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07:08 domenica 16 novembre 2025
In Cina Wong Kar-wai è al centro di uno scandalo perché il suo assistente personale lo ha accusato di trattarlo male Gu Er (pseudonimo di Cheng Junnian) ha detto che Kar-wai lo pagava poco, lo faceva lavorare tantissimo e lo insultava anche, in maniera del tutto gratuita.
In Giappone un’azienda si è inventata i macho caregiver, dei culturisti che fanno da badanti agli anziani Un'iniziativa che dovrebbe attrarre giovani lavoratori verso una professione in forte crisi: in Giappone ci sono infatti troppi anziani e troppi pochi caregiver.
Rosalía ha condiviso su Instagram un meme buongiornissimo in cui ci sono lei e Valeria Marini  Cielo azzurro, nuvole, candele, tazza di caffè, Rosalia suora e Valeria Marini estasiata: «Non sono una santa, però sono blessed», si legge nel meme.
Hideo Kojima si è “giustificato” per la sua foto al Lucca Comics con Zerocalcare dicendo che l’ha fatta senza sapere chi fosse Zerocalcare Non c’era alcuna «intenzione di esprimere sostegno a nessuna opinione o posizione» da parte di Kojima, si legge nel comunicato stampa della Kojima Productions.
Anche Charli XCX si è messa a scrivere su Substack Il suo primo post si intitola "Running on the spot of a dream" e parla di blocco della scrittrice/musicista/artista.
A poche ore dalla vittoria al Booker Prize è stato annunciato che Nella carne di David Szalay diventerà un film Ad acquisire i diritti di trasposizione del romanzo sono stati i produttori di Conclave, noti per il loro fiuto in fatto di adattamenti letterari.
Il nuovo film di Tom Ford è già uno dei più attesi del 2026, per tantissime e buonissime ragioni Un progetto che sembra quasi troppo bello per essere vero: l'adattamento di uno dei più amati romanzi di Ann Rice, un cast incredibile, Adele che fa l'esordio da attrice.
Nel primo teaser del Diavolo veste Prada 2 si vede già la reunion di Miranda e Andy Le protagoniste salgono insieme sull’ascensore che porta alla redazione di Runway, riprendendo una scena cult del film originale.

C’era bisogno di un altro Blade Runner?

2049, che esce il 5 ottobre al cinema e che abbiamo visto in anteprima, è un viaggio sentimentale nel classico di Ridley Scott.

04 Ottobre 2017

Blade Runner 2049 è bello, ma questo lo si sapeva già. Allora torno un attimo indietro, alla domanda che tutti ci siamo fatti: c’era davvero bisogno di un seguito di Blade Runner? L’altro giorno un amico mi ha scritto: «Ieri sera sono andato a rivedere l’originale, non lo facevo da millenni, sono sconvolto dalla puttanata che è. La trama non esiste. E sono uno più cane dell’altro. Passata mezz’ora, era un continuo ridere in sala». Ho girato la battuta a un’altra amica su un’altra chat, dove si parlava del nuovo film (non abbiamo niente da fare). Replica di lei: «Era molto più moderno e divertente Terminator. Ricordo grandi litigi». Dunque il punto è: ho gli amici sbagliati? Sono sbagliato io? Anche se sono stato quello che, all’amico numero uno, ha detto: dopo Blade Runner c’è mai stata fantascienza così – permettetemi un orrido aggettivo da cineforum – seminale? C’è stato qualcuno capace di non rifare quelle città, quei neon, quelle cosechevoiumani? La risposta la sapete da voi.

