Attualità

Conan a 50 anni

Vent'anni fa O'Brien lasciava i Simpson per darsi al late night televisivo. Che cosa si ricorda di quei bei tempi ora che ha compiuto 50 anni?

di Pietro Minto

È stato un caso. I Simpson non dovevano diventare I Simpson, la serie di culto da 27 Emmy Award giustamente definita dal Time «la migliore serie televisiva del secolo» nel 1999. Il cartone animato nacque nella sua prima forma rudimentale dalla mente di Matt Groening, disegnatore e fumettista ben noto alla scena alternativa californiana negli anni ’80 grazie alle strip di Life In Hell, ed era un prodotto strano, lontano dall’idea che abbiamo in mente e ben lontano anche dalle primissime stagioni della serie – diverse graficamente e basate su strutture letterarie differenti rispetto l’era “classica” dello show. All’inizio il nucleo delle vicende girava attorno al giovane scapestrato Bart Simpson, che maturando avrebbe lasciato posto all’eroe postmoderno Homer, suo padre, personaggio tragico che adora i suoi figli ma ha il grosso limite d’essere un idiota.

I capolavori nascono per caso: così sono nati questi omini gialli, così è nato Seinfeld; sembra che la vetta della comicità sia raggiungibile dimenticando ambizioni e progetti di conquista del mondo. L’obiettivo dev’essere fare ridere, preferibilmente della condizione umana. Se ci si riesce – e non è facile, anzi, è la cosa più ardua – ci si ritrova nell’Olimpo della letteratura. Per caso.

Tra gli episodi firmati da O’Brien alcuni capolavori come “Marge contro la monorotaia” e “Homer torna al college” (entrambi proposti nei primi dieci minuti di lavoro).

Parlare dei Simpson è complicato sotto molti aspetti: è un’opera lunghissima – ha debuttato nel 1989 e consta di 24 stagioni per un totale di 525 episodi – e collettiva. È opinione diffusa che il peso di Matt Groening nello sviluppo della serie da canovaccio a capolavoro sia un po’ sopravvalutato; che ci si dimentichi troppo spesso del team di scrittori che contribuirono molto a renderla unica. Alcuni nomi: Sam Simon, George Meyer, Jim Brooks. E molti altri, tra cui Conan O’Brien, ex conduttore del Late Night (Nbc) e del Tonight Show oggi impegnato in Conan. Una carriera alla quale è arrivato dopo tre anni passati proprio nella squadra dei Simpson. Tre anni di fuoco, dal 1991 al 1993, in cui la serie toccò la perfezione alzando di molto l’asticella qualitativa della televisione mondiale. Tra gli episodi firmati da O’Brien alcuni capolavori come “Marge contro la monorotaia” e “Homer torna al college” (entrambi proposti nei primi dieci minuti di lavoro). La scorsa settimana, anche per festeggiare i suoi 50 anni compiuti proprio ieri, il comico ha riunito quattro suoi ex colleghi per una puntata speciale di “Serious Jibber-Jabber”, il talk show online che tiene sul sito della Pbs. Una tavola rotonda composta da Al Jean, Mike Reiss, Jay Kogen, Jeff Martin e lo stesso O’Brien: una chiacchierata interessante, nostalgica e piena di aneddoti divertenti, nonché una buona occasione per ripercorrere la storia dello show. La puntata dello special sembra una versione video de La Vera Storia dei Simpson (Isbn, 2012), un racconto orale scritto da John Ortved in cui autori, scrittori, comici, tecnici e uomini di business (tra cui Rupert Murdoch) raccontano la genesi e lo sviluppo dello show, dagli albori al successo mondiale passando per la passione che Ceausescu aveva per Bart.

Capire appieno la portata dello show è difficile. Oggi è normale avere cartoni animati divertenti e ben fatti, godibili da grandi e piccoli. Prima dell’avvento dei Simpson era inusuale immaginare una serie animata satirica, corrosiva e ironica. Lo spiega bene l’autore Jay Kogen nella chiacchierata con Conan & Co., ricordando quando disse a suo padre – a sua volta autore comico – che voleva lavorare per I Simpson. «Non farlo,» gli rispose il vecchio, «ti rovinerà la carriera». Un consiglio che all’epoca avrebbero dato in molti visto che il pregiudizio contro l’animazione doveva ancora essere infranto dal ciclone della serie di Groening. La serie nacque sotto forma di sketch per The Tracey Ullman Show, trasmissione presto dimenticata, e da lì passo a Fox, che ci scommise non senza dubbi. All’epoca il network di Rupert Murdoch muoveva i primi passi – anche se lo Squalo aveva già la nomea di Grande Cattivo che lo contraddistingue ancora oggi (e infatti Art Spiegelman fece di tutto per convincere Groening a non lavorare per News Corp.) La premiere dello show sconvolse l’assetto di Fox: la prima puntata registrò «il risultato migliore della storia della rete». Un inizio col botto, poi un attimo di fiacca, il successo di nicchia e infine la vetta.

