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In Cina Wong Kar-wai è al centro di uno scandalo perché il suo assistente personale lo ha accusato di trattarlo male Gu Er (pseudonimo di Cheng Junnian) ha detto che Kar-wai lo pagava poco, lo faceva lavorare tantissimo e lo insultava anche, in maniera del tutto gratuita.
In Giappone un’azienda si è inventata i macho caregiver, dei culturisti che fanno da badanti agli anziani Un'iniziativa che dovrebbe attrarre giovani lavoratori verso una professione in forte crisi: in Giappone ci sono infatti troppi anziani e troppi pochi caregiver.
Rosalía ha condiviso su Instagram un meme buongiornissimo in cui ci sono lei e Valeria Marini  Cielo azzurro, nuvole, candele, tazza di caffè, Rosalia suora e Valeria Marini estasiata: «Non sono una santa, però sono blessed», si legge nel meme.
Hideo Kojima si è “giustificato” per la sua foto al Lucca Comics con Zerocalcare dicendo che l’ha fatta senza sapere chi fosse Zerocalcare Non c’era alcuna «intenzione di esprimere sostegno a nessuna opinione o posizione» da parte di Kojima, si legge nel comunicato stampa della Kojima Productions.
Anche Charli XCX si è messa a scrivere su Substack Il suo primo post si intitola "Running on the spot of a dream" e parla di blocco della scrittrice/musicista/artista.
A poche ore dalla vittoria al Booker Prize è stato annunciato che Nella carne di David Szalay diventerà un film Ad acquisire i diritti di trasposizione del romanzo sono stati i produttori di Conclave, noti per il loro fiuto in fatto di adattamenti letterari.
Il nuovo film di Tom Ford è già uno dei più attesi del 2026, per tantissime e buonissime ragioni Un progetto che sembra quasi troppo bello per essere vero: l'adattamento di uno dei più amati romanzi di Ann Rice, un cast incredibile, Adele che fa l'esordio da attrice.
Nel primo teaser del Diavolo veste Prada 2 si vede già la reunion di Miranda e Andy Le protagoniste salgono insieme sull’ascensore che porta alla redazione di Runway, riprendendo una scena cult del film originale.

Snobbare Barbie si può?

Le mancate candidature di Margot Robbie e di Greta Gerwig hanno sorpreso tutti e fatto arrabbiare tanti: per la prima volta, il film dell'anno è stato snobbato.

di Studio
04 Febbraio 2024

Lo sappiamo, lo leggiamo e lo diciamo ormai da mesi: Barbie non è stato “soltanto” un film. Il perché lo spiegava Silvia Schirinzi nella sua recensione: è stato un fenomeno estetico, il punto di maturazione di trend social e non, la più formidabile campagna di marketing cinematografico degli anni 2000, «il livello più alto raggiunto dalle discussioni sul femminismo “pop” che si sono riaccese negli ultimi anni». E tutto questo prima che Barbie diventasse anche il maggior incasso del 2023, un blockbuster da un miliardo di dollari, il più grande successo commerciale diretto da una regista nella ultracentenaria storia del cinema. Per tutte queste ragioni, si davano per scontate le candidature all’Oscar delle due donne che questo film che non è soltanto un film lo hanno realizzato: la regista Greta Gerwig e la protagonista-produttrice Margot Robbie. Per tutte queste ragioni, le mancate nomination di Gerwig nella categoria Miglior regia e di Robbie tra le Migliori attrici protagoniste hanno acceso una polemica che non si vedeva dall’anno degli #OscarsSoWhite.

«Non c’è Ken senza Barbie e non c’è film di Barbie senza Greta Gerwig e Margot Robbie, le due persone che più di tutte hanno il merito di questo successo storico, apprezzato in tutto il mondo. Il riconoscimento ricevuto dalle persone che hanno lavorato al film non sarebbe mai arrivato se non fosse stato per il talento, la tenacia, la genialità di queste due artiste. Dire che sono deluso dalla loro mancata candidatura nelle rispettive categorie è un eufemismo», ha scritto Ryan Gosling in un comunicato stampa subito dopo aver ricevuto la candidatura all’Oscar per il Miglior attore non protagonista, una delle otto totali ricevute dal film. È la contraddizione che tantissimi stanno sottolineando sui social in queste ore: Ken sì e Barbie no, com’è possibile? La canzone (candidata all’Oscar pure questa, sembra quasi che l’Academy lo abbia fatto apposta) non si intitola forse “I’m just Ken”?

