Cultura | Libri

L’Italia vista dalle cartoline

Intervista a Lorenzo Marchionni, autore di Tanti cari saluti, un racconto delle estati italiane attraverso le sue immagini più trash.

di Patrizio Ruviglioni

Sfogliando Tanti cari saluti (Il Saggiatore), si vedono: donne possibilmente nude ed erotismo quasi da soft-porn rigorosamente maschilista, composizioni stereotipate della riviera romagnola (piadine, vino, pattini), colori saturi e sgargianti, font rotondi a ritrarre il nome di una località turistica qualsiasi di fianco a un “Saluti da…”, disegni di animali caricaturali con gli occhi buffi e giganti; e poi illustrazioni di cocomeri rossissimi e pieni di semi, di spiagge che sembrano d’oro, di soli e lune fuori misura, oltre a panorami di mare, trivialità assortite e allusioni sessuali varie. Insomma, una galleria del kitsch e del “trash”, a raccogliere quelle cartoline che come un rituale per cinquant’anni gli italiani in villeggiatura hanno spedito ai propri amici, allegandoci un paio di righe di testo, una dedica, una data.

L’autore è Lorenzo Marchionni, un grafico appassionato di semiotica che dal 2018 ha iniziato a collezionare su una pagina Instagram, Cartoleena, questi (ex) oggetti di culto della nostra estate. Con un criterio: scegliere solo quelli brutti, con design grotteschi, immagini pure volgari e messaggi semplicioni, naif. E non che manchino, anzi; sono i più venduti. «Ho cominciato fra mercatini, negozi di souvenir, sali & tabacchi», racconta. Poi? «Poi il progetto è decollato anche grazie ai fan che hanno contribuito inviandomi i loro reperti. L’idea dietro i post è applicare alle cartoline l’analisi tipica delle opere d’arte, cercando di renderle rilevanti a livello culturale, mentre in realtà sono sempre state percepite come ilari, superflue. Chiaro, questa contrapposizione fra alto e basso può far ridere. Cioè, credo sia proprio uno dei motivi del successo del profilo». Ma serietà o meno, adesso si trova – e lo ammette lui stesso – con un archivio che racconta molto di chi eravamo, oltre che dei gusti e del modo che abbiamo di stare in vacanza.

Partiamo dal concetto di trash applicato alle cartoline.
A livello estetico è quasi un nuovo barocco: un’esagerazione del colore, della saturazione stessa; insomma, la sagra del “troppo”. Va detto che, soprattutto negli anni Novanta, questo tipo di gusto aveva contagiato non solo l’editoria – e quindi, non so, oltre alla cartolina in sé pure le copertine dei libri – ma anche la moda, basti pensare alle tute da scii coi colori fluorescenti in voga allora. Dal punto di vista di contenuti, sono immagini piene di luoghi comuni – ovviamente “confortanti” per chi le comprava e le riceveva – sul posto che si visita, compresa la tradizione enogastronomica; ma ci sono anche animali o animaletti giocosi (i pescetti che si baciano, su tutti), panorami, foto da spiaggia. Divertimento, svago, malinconia. Insomma, l’immaginario dell’estate italiana. E poi donne nude con frasi provocanti: col tempo si è sviluppata un vero e proprio filone erotico.

Ma di che periodo stiamo parlando?
Non c’è un periodo specifico, visto che le cartoline esistono da davvero tantissimo. Noi ci riferiamo, però, a quelle del momento in cui il fenomeno ha toccato l’apice della popolarità, cioè dai Settanta e ai Novanta. Chiaramente con differenze, visto che all’inizio di quell’arco di tempo lo stile era più minimale, meno pieno e complesso, oltre che più pudico nel contenuto. Direi meno trash, in sintesi. Poi è degenerato. In generale, comunque, è stata una sorta di età dell’oro, perché in quei trent’anni c’erano aziende che ne stampavano a migliaia. Con successo di vendita soprattutto nella riviera adriatica.

Perché proprio lì?
Perché la riviera è sempre stata raccontata – perlomeno a livello popolare – come il luogo di vacanza per eccellenza: spensieratezza, relax, direi anche consapevole superficialità. Un piccolo paradiso che ti estrapola dalla vita quotidiana del resto dell’anno. Le cartoline nascono per intercettare e trasporre e condividere questo sentimento, quindi lì hanno trovato terreno fertile.

