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Dei 10 film più visti al cinema in Italia nell’ultima settimana, metà sono vecchi titoli tornati in sala Nell'ottobre del 2025, tra i film più visti in Italia ce n'è uno del 1971, uno del 1997, uno del 2001 e uno del 2009.
Nel suo primo viaggio diplomatico all’estero, il ministro degli Esteri afghano ha dovuto affrontare un grosso problema: le giornaliste Ospite in India, Amir Khan Muttaqi ha cercato in tutti i modi di evitare di rispondere alle domande delle giornaliste, escludendole anche dalle conferenze stampa.
Temu ha raddoppiato i guadagni in Europa nonostante una forza lavoro composta da otto dipendenti soltanto Otto persone per gestire gli ordini, il servizio clienti, il sito, oltre alla parte burocratica, amministrativa e fiscale.
Il Time ha dedicato la copertina a Trump ma lui si è offeso perché nella foto sembra che gli abbiano cancellato i capelli Il Presidente degli Stati Uniti d'America ha commentato così: «La più brutta foto di tutti i tempi».
Il Presidente del Madagascar è fuggito dal Paese per paura di essere ucciso ma rifiuta comunque di dimettersi Al momento nessuno sa dove si trovi Andry Rajoelina, ma lui sostiene di poter comunque continuare a fare il Presidente del Madagascar.
Maria Grazia Chiuri è la nuova direttrice creativa di Fendi La stilista debutterà alla prossima fashion week di Milano, nel febbraio 2026, e curerà tutte le linee: donna, uomo e couture.
Dopo il Nobel per la Pace vinto da Maria Corina Machado, il Venezuela ha chiuso improvvisamente la sua ambasciata a Oslo Una scelta che il governo di Maduro ha spiegato come una semplice «ristrutturazione del servizio diplomatico».
Giorgio Parisi, il fisico, si è ritrovato a sua insaputa presidente di una commissione del Ministero della salute perché al ministero lo hanno confuso con Attilio Parisi, medico E adesso sembra che nessuno al ministero riesca a trovare una maniera di risolvere il problema.

Quella storia di Barcellona contro Madrid

Le radici dei complicati rapporti tra Catalogna e Stato centrale affondano nelle diverse identità culturali delle due capitali di Spagna.

25 Settembre 2017

Carlos Barral, indimenticato editore catalano che una volta si permise il lusso di accantonare il manoscritto di Cent’anni di Solitudine (si racconta che fosse troppo snob, nella sua genialità, per interessarsi a una novella di provincia e più in generale a quel tipo di scrittori secondo i quali il mare “es siempre mas azul che nunca”), amava riferirsi alla Madrid governativa e franchista con la sprezzante definizione di «quel pueblo a nord di Toledo». Erano gli anni Sessanta e Barcellona, ultimo bastione di resistenza antifranchista durante la Guerra Civile, e per questo umiliata nelle sue articolazioni principali – la lingua e la cultura – stava faticosamente cercando di recuperare un orgoglio catalano e una propria identità, man mano che il caudillo iniziava a perdere il consenso sociale di quella borghesia imprenditoriale cittadina che lo aveva pragmaticamente appoggiato in attesa di tempi migliori.

A quel tempo le due capitali spagnole non potevano essere culturalmente e antropologicamente più diverse. A Madrid ci si incontrava per la consueta tertulia al Café Gijón per bere una tazza di “chocolate con churros” e commentare le mirabolanti esibizioni dei matador Ordoñez e Dominguín, oltre che i raffinati ma spesso inverosimili resoconti di Hemingway. La capitale catalana, invece, appariva molto più vicina all’Europa, soprattutto a Parigi, che non al resto della Spagna: stava diventando una città cosmopolita, che respirava l’aria fresca che arrivava dai Pirenei o dalle città catalane francesi, come Perpignan, dove nel weekend le signore della borghesia catalana si rifugiavano per cercare di assistere a qualche rassegna cinematografica, con la segreta speranza di incrociare almeno un fotogramma con Marlon Brando. La nuova musica, il cinema, gli editoriali di avanguardia entravano in Spagna dalla frontiera con la Catalogna. E chi aveva avuto la possibilità di fare un salto a Parigi tornava frastornato, consapevole di dover convivere con la stridente contraddizione tra desideri e possibilità.