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Eppure non sono mai diventato un fan sfegatato del capolavoro che è stato e continua ad essere il prototipo, c’era sempre qualcosa lì che mi bloccava. Credo sia principalmente quel suo eterno prendersi sul serio (arrivano da lì le risate degli spettatori, forse giovani, che lo vedono oggi?), nonostante Ridley Scott sia un favoloso tamarro: è riuscito a far passare per décor d’autore il suo kitsch senza freni, quello sì bellissimo. Blade Runner, dicevo, si è sempre preso molto sul serio, e con lui tutti i suoi tantissimi adepti. Dunque per la regia del sequel m’è parsa abbastanza scontata la scelta di Denis Villeneuve, regista bravissimo che, appunto, non conosce ironia alcuna. Si è imposto al grande pubblico internazionale con un dramma bello ma grandemente sopravvalutato (La donna che canta, 2010), poi ha fatto un thriller di poliziotti e pedofili bellissimo (Prisoners, 2013), poi un thriller di poliziotti e narcotrafficanti bellissimo (Sicario, 2015), poi un film di fantascienza bello ma grandemente sopravvalutato (Arrival, 2016). Quest’ultimo in particolare si prendeva moltissimo sul serio: non so voi, ma io ai poliponi alieni non ho creduto mai. Il cerchio si era appena chiuso ed ecco spuntare il nuovo Blade Runner, scelta appunto scontata e però giustissima, che permette oggi a Villeneuve di definirsi una volta per tutte come nome sicuro del cinema mondiale. Non credo che Blade Runner 2049 sia un film che dividerà: perché è bello, certamente; ma anche perché il suo regista è figura che non disturba, non crea dibattito, fa tutto giusto, lo fa bene, fine. Come riprende lui certi campi lunghissimi, non lo fa nessuno. Il suo occhio per gli spazi, la luce, la profondità è una festa. Te li vedi lì insieme, lui e quel genio di direttore della fotografia che è Roger Deakins, a fare tutto con una naturalezza estrema, senza neanche poi dirsi l’un l’altro «Ammazza quanto siamo bravi» (io lo farei). È lavoro, si fa e basta.

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Per questo Villeneuve mi sta simpatico, tanto che rispetterò il cartello che ha voluto mettere all’inizio della proiezione per la stampa (ci sarà anche in quelle per il pubblico?): «Per favore, non spoilerate il mio film». Va bene. Tanto quello che vi aspettate c’è tutto. Le città invisibili. Le impennate mélo. Un sacco di violenza pulita, precisa, pure il sangue cola dal naso elegantissimo, senza sbavature. Un colpo di scena falso e un colpo di scena vero. Un furbo cerchiobottismo nelle scelte di cast: Ryan Gosling con quell’aria Drive-bastonata per il pubblico di oggi, Harrison Ford che cita Robert Louis Stevenson per il pubblico che fu; sono perfetti entrambi, che gli vuoi dire.

C’è anche la risposta alla domanda di prima: c’era davvero bisogno di un seguito di Blade Runner? Una battuta del nuovo film recita (parafraso): la memoria non è un prodotto del cervello, è un prodotto del cuore. E allora, nel tempo delle serie tutte nuove tutte da guardare in un weekend tutte meglio di quello che potrai mai vedere in sala, Blade Runner 2049 esiste come viaggio sentimentale dentro un cinema che non c’è più e c’è ancora. Dentro un mondo che non c’è più e c’è ancora. Una fiera del vintage fatta, per una volta, più per quelli che c’erano ieri che per i millennial di oggi. Ci sono gli ologrammi giganti delle ballerine sovietiche, i macchinoni del futuro come li si immaginava nel passato, i casinò dismessi, c’è Frank Sinatra, Liberace, e Elvis che canta “Can’t Help Falling in Love”, che è la canzone più bella di tutti i tempi. C’è il Blade Runner originale come ripescato in un mercatino della domenica, la nuova replicante cattiva con la frangetta di Sean Young (qui ci sarebbe da mettere uno spoiler, ma non lo farò) e quella che sembra una copia di Daryl Hannah, il cavallino di legno al posto dell’origami a forma di unicorno, gli umani e i robot che si confondono, perché in fondo che importa, alla fine è un unico grande film, quei grandi film di una volta, per chi ha visto cose che voi spettatori di oggi non capirete mai.

Foto Blade Runner 2049
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