Ecco, immaginiamo di doverlo spiegare a un ragazzino: a che serviva, quindi, mandarne una?
Serviva a far sapere a qualcuno che, in un modo o nell’altro, era nei tuoi pensieri. La vacanza era un momento di distacco, a volte anche di nostalgia delle radici. E infatti molte cartoline nascondevano uno sfondo di malinconia. Tant’è che in Tanti cari saluti abbiamo provato a immaginare dei testi da scrivere su ciascuna di esse, e la maggior parte sono un po’ tristi, con amori impossibili, distanti, incompiuti. Per quanto riguarda i contenuti, i designer – non ne ho mai ritrovato i nomi, ma per me erano dei geni perché consapevoli di ciò che facevano – da una parte provavano a rendere accattivante l’aspetto visivo per il consumatore, stupendolo con soluzioni sempre più esagerate. Dall’altra, di intercettare il sentiment comune a chi le avrebbe comprate, per azzeccare la storia da raccontare. Come dicevo, di solito il tema era la voglia di evasione dal quotidiano propria di quel tipo di vacanza, della vacanza in riviera. Anche per questo, chi le inviava (cioè tantissimi) credo avesse fra i trenta e i sessant’anni e una vita d’ufficio, magari da dipendente, comunque sedentaria e un po’ ripetitiva. Poi, certo, dipendeva dai decenni: nei Settanta bastava l’immagine di un bel panorama e una macchina decappottabile per trasmettere senso di evasione; nei Novanta in linea col momento sono serviti l’erotismo, l’esagerazione edonistica.

In generale, però, come mai ci piaceva inviare proprio cartoline trash? E cosa dice di noi questa tradizione?
Al di là della voglia di evadere, se l’esagerazione grafica o contenutistica era un modo per catturare l’attenzione, per stupire chi le avrebbe dovute inviare, di conseguenza lo era anche per chi le avrebbe poi ricevute. La “bruttezza” serviva a questo. Per quanto resta un concetto relativo: io non sono sicuro che tutti quelli che acquistavano cartoline fossero consapevoli della loro bruttezza, anzi. In ogni caso, quasi sempre si voleva far ridere. E così ci si riusciva, o almeno si pensava di riuscirci. Mentre in riferimento a quelle erotiche, ci si spingeva oltre cercando “la cartolina che non vorresti ricevere”, quella imbarazzante. In generale, credo che questa tradizione abbia a che fare con quell’attitudine tipicamente italiana di trattare in maniera superficiale alcuni aspetti della propria vita, del voler essere meno pesanti, più disimpegnati. Insomma, mettere in pausa la (presunta) serietà della solita routine e pensare meno, prendersi poco sul serio per tutta la durata delle ferie.

Cos’hanno rappresentato queste cartoline nella nostra cultura?
Un simbolo dell’estate, sì, ma un simbolo consapevolmente effimero, proprio come la stagione che racconta. Certo, anche dietro il rituale della vacanza c’era una quotidianità, banalmente perché ci si andava ogni anno nello stesso periodo; ma la certezza che quel momento di spensieratezza sarebbe presto finito in favore di un ritorno alla routine, che insomma sarebbe rimasto circoscritto a quell’illusione di evasione, era molto presente nelle immagini e nel rituale della loro spedizione. Alla fine, le cartoline descrivevano un attimo di paradiso di cui si era consci che presto sarebbe sfumato.

Però finora abbiamo parlato al passato. Ma oggi ne esistono ancora?
Ci sono zone in cui sopravvivono, tipo alcune parti della riviera adriatica, ovviamente. Più per tradizione che per altro. Anche perché, col declino della carta sul digitale, sono passate di moda. Ma comunque resistono, sì. Oltretutto mantenendo stile e contenuti di trent’anni fa. Specie perché oggi hanno un ulteriore valore simbolico: sono diffuse fra gli appassionati del genere, è chiaro, fra gli appassionati di lettere e francobolli; ma molti le mandano soprattutto per ricordare i tempi andati, le abitudini di una volta. Anche per questo, è evidente che debbano essere il più fedele possibile alle originali per forma e sostanza. Una cartolina “innocente”, con un semplice panorama, non so a chi mai possa interessare nel 2021. Poi sicuramente a rivederle sono invecchiate, soprattutto sul fronte dell’erotismo, che rivela una (non-)sensibilità nei confronti della donna lontana da quella attuale. Ma proprio per questo ritengo siano interessanti da osservare: perché ci raccontano meglio di tante altre cose come eravamo, quali fossero la cultura e il sentimento popolare dell’Italia di tre, quattro generazioni precedenti alla nostra. Oltre che farci riscoprire i pattern grafici di allora, che col vintage – non si sa mai, anzi – sono sempre pronti a tornare di moda.

In attesa di un ritorno, però, se i giovani non mandano più cartoline, cosa fanno?
L’equivalente della cartolina è la storia di Instagram, o al massimo la foto su WhatsApp. Il concetto è lo stesso: ti penso, voglio stupirti o comunque farti divertire; quindi, ti taggo o ti scrivo in chat pure se sono in ferie. Solo che adesso sono le persone stesse – piuttosto che i grafici – a farsi da sé le proprie cartoline. E se prima il brutto era studiato dalle aziende che stampavano e cercavano di venire incontro ai gusti popolari, oggi Instagram fa lo stesso attraverso i suoi strumenti. Nel senso: dà agli utenti il modo per sbizzarrirsi con la composizione fotografica, ma ovviamente i risultati finali lasciano a desiderare, com’è anche normale che sia visto che non si tratta di grafici o fotografi professionisti; in più, anche font, emoticon e altri effetti da inserire sono volutamente trash – pensa alla sottolineatura, per dirne uno. Insomma, le cartoline brutte esistono ancora. Solo, si sono digitalizzate.