 

 

All’epoca Conan faceva da autore in qualche show televisivo, era un giovane promettente e iperattivo. Capitare nella squadra dei Simpson significava ritrovarsi in mezzo al gotha della risata alternativa, in un team composto dalle migliori firme dell’Harvard Lampoon e schegge impazzite come George Meyer. Quest’ultimo è una leggenda nel giro: personaggio schivo, timido e geniale, di cui il New Yorkerscrisse profusamente nel 2000 per la serie “Taking Humour Seriously”. Jon Vitti, produttore esecutivo dello show, ricorda che ogni volta che qualcuno ricorda un episodio dello show, finisce per citare le due battute che gli hanno fatto più ridere, «e sono sempre quelle scritte da George». Prima di approdare ai Simpson, Meyer si fece un nome con Army Man, rivista underground che servì da vivaio per decine di talenti comici (David Sacks, Bob “Saul Goodman di Breaking Bad” Odenkirk, Andy Borowitz tra gli altri). Sotto lo slogan “America’s Only Magazine” Army Manpresentava gag e vignette d’avanguardia. Un esempio. Un fumetto: nella prima vignetta un uomo fracassa la testa a un altro con un ascia gridando «You asshole!»; nella seconda vignetta, l’uomo si lamenta mentre viene portato via in manette: «Io e la mia boccaccia».

Nei Simpson vigeva una risatacrazia: «tutti gli autori volevano fare la battuta migliore ma non esistevano tensioni perché tutti volevano anche andarsene a casa».

L’altro grande genio era Sam Simon, talmente importante per la serie da intaccare presto la figura di Groening. Come si legge ne La vera storia dei Simpson, quest’ultimo fu costretto a dichiarare al Washington Post: «Il mio contributo alla sceneggiatura dello show non va minimizzato» per poi elencare tutti i vari aspetti in cui lui – il creatore dello stesso – diceva di partecipare. La replica di Simon fu distruttrice: «Fa molte cose per lo show, come il merchandising e roba del genere». Il modus operandi degli autori era bizzarro: rimanevano immobili per ore proponendo e bocciando battute. Uno di loro, ospite da O’Brien, ha spiegato che se facesse il time-lapse di quei anni, «sarebbe un fotogramma immobile»: una decina di persone in una stanza brutta e sporca a creare un mito, il mito di Springfield. «Lavorare per I Simpson era il contrario di lavorare per un late show, che è tutto basato sulla riscrittura, sugli innumerevoli stadi di lavoro, si fa e si rifa finché non funziona» dice Conan. Lì invece vigeva una laugh-acrocy (risatacrazia): «tutti gli autori volevano fare la battuta migliore ma non esistevano tensioni perché tutti volevano anche andarsene a casa. Quindi quando qualcuno ce l’aveva, il voto era unanime».

In tutto questo Conan O’Brien puntava in alto. Fece un provino per il Late Night, quasi per scherzo (per caso, ancora una volta). Era il 13 aprile 1993. Pochi giorni fa, a 20 anni di distanza, una parte del video è stata pubblicato online (con cameo di Jason Alexander): Conan è giovane, convinto. Non è abituato alle telecamere e ha la sicumera tipica di chi sa che non ce la potrà mai fare. Perché dovrebbero scegliere proprio lui, d’altronde? Qualche tempo dopo, racconta, mentre lavorava a un episodio qualcuno gli passò un telefono. Era il suo agente che gli disse: «Sei il nuovo condutore del Late Night».

Oggi a 20 anni di distanza e a 50 anni d’età, può sorridere e concedersi alla nostalgia. Può ricordare il primo giorno di scuola tra gli autori dei Simpson, quando gli fu dato un grande ufficio tutto per lui e rimase seduto per una decina di minuti senza capirci granché. Si alzò per prendere una tazza di caffè e rientrando in ufficio sentì un rumore: un uccello aveva sfondato una finestra e stava gemendo per la botta tra i vetri rotti. In tutto questo George Meyer passò di lì. Non si erano ancora presentati. Guardò la scena e disse: «Questo sì che è un pessimo presagio».

 

Immagini: una scena dell’episodio “Bart diventa famoso” in cui Bart Simpson finisce ospite di Conan O’Brien.