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In viaggio per l’Italia con Giorgio Terruzzi

Intervista con lo scrittore e giornalista che ha attraversato il Paese dal Friuli alla Sicilia (prima e dopo la pandemia) per il suo Atlante sentimentale.

di Gabriele Ferraresi

Lo scrittore e giornalista Giorgio Terruzzi

Se scrivi sui giornali alcune persone le incontri più volte a distanza di anni, non ne diventi amico nel senso da dizionario del termine, ma quasi: diventi almeno una faccia che quello là si ricorda. A me questa fortuna è capitata con Giorgio Terruzzi, milanese, classe 1958. Terruzzi è uno che ha girato il mondo per decenni seguendo la Formula 1 in anni incredibili, conoscendo chiunque, scrivendone ovunque, e ha pure imparato il mestiere da Beppe Viola. Ci incontriamo a casa sua per parlare di Atlante sentimentale (Rizzoli, 2021), in un pomeriggio in cui ho preso un temporale in bici e gocciolo come un maglione che non ha fatto la centrifuga. Gli entro in casa e la compagna impietosita mi fa «Ma vuoi una camicia di Giorgio?». Ricordarsi sempre che un elemento presente in quantità inesauribili nell’universo Terruzzi è la generosità. Declino gentilmente l’offerta e torno su Atlante sentimentale, un viaggio in Italia in quaranta tappe. E il viaggio in Italia, da Guido Piovene in poi, è un genere tentatore: tutte e tutti, o quasi tutte e tutti, vorremmo scrivere il nostro. Non per confrontarci con i giganti del passato – anche se dovremmo piantarla di aver paura di farlo, in generale – ma perché l’Italia forse non cambia, ma gli italiani un po’ sì, un po’ no, un po’ da capire. Vale la pena di farlo ancora quel viaggio, di passare “di là” per scoprire se il paesaggio è cambiato: finché non partiamo, non lo sappiamo. 

ⓢ Alla fine non hai messo nel libro un posto “minore” ma con una storia per me interessantissima: il residence dove è morto Walter Chiari (a Niguarda) nel 1991. Tu Chiari l’avevi incontrato proprio in quel periodo, com’era andata?
Arrivai lì alle due, ore 14, lui disse: «Guardi, alle due e mezzo devo andare via». Alle nove e mezza di sera dissi io: «Guardi, chiedo scusa, ma devo andare via io». Straordinario. Gli chiesi come mai vivesse in un residence e mi disse una frase bellissima, che credo abbia detto per primo Dashiell Hammett: «Le cose appartengono a chi le desidera di più». Casa sua l’aveva data a suo nipote… parlandoci insieme era il re della parentesi graffa, faceva delle parentesi nei discorsi, ma con una lucidità e una cultura straordinaria. Non sono sicuro, ma credo sia stata una delle sue ultime interviste. Sono stato in dubbio se metterla nel libro oppure no.

ⓢ Il viaggio di Atlante sentimentale l’hai fatto con l’Italia in lockdown?
Non tutto, perché più di metà l’ho fatto nell’estate scorsa, che l’Italia era un po’ aperta. Il resto l’ho fatto infilandomi tra il giallo e l’arancione per forza di cose, perché sennò non riuscivo a finirlo, no? Da solo, in un’Italia ancora semi deserta, silente, con i pro e contro di questa roba qua.

ⓢ Quali sono i pro?
I pro sono che Venezia deserta, senza turisti, è una meraviglia. O Matera, anche. I contro… sei solo, fai fatica anche a mangiare in giro, c’era tutto chiuso. Ma è il meno, sono disturbi relativi. 

ⓢ Qualche altro contro?
Tanti luoghi avrebbero richiesto tempi ancora più dilatati, valeva la pena stare un po’ di più, ma dovendo fare quaranta tappe non è che potevo stare via due anni. Anche perché l’Italia è piena di posti sorprendenti, inattesi e meravigliosi. 

ⓢ Cosa di cui ci si dimentica sempre, magari per andare in posti banali ma all’estero.
Sai, ognuno fa quello che gli pare, ma io dico sempre che volendo uno può trovare cento anfratti ignoti, dimenticati, trascurati anche solo nella propria città. Per cui figurati nel proprio Paese, un Paese come questo che è pieno di storia e di storie, di intrecci, di cose interessanti. Ti faccio un esempio: io sono stato un giorno intero, per scommessa, davanti alla casa di Eugenio Montale. È in via Bigli 15 a Milano e c’è una targa, ma non c’è nessuno che si fermi a leggerla. Nessuno. Eppure guardi quella targa lì e ti si apre un mondo, c’è la storia di un uomo.

ⓢ Restando su Milano, tu nel libro apri con Lucio Fontana che tenta di regalare un quadro a Cochi e Renato, che cordialmente rifiutano.
Lucio Fontana era un uomo generosissimo, che mi è spiaciuto non conoscere, fosforico, parlava sempre in dialetto. Era nato a Rosario, in Argentina, a due passi da dove è nato Che Guevara, e questa cosa mi ha colpito moltissimo. Il taglio di Fontana ha in un certo senso a che fare con la rivoluzione cubana. Questi due, ognuno per il suo verso, hