Attualità
Bruce Sterling
Intervista con lo scrittore di fantascienza padre del cyberpunk, nonché uno dei più attenti osservatori dell'impatto delle nuove tecnologie sulle nostre vite.
A 59 anni, Bruce Sterling è un mosaico di culture. Ha un’inflessione pronunciata che rivela le sue origini texane, una moglie serba, tre certificati di domicilio – Austin, Belgrado e Torino – e un’esistenza da globetrotter della divulgazione scientifica. Ogni anno partecipa a una cinquantina di conferenze sparse per il mondo. NEXT Berlin13 – un piccolo TED svoltosi settimana scorsa a due passi da Alexanderplatz – era una di queste. Sterling ne era l’ospite d’onore ed è stato un suo keynote a chiudere il ciclo di presentazioni che hanno avvicendato sul palco robot ballerini, stampanti 3D, render di edifici a forma di nastro di Möbius e altri catalizzatori di meraviglia e scetticismo. Sterling le ha seguite quasi tutte in prima fila, sottolineando in un paio di occasioni i momenti più involontariamente comici con una fragorosa risata da cowboy. Numerose delle idee presentate riposavano ormai da oltre 30 anni nel suo immaginario narrativo. Per chi non lo sapesse, Sterling è infatti uno dei più grandi scrittori di science fiction viventi e uno dei padri del genere cyberpunk insieme a William Gibson.
Quando raggiungo il luogo convenuto per l’intervista – una stanza nel “dietro le quinte” del centro congressi che ospita NEXT Berlin – BS sta finendo di rispondere alle domande di un collega della tv brasiliana particolarmente preoccupato per le possibili implicazioni di Google Glass (pare che a NEXT ne girasse un prototipo). Nell’attesa mi piazzo a un tavolo sul fondo della stanza. All’altra estremità, la moglie di Sterling, la scrittrice belgradese Jasmina Tesanovic, osserva il marito che da parte sua non sembra troppo preoccupato dal nuovo giocattolo di Google; e per una semplice ragione: «Meglio che una tecnologia del genere sia pubblica e commercializzata piuttosto che la usino in pochi all’oscuro di molti».
La generazione di scrittori di fantascienza di cui fai parte si è dimostrata incredibilmente profetica nell’indovinare cosa ci avrebbe riservato la tecnologia e molte delle intuizioni sul futuro contenute nei tuoi/vostri libri nel frattempo sono divenute realtà. La mia domanda quindi é: in un mondo che assomiglia sempre più all’immaginario sci-fi è più facile o più difficile trovare idee per un romanzo di fantascienza?
Con gli strumenti oggi a disposizione è sicuramente più facile fare ricerca e tenersi informati su quello che succede nel mondo a tutti i livelli, compreso quello tecnologico e scientifico, e quindi avere delle buone idee ma dall’altro lato, ai nostri giorni, è sicuramente più difficile di un tempo trovare un’audience interessata a leggere science-fiction e quindi è anche più difficile mettere delle idee in parole, proprio perchè è più arduo capire a quale tipo di lettore si sta parlando. Inoltre riuscire a pubblicare un romanzo che prova a precorrere il futuro è diventato molto difficile in America, visto che per ragioni politiche e culturali, quello che succede oggi negli Usa ha sempre meno a che fare con “il futuro”, almeno per come la intendeva la nostra generazione di autori sci-fi, e questo si riflette anche nelle scelte delle grandi case editrici. Ormai, da scrittore americano, per me è molto più facile comunicare con dei tedeschi o degli europei che lavorano nel mondo della tecnologia come qui a NEXT che scrivere un libro di fantascienza in grado di catturare l’attenzione di un mio concittadino che vive nell’Ohio. Certo, poi posso sempre scrivere qualcosa sul mio blog rivolgendomi alla mia comunità di lettori appassionati ma… non so come dire… a volte trovo che sia un po’ troppo corky per i miei gusti. (ride).
Da scrittore americano, mi è più facile comunicare con degli europei che lavorano nella tecnologia che scrivere un libro di fantascienza per un mio concittadino che vive nell’Ohio
Quali sono le evoluzioni nel mondo della tecnologia che attirano maggiormente la tua attenzione al momento?
