Attualità

Boy Wonder e i fumetti al cinema

Hollywood sta lucidando i suoi ultimi cine-comics: da Il Cavaliere Oscuro a The Avengers-I Vendicatori

di Federico Bernocchi

I fumetti continuano ad essere oggetti interessanti per il cinema. In una duplice veste: da una parte c’è lo sfarzo hollywoodiano più folle e esagerato che, grazie al superpotere del soldo, realizza kolossal giganteschi che rappresentano lo stato dell’Arte dell’action moderno. Dall’altra parte invece ci sono un manipolo di giovani registi e sceneggiatori che con i loro film tentano di smontare il Mito della presunta infallibilità dell’eroe in calzamaglia, sottolineandone debolezze e limiti. Due modi di guardare al cinema. Due modi di guardare al supereroe. È un discorso che abbiamo affrontato in parte mesi fa, grazie al bel documentario della HBO Superheroes, ma che oggi – alla luce di nuovi sviluppi e soprattutto dopo la visione di due piccoli film come Boy WonderGriff The Invisible – vale la pena riprendere. Cominciamo dando uno sguardo alla faccia più ricca della medaglia. In questo momento Hollywood sta dando gli ultimi ritocchi ai suoi nuovi e sfavillanti cinecomix. Parliamo di un trittico sfaccettato e vario, non solo ovviamente a livello narrativo, ma soprattutto a livello produttivo. Dopo un primo lungo periodo di sperimentazione e una seconda fase di assestamento, Hollywood sembra decisa a sviluppare il rapporto tra cinema e fumetto in altre forme. E i tre titoli a cui facciamo riferimento sono indicativi in questo senso.

Partiamo dall’unico titolo targato Detective Comics: Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno, la conclusione della trilogia dedicata a Batman. Christopher Nolan ha elevato il genere, rendendo la storia del vigilante di Gotham City il nuovo noir dai chiari riferimenti al cinema di Michael Mann. Certo, la chiave di lettura noir di Batman era evidente da anni a tutti, ma se pensate che prima il progetto era nelle goffe mani di un Joel Schumacker che non è mai riuscito ad andare oltre all’idea che un fumetto è una cosa pop per bambini (“per cui metterò dei capezzoli sulla bat-armatura”. True Story), capite che si sono fatti passi da gigante. Il Batman di Nolan ha contribuito a regalare al genere credibilità; non solo di fronte a quelli spettatoti distanti dalle fonte letteraria, ovvero quelli che non hanno mai preso in mano un fumetto, ma anche e soprattutto di fronte a quei produttori che condividono lo stesso problema.

Il primo tentativo a onor del vero lo aveva fatto Raimi con il suo Spider-Man, ma abbiamo visto come dopo il secondo capitolo la Sony abbia preteso un cambio di direzione e abbia imposto un’aria molto più fanciullesca e giocattolosa al franchise, che ha reso il terzo capitolo quel pasticcio che era. Intuito però l’errore, la Sony ha deciso di lavarsi la coscienza azzerando quanto fatto fino a quel momento: ha rinunciato a Raimi e ha deciso di ripartire da zero con il tessi ragnatele. Il titolo è The Amazing Spider-Man, alla regia c’è Marc Webb, regista sicuramente più avvezzo alla rom com che all’action, ma rimane un’interessante idea di fondo. ll reboot, la riscrittura delle origini, pratica carissima alla carta stampata, s’è trasferita anche su grande schermo. Dopo gli strali inziali dei molti fan che temevano un effetto Twilight appiccicato all’Uomo Ragno, il secondo trailer sembra aver placato gli animi e oggi tutti guardano a questo film con qualche speranza in più.

Il vertice di questo triangolo è il progetto fin’ora più ambizioso di trasposizione cinematografica di un fumetto. Il 4 maggio debutterà il primo team up supereroistico di celluloide, ovvero The Avangers, i Vendicatori: Iron Man, Capitan America, Thor, Hulk, Occhio di Falco e la Vedova Nera contro il terribile Loki, già villain nel film dedicato al Dio del Tuono. La cosa interessante di questo film, oltre alla presenza dietro la macchina da presa di un grande conoscitore delle dinamiche di gruppo come Joss Whedon (che ha firmato lo script insieme a Zack Penn), è proprio l’idea del super gruppo. Solitamente, soprattutto in televisione, funziona la pratica dello spin-off, ovvero si passa dal grande al piccolo (per essere chiari: da Friends nasce Joey). Qui invece il processo è stato esattamente opposto: prima i film preparatori dedicati ai singoli eroi per poi approdare al film di gruppo. Il rischio è sempre quello della troppa carne al fuoco, ma il trailer presentato al Super Bowl parla chiaro e l’attesa, per ogni fan che si rispetti, è assolutamente spasmodica.

Ma come si diceva in apertura, c’è l’altra faccia della medaglia. Il supereroe per il cinema “indipendente” americano (in questo caso da intendersi con budget inferiore al P.I.L. dello Zambia) continua a voler raccontare storie di disadattati che, per combattere le angherie quotidiane, si rifugiano dietro una maschera. Dopo gli esempi di Kick AssSuper,Defendor, e del già citato Super Heroes, ecco due nuovi titoli su cui riflettere. Il primo è l’australiano Griff The Invisible, diretto dall’esordiente Leon Ford. La storia è quella di un anonimo impiegato, frustrato e oggetto di bullismo da parte dei colleghi d’ufficio (Ryan Kwanten, il fratello scemo della famiglia Stakhouse di True Blood), che passa le serate a vigilare le strade del suo quartiere. L’idea è sempre la stessa: parliamo di un piccolo grande eroe che il nostro cinismo ci impedisce di vedere o semplicemente di un povero disadattato? Ford ha però le idee piuttosto chiare e riesce a dare al film un’aria tra il sognante e il naïf che riesce a rendere meno prevedibile del previsto la pellicola. Il rischio è quello del “facciamo un film su delle persone con i calzini a righe colorate”, ma c’è molto amore di fondo e il risultato è più che apprezzabile.

Il secondo titolo di cui vi vogliamo parlare è Boy Wonder, curioso esordio per il regista e sceneggiatore statunitense Michael Morrisey. Qui l’idea che il mettersi a combattere il crimine per le strade emulando le gesta dei proprio eroi di carta sia divertente o quantomeno “tenera”, non è neanche presa in considerazione. Il protagonista è l’adolescente Sean (Caleb Steinmeyer) a cui hanno ucciso davanti agli occhi la madre con un colpo di pistola. Il ragazzo, cresciuto insieme al padre ex alcolista, ha sviluppato una vera e propria ossessione per l’omicidio materno e, dopo essersi allenato come ogni supereroe comanda, ha deciso di scendere per le strade di New York per dire la sua. Con lo scopo di trovare il vero colpevole del crimine che lo ha cambiato per sempre, ucciderà senza alcun rimorso spacciatori, pedofili, papponi e anche qualche barbone troppo esuberante. Sean è un supereroe atipico: lo spettatore non riesce a immedesimarsi con lui: lo compatisce, certo, ma non riesce a giustificare i suoi omicidi. Sean è un vero disadattato che perde progressivamente la bussola, diventando un mostro incapace di scindere la realtà dalla sue fantasie malate. Il merito maggiore della sceneggiatura di Morrisey è proprio quello di dipingere il protagonista come un supereroe criminale che, per ristabilire un suo ordine delle cose, non esita a macchiarsi dei peggiori crimini. Un film venato da un forte pessimismo e da una cupa disillusione. Un ulteriore tassello nel progressivo disfacimento del mito del supereroe.