Naturalmente la rivalità tra le due città ha trovato terreno fertile anche in ambito calcistico; da un lato perché il Barcellona Football Club, nato dall’idea di uno stravagante protestante svizzero, Hans Gamper, è sempre stato considerato «l’esercito simbolico e disarmato della Catalogna» (copyright Manuel Vázquez Montalbán), dall’altro perché Franco, nonostante non fu mai un vero supporter, aveva compreso, al contrario di Primo De Rivera, l’utilità del calcio come arma di distrazione di massa. E nel periodo che seguì la Guerra Civile, quando la Spagna non era stata ancora legittimata dalla comunità internazionale, utilizzò i successi del Real Madrid a mo’ di propaganda. Come disse una volta Fernando Mária Castiella, uno dei suoi numerosi ministri degli Esteri, «il Real fu la miglior ambasciata mai avuta».

Barcelona Tourist Hot Spots As Its Popularity Continues To Grow

Ad alimentare la faida (non solo) calcistica e a renderla permanente contribuirono due casus belli. Il primo fu l’uccisione dell’allora presidente del Club catalano, Joseph Sunyol, un commerciante di zucchero che era anche proprietario di un settimanale, La Rambla. Era andato a visitare le truppe repubblicane nei pressi di Madrid, ma sbagliò strada, venne riconosciuto, arrestato e infine giustiziato nella zona della Sierra de Guadarrama, dove Hemingway ambientò in seguito Per chi suona la campana. La notizia impiegò una settimana per arrivare a Barcellona. La seconda porta la data del 1943. Semifinale di coppa del Re, che allora si chiamava del Generalissimo, come quasi del tutto del resto. Dopo aver vinto in casa la partita di andata per tre reti a zero il Barcellona si reca a Madrid consapevole di poter passare agevolmente il turno. Dovrà invece sottostare alla più gloriosa disfatta mai subita in un clasico: 11-1 il risultato a favore dei blancos, con Francisco Franco in tribuna ad esultare a ogni rete. La partita fu ricordata come “el bano del siglo”. Su quella sfida naturalmente si sprecano le dicerie. Una delle più suggestive racconta che poco prima del match il direttore della sicurezza di Stato, Jose FInat, un aristocratico con spiccate simpatie naziste che Franco nel 1941 aveva spedito per un paio d’anni a Berlino come ambasciatore, si sia recato in visita allo spogliatoio dei blaugrana, lasciando intendere ai malcapitati giocatori che una loro prestazione vigorosa avrebbe comportato conseguenze sgradevoli.

Views of Madrid

Oggi che la tensione tra le due metropoli spagnole è incautamente tornata sopra il livello di guardia, varrebbe la pena di ricordare che a Barcellona l’annosa rivalità con il potere centrale, inteso come il nemico occupante, ha radici antiche e fisiche. Radici che vanno ben oltre le battaglie novecentesche di Lluís Companys, ultimo presidente della Catalogna a proclamare lindipendenza, e che non possono non rimandare all’assedio dei Borboni, che si concluse con la totale resa della città l’11 settembre del 1714, curiosamente poi trasformatasi in festa nazionale catalana.

Per oltre un secolo e mezzo infatti l’odiassimo simbolo del dominio castigliano è stato identificato nella Ciutadela, l’imponente fortezza militare costruita nel 1718 dopo aver demolito tutto il vecchio quartiere marittimo della Ribera. Per costruirsi un rifugio dove sentirsi al riparo l’esercito di Filippo V abbatté ospedali, conventi e oltre 1200 case. Quando successivamente la fortezza fu abbattuta e trasformata in un parco pubblico, ispirato ai Giardini del Lussemburgo di Parigi, per ricordare quell’umiliazione, il poeta-sacerdote Jacint Verdaguer scrisse versi bellissimi, che iniziano così: «Con la faccia rubizza di sangue, ruggendo come una belva, / il Re scende ai famosi bassi della Ribera, / davanti ai suoi granatieri / “mettete via le spade, prendete i picconi e le pale” / dice “e tirate giù queste catapecchie / le tane dei banditi”».

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