Attualità

Canzoni per crisi di mezz’età

Vademecum musicale per affrontare la crisi dei 35 anni. Mica si possono mettere ancora i pantaloni aderenti

di Francesco Pacifico

Quando si affronta la crisi di mezza età da amanti della musica si presentano delle scelte. Come la scelta dei pantaloni – pence? aderente? 501? – richiede che comprendiamo il nostro corpo di mezza età (ok, mezza età dantesca, 35 anni) e le sue nuove e conflittuali esigenze di comodità, dignità, fascino proiettato, conformità alla moda, la scelta dei dischi da cui farsi accompagnare nella mezza età è decisiva e problematica. È questa un’età in cui la nostra stazza morale comincia a farsi sentire: il peso delle scelte passate e degli errori richiedono un lavoro di sartoria dei nostri ascolti musicali. Un trentacinquenne separato e con dei lavori persi alle spalle non può ascoltare gli Animal Collective o la colonna sonora di Drive come niente fosse cantando a squarciagola “A real human being, and a real hero”: è come mettersi i pantaloni aderenti, si nota troppo. Das Racist? Waka Flocka Flame? Wiz Khalifa? Non ci fai bella figura: troppo sforzo per un uomo di mezza età. D’altra parte i classici con cui ci si è formati – Dylan, Kinks, Xtc, Beatles, Barrett, Stone Roses, Smiths – a volte fanno troppo effetto pence. Certo, in quanto amanti della musica non possiamo né rinunciare al piacere delle nuove scoperte, al piacere di conformarci con dei ventenni e fare gli stempiati che sono in giro da un pezzo ma ancora leggono i siti giusti; né al piacere dei grandi classici che hanno costruito la nostra vita, dai Pavement ai Fall, da Neil Young a Plastic Ono Band.

Ma per vivere meglio nei nostri nuovi panni di gente di non più verdi speranze dobbiamo trovare i nostri dischi del fallimento, dello scacco, e li dobbiamo trovare per forza di cose fra capolavori minori: dischi di artisti che non hanno avuto abbastanza successo da andare al di là della possibilità di parlare al nostro cuore affetto da occasionale prolasso mitrale; e allo stesso tempo, artisti che sono sopravvissuti, che non sono rimasti la next big thing turned one hit wonder, quelli che adesso prendono 8.2 su Pitchfork, vanno in giro baldanzosi per Williamsburg, ma poi non vivranno per raccontarla. Serve qualcuno che abbia tenuto e sia sopravvissuto, ma non troppo bene.

I miei tre capolavori minori per affrontare la presa di coscienza che la vita è breve e che è difficile far bene, sono questi (esamino singole canzoni e non dischi per rimanere nel dettaglio, che è quello che conta):

– Silver Jews, “Random Rules”, da American Water

Pezzo meta sul fallimento. Dice: “Lo so, molto di quel che dico l’ho preso dalle scritte sui muri dei bagni degli uomini”, così può scandire banalità come “Ma niente può cambiare il fatto che un tempo dormivamo nello stesso letto”. Stamattina il mio amico M.F. l’ha cantata con la chitarra imitando Dylan e ho capito che l’aspetto confortevole della melodia nasconde del fil di ferro e una grande tenuta strutturale. Frasi memorabili:

“In 1984 I was hospitalized for approaching perfection. / Slowly screwing my way across Europe, they had to make a correction”.

“I know that a lot of what I say has been lifted off of men’s room walls. / Maybe I’ve crossed the wrong rivers and walked down all the wrong halls. / But nothing can change the fact that we used to share a bed, / and that’s why it scared me so when you turned to me and said: / “Yeah, you look like someone / Yeah you look like someone who up and left me low. / Boy, you look like somene I used to know.”

– Hefner, “Love Will Destroy Us In the End”, da Breaking God’s Heart

Dal grigio dell’Essex, una canzone che viene di solito presa come manifesto dell’immaturità del maschio moderno e che a me sembra invece contenere descrizioni imbattibili, quasi religiose, di cos’è il mistero dell’amore. Il ritornello: “Sono l’amore e la verità e la speranza e la fede che alla fine ci distruggeranno. È lo sguardo negli occhi di quelle storie da una notte che ci dà la volontà di fingere. È la sensazione di scopare chi amiamo che ci porta a quelle notti insonni senza fine. E alla fine l’amore ci distruggerà”. Il testo andrebbe letto tutto. Comunque:

“It’s the children that I feel for, / Yes the children make me feel more, / More than the liquor, more than the art, / More than the Beach Boys records. / It’s the drink that gives us heartache, / It’s the charity we won’t take, / We feel so empty and our late twenties should be better times”.

“And the damn phone never rings, / And I would give up everything, / For a little wine, some conversation / And just for being healthy”.

– Smog, “Feather by feather”, da Supper

“Random Rules” è la canzone orgogliosa e stremata, “Love Will…” è quella metafisica e spostata, manca quella che fa bene all’autostima e ti permette di sopravvivere. “Feather by Feather” contiene una descrizione che Bill Callahan fa del carattere di un amico o amica. Quell’amico o amica sei tu, naturalmente. Fa sentire meglio, fa bene ai capelli, fa bene alla pelle, contiene immagini interessanti:

“Passi metà mattina a provare a svegliarti, metà serata a provare a calmarti”. “Quando faranno il film della tua vita, dovranno chiederti di farti da stuntman da solo: perché nessuno, nessuno, nessuno, fa le cose assurde che fai tu e ne esce intero”. Poi ci sono due bridge che contengono misteri. Uno parla della conflittualità ineliminabile della vita: “Ed è corvo contro corvo, una baruffa a mezz’aria, becco contro becco. Non c’è ragione, è solo una baruffa a mezz’aria”. (Mi aiuterebbe certo saper tradurre correttamente “No reason is there, but for the brawl in mid-air”. Mi scuso.) E infine il momento più alto della canzone, il secondo bridge, che parla della lotta con se stessi a partire da (Mohammed) Ali e (Cassius) Clay, che sono ovviamente la stessa persona: “È Ali contro Clay, che se le danno a vicenda: un campione combatte sempre contro se stesso. E tu sei un lottatore, sei un lottatore, sei un lottatore”. E mentre cominci a singhiozzare camminando scomodo nei tuoi pantaloni aderenti, pensando che non ce la fai, Bill Callahan canta: “Il ragazzo ha cuore, il ragazzo ha cuore, il ragazzo ha cuore”.