Prima di risponderti faccio una precisazione: le cose che attirano la mia attenzione, o meglio le cose che mi piacciono, non sono necessariamente le cose più rilevanti o importanti di per sé (in italiano NdR). Comunque… sto seguendo con molta attenzione gli sviluppi nel campo della realtà aumentata. Mi interessa da molto tempo e ne ho anche scritto spesso. La trovo affascinante. È qualcosa che venti anni fa potevamo solo immaginare e ora esiste davvero. Una cosa tipo: «Ehi, ricordo di aver letto un libro su un tipo che indossava degli occhiali computerizzati… e ora guarda un po’ c’è un tizio con degli occhiali computerizzati proprio qui in fondo alla stanza!!!». È divertente, no? (ride). Ma non è superimportante, davvero. Non capisco tutta questa apprensione per i Google Glass, ad esempio (ride di nuovo). Sono solo un giocattolone sci-fi terribilmente cool. Poi sono molto interessato nella tech-art di qualunque genere. Mi piacciono le istallazioni tech-art, le opere di programming art etc… e faccio parte di alcune giurie di premi nel settore. Insomma principalmente seguo le cose che mi divertono; tipo la New Aestethic, e non necessariamente le più rilevanti o grandi come dimensioni. Di sicuro meno grandi del gaming e meno rilevanti delle biotecnologie.
Non capisco tutta questa apprensione per i Google Glass, ad esempio (ride di nuovo). Sono solo un giocattolone sci-fi terribilmente cool
A proposito di New Aesthetic e dell’idea che ci dà del futuro; qualche mese fa ero a Londra per incontrare James Bridle, l’ “inventore” dell’intero movimento che mi ha detto una cosa che mi è rimasta in testa a lungo; ovvero che il suo porre l’accento sulla New Aesthetic era anche, se non soprattutto, un modo per far prendere coscienza dell’emergere di un’estetica del presente che in larga parte è molto più “futuristica” di come la percepiamo superficialmente e che in generale la cosa che lo preoccupa maggiormente è una certa tendenza – presente anche nei più giovani – a ignorare inconsapevolmente questa estetica e ciò che essa comporta – soprattutto a livello politico – per rifugiarsi in un’idea di autenticità un po’ posticcia e rassicurante e strettamente legata al passato, da cui fenomeni come la passione per il vintage etc…
Penso che la preoccupazione di Bridle sia assolutamente sensata; così come è vero che esiste qualcosa come la New Aesthetic, semplicemente credo che – come ho scritto nel saggio apparso su Wired – il problema che cerca di affrontare la New Aesthetic sia talmente profondo e metafisico che è quasi impossibile da mettere nero su bianco. Per questo quando alcune persone, specialmente quelle che provengono dal mondo dell’arte istituzionale, vengono messe di fronte alle idee di Bridle tendono a innervosirsi e a pensare che sia solo una specie di gigantesca e oscura burla ai loro danni a opera di un giovane londinese dotato di un senso dell’umorismo un po’ dark, che li mette davanti a macchine in grado di realizzare opere d’arte più interessanti delle loro. (ride) È come se non ne vedessero il punto, semplicemente perché la New Aesthetic non rispetta le regole che abitualmente segue la critica dell’estetica. Credo che per la New Aesthetic valga qualcosa di simile al surrealismo. Non esiste una regola generale per definire cosa sia ma una volta che conosci l’esistenza del termine e ti trovi di fronte a un’opera surrealista, così come a un manufatto NA, c’è qualcosa, un legame invisibile con l’idea metafisica a cui si riferiscono, che te le fa immediatamente riconoscere come tale.
Immagino che vivendo parte dell’anno a Torino tu sia al corrente delle idee di Beppe Grillo e del suo partito. Cosa ne pensi della democrazia diretta come ipotetica forma di governo del futuro?
(Ride) Per prima cosa mi devo complimentare: voi italiani siete davvero creativi in fatto di politica! Sono uscite più idee e personalità bislacche dalla politica italiana che da tutte le altre nazioni della terra messe insieme. È davvero interessante seguire quello che succede nel vostro paese ma è evidente che non funziona esattamente bene in ogni occasione (Ride di nuovo). Riguardo a Grillo, credo che la situazione politica italiana fosse così stagnante e da così tanto tempo che era ovvio che qualcosa di profondamente “distruttivo”, un fenomeno apertamente critico, sarebbe arrivato prima o poi. Riguardo alla democrazia diretta… è una prospettiva interessante ma è ovvio che prima di pensare di introdurla per governare un paese sarebbe meglio metterla prima alla prova dal basso, per risolvere problemi di ordine decisamente inferiore. Vediamo se con la democrazia diretta riusciamo a mettere d’accordo gli abitanti di uno stesso quartiere per rifare il manto stradale di una via e poi magari, se funziona, usiamola a livello di Comuni e poi, e poi, e poi. Trovo che sia una prassi da folli quella di prendere un proprio assunto ideologico – perché credo che la democrazia diretta come qualunque forma di governo che promette di essere migliore delle altre sia un’idea ad alto contenuto ideologico – e cercare di imporlo su un paese o sull’intero fucking G7.