Ad aggravare l’arrabbiatura dei fan è stata anche la sorprendente nomination di America Ferrera tra le Migliori attrici non protagoniste. Anche lei ha fatto una dichiarazione sostanzialmente identica a quelle di Gosling, cosa che non è certo bastata a chetare la furia dei fan. È vero, nel film Ferrera è protagonista di un monologo diventato un manifesto, ma com’è possibile che a lei sia bastato questo per battere la concorrenza in una categoria affollata e competitiva – fuori dalla cinquina sono rimaste Julianne Moore, Sandra Huller, Rosamund Pike e Viola Davis, attrici assai più quotate – e per Margot Robbie non sia stato sufficiente un intero film costruito essenzialmente su di lei? C’è chi cerca di prenderla con ironia e si spiega tutto con il successo discografico riscosso da Gosling: evidentemente Ken the EP, il disco che contiene quattro versioni di “I’m just Ken” (quella che fa parte della colonna sonora del film più tre cover inedite), deve essere piaciuto molto all’Academy. Altri accusano scherzosamente Robbie di essersi data la zappa sui piedi: «M’immagino che ormai siano tutti stufi di me», aveva detto l’attrice qualche giorno fa in un’intervista a Deadline. Certo non poteva immaginare che tra quelli stufi ci fossero anche così tanti membri dell’Academy.

La critica in questo momento si divide in due gruppi: da una parte c’è chi accusa l’Academy di aver confermato per l’ennesima volta tutti i pregiudizi che si hanno nei suoi confronti. “Greta Gerwig Oscar snub is classic Academy BS”, scrive Esther Zuckerman su Rolling Stone. «Di sicuro il film non si è diretto da solo, belli miei», ha scritto su X la giornalista di Msnbc Jennifer Palmieri, stizzita dalla contraddittoria decisione di candidare Barbie al premio per Miglior film ma escludere Gerwig dalla categoria Miglior regia. “Why these Oscar snubs are so enraging”, è il titolo del pezzo scritto da Sara Stewart per Cnn. E la lista di articoli dal titolo e contenuto simile potrebbe proseguire a lungo. C’è poi una parte della critica americana che sta provando a capire perché Gerwig e Robbie non siano state candidate.

Più o meno tutte le ricostruzioni dell’accaduto fatte fin qui le ha raccolte Kyle Buchanan nella sua rubrica The Projectionist sul New York Times. Certo, scrive Buchanan, è innegabile c’entri la storica ritrosia dell’Academy nel premiare le registe: basta ricordare che la prima donna a vincere il premio per la Miglior regia è stata Kathryn Bigelow per The Hurt Locker nel 2008 (anche lei subì poi lo snub del suo film successivo, Zero Dark Thirty). Nella storia dei premi Oscar solo otto donne hanno ricevuto la candidatura per la Miglior regia – l’ultima è Justine Triet, unica regista nella final list di quest’anno – e solo tre hanno vinto (Jane Campion, Kathryn Bigelow, Chloe Zao). Storica ritrosia alla quale se ne aggiunge un’altra, antica tanto quanto: quella nei confronti delle commedie, raramente apprezzate dall’Academy. Certo, si torna al discorso iniziale: Barbie non è “solo” un film e quindi non è “soltanto” una commedia, e altre istituzioni del cinema americano (i Golden Globe e i Critics’ Choice Awards, solo per citarne due tra le tante) lo hanno riconosciuto se non al momento della premiazione almeno in quello della candidatura.

C’è poi un discorso, magari noioso ma comunque imprescindibile, che riguarda i meccanismi che muovono la macchina dell’Academy of Motion Pictures Arts and Sciences. Un’associazione enorme, della quale fanno parte circa diecimila persone (9487, ultimo dato, risalente al 2023) divise in 17 branche. Ognuna di queste branche è “governata” da una commissione che sceglie candidati e vincitori nella categoria di appartenenza. C’è solo una categoria nella quale candidati e vincitori sono decisi da tutti gli appartenenti all’Academy: quella per il Miglior film. Partendo da questo presupposto, si capisce la presenza di Barbie tra i candidati alla statuetta per il Miglior film: è un riflesso dell’opinione dell’intera industria cinematografica americana. L’assenza di Gerwig nelle nomination per la Miglior regia sarebbe invece il riflesso dell’opinione di una parte della stessa industria, quella dei 587 registi e registe che decidono chi compete e chi vince nella categoria. Soprattutto dei registi, a essere precisi: solo un quarto dei aventi diritto di voto nel directors branch sono donne. E poi la concorrenza dovrà pur contare qualcosa: fosse stati voi al posto dei membri dell’Academy, chi avreste escluso tra i cinque candidati al premio per la Miglior regia, tra Nolan, Scorsese, Lanthimos, Glazer e Triet?

Forse basterebbe accettare che un film può essere un fenomeno estetico, il punto di maturazione di trend social e non, la più formidabile campagna di marketing cinematografico degli anni 2000, «il livello più alto raggiunto dalle discussioni sul femminismo “pop” che si sono riaccese negli ultimi anni», un blockbuster che ha contribuito a trascinare il cinema americano e mondiale fuori dalla secca post pandemica. E che tutte queste possono non bastare per ottenere una candidatura agli Academy Award. E che tutte queste cose restano, anche senza una nomination agli Oscar.

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