Attualità
Amiche che sbagliano
Nel suo Le mie amiche streghe, Silvia Bencivelli colpisce le mode antiscientifiche con la loro stessa arma, smentendole con storielle da aperitivo.
È uscito in questi giorni Le mie amiche streghe, il libro di Silvia Bencivelli sulla moderna stregoneria, ovvero sulle ormai solite perversioni delle migliori amiche di tutte noi donne devote al pensiero scientifico occidentale: omeopatia, gluten free, chilometro zero, medicina cinese, e una torcia puntata sul pube per far girare i feti podalici. La cosa più sorprendente del libro è che, sebbene fondato sul principio che «se il pensiero scientifico può fallire, quello umano ha molta più probabilità di farlo», tocca nel segno soprattutto quando tratta la scientificità come modo di sentire. Un paradosso che spiego citando: «La natura non so se mi piace così com’è. Fosse stato per la natura, sarei stata destinata a invecchiare con un senso della vista molto poco efficace, o forse sarei morta bambina […] la medicina, che mi ha aggiustato […] e mi ha difeso da virus e batteri, ha fatto lo stesso anche con tutti i miei familiari, molti dei quali alla medicina devono la vita o almeno un bel pezzo di felicità». Sono le parti autobiografiche del testo, proprio per il loro personalismo e l’alto contenuto di emotività, i grimaldelli più efficaci contro la superstizione di amiche che ragionano in via aneddotica piuttosto che numerica, e dicono cose tipo «il corso di medicina tibetana mi ha fatto pensare tante cose profonde».
Il nòcciolo del problema è di tipo squisitamente narrativo, e di linguaggio: per le amiche streghe dell’autrice, “moderno”, “occidentale” e “ufficiale” sono parole cattive. La parola cinese dopo “vestiti” e “cucina” è male, mentre dopo “medicina” è bene. L’aggettivo “antica” va naturalmente a sostegno della pratica dell’agopuntura, ma non si sente mai dire che anche «la nostra medicina occidentale ha circa ventisei secoli, ed è il sapere più tradizionale che abbiamo». «A Ippocrate, dobbiamo l’idea che quando si parla di salute, il misticismo non c’entra. Prima di Ippocrate ci si rivolgeva agli dèi, dopo Ippocrate basta sciocchezze». E invece niente, ventisei secoli dopo, sei lì che ti leggi un saggio sulle nuove tecnologie alla Feltrinelli, e un tizio attacca bottone a proposito dei microchip sottopelle che gli americani sparano dal cielo per farci ammalare di cancro; lavori con massima serietà assieme a una deliziosa musicista del conservatorio, e quella vuole farti la mappa astrale, o come si chiama; affidi mezz’ora tuo figlio alla vicina laureata, e vedi che sulla credenza tiene l’oscillococcinum, cioè una bollicina d’aria che qualcuno ha visto oscillare nel vetrino di un microscopio a inizio Novecento, battezzandola “pallina che oscilla”. Allora ti chiudi in casa per evitare contatti umani, ma per sbaglio metti il dito sull’app di Facebook e vedi che tua cugina, ai tempi discreta studentessa, condivide l’articolo che accusa le ong di accordarsi con gli scafisti. Spegni il telefono e vai a mangiare con un collega, ma è una pessima mossa. L’alimentazione, infatti, in quanto moda delle mode, è praticamente il bandolo della matassa delle fisime e stregonerie dei nostri tempi: «C’è sempre il momento di analisi di quello che hai nel piatto, potresti avere nel piatto, eviti di avere nel piatto, con compita spiegazione agli astanti, che ti ascoltano solo perché stanno aspettando il loro turno per parlare del proprio problema alimentare».
Uno dei tic linguistici più diffusi del nostro presente è proprio l’“io sono una persona che”: mi viene sempre da dire, senti, persona che crede nella mobilità sostenibile, perché non agganci la bici al palo e taci? Tu sei una persona che, mi viene da dire, pretende di passare per buona solo perché non mangia maiale. Tu sei una persona convinta che le mode sanitarie (no antibiotici), alimentari (no zuccheri) ed estetiche (no cellulari) possano comodamente rimpiazzare l’etica di un individuo. É il bisogno, così feisbucchiano, di rientrare nelle poche categorie disponibili, mentre, dice Bencivelli, «in me è forte il desiderio di sentirmi libera di diventare ogni volta una persona diversa», perché «le contraddizioni sono importanti nei nostri pensieri», mentre ormai nessuno vuole più capire e cambiare idea, ma confermare quel che già crede di sapere. La questione c’entra dunque col modo in cui usiamo le parole, ma anche col bisogno di parlare per ribadire chi siamo.
Le mie amiche non-streghe, invece, non dicono “sono vegetariana”, ma “grazie, oggi non mi va l’hamburger”; e non arringano le folle che vivono in campagna perché hanno fatto una scelta. Essere persone giuste non è una scelta, ma un modo di essere incontrovertibile, e parte integrante della bontà di una condotta è la discrezione che l’avvolge. Calvino ha scritto che «le imprese che si basano su una tenacia interiore devono essere mute e oscure; per poco uno le dichiari o se ne glori, tutto appare fatuo, senza senso, o addirittura meschino».