colpa e dunque da una buona dose di sofferenza…

La colpa non è l’unico modo per soffrire. Sia Dexter e Don Draper soffrono a causa della loro incapacità di formare legami umani, in questo senso, la loro forza più grande risulta essere anche la loro più grande debolezza. Questa “contraddizione” permette allo spettatore di avere una doppia soddisfazione: da un lato identificarsi con il loro successo, e al tempo stesso sentirsi moralmente superiore ai personaggi.

 

A un certo punto scrivi anche che alcune serie TV smaschererebbero «il pericolo della meritocrazia». Eppure il tratto distintivo di un sociopatico sta proprio nel vincere ignorando le regole, non per soli meriti. Non ti pare una contraddizione?

Il pericolo specifico della meritocrazia cui mi riferisco è che le persone che stanno risalendo la scala sociale non hanno intenzione di mettere in discussione i valori impliciti in quella scala. Anche se i personaggi stanno andando contro le regole ufficiali, al fine di raggiungere il successo, fondamentalmente accettano gli standard di successo da parte della società
In un certo senso, però, credo che questi personaggi ci mostrino la vera faccia della meritocrazia, le persone che hanno avuto successo in un sistema meritocratico non sono quelli con “oggettivamente” la più grande capacità o la maggiore più dedizione, bensì quelli che sono riusciti di ingannare il sistema con successo. Anche se c’è una norma apparentemente oggettiva come un esame, ad esempio, le persone che hanno un risultato migliore sono quelle che si sono pagate un corso intensivo per prepararsi…

 

Alla fine del libro scrivi che Gesù, Socrate e Buddha sono i «sociopatici definitivi» (e «sarebbero un ottimo materiale per una serie TV»). Vuoi spiegare in che modo?

I sociopatici della TV permettono allo spettatore di identificarsi con loro, ma allo stesso tempo lo fanno sentire moralmente superiore – e quindi soddisfatto della sua vita.

Tutti e tre sembravano essere sinceramente indifferenti alle norme dell’ordine sociale, e tutti e tre stavano lavorando per fondare un nuovo tipo di ordine sociale (se si pensa ad esso come religione o comunità filosofica). Tutti e tre erano chiaramente molto seducenti e carismatici, e sicuramente avrebbero fatto bella figura in TV. Anzi, Socrate dice anche che i giovani di Atene vedevano i suoi dialoghi come intrattenimento.
Eppure, fanno un passo oltre i sociopatici della TV, che permettono allo spettatore di identificarsi con loro, ma allo stesso tempo avere lo spazio per sentirsi moralmente superiore – e quindi rimanere soddisfatto della propria vita. Identificarsi con un personaggio come Gesù, Socrate, o Buddha al contrario significa che dobbiamo cambiare la nostra vita. In un certo senso, questo è il punto del mio libro; la gente vede questi personaggi televisivi come un qualche modo sovversivi, ribelli o trasgressivi, mentre il realtà sono i più grandi conformisti.

 

(Una precedente versione di questa intervista era stata pubblicata con il titolo «Perché amiamo i sociopatici»)
Immagini tratte da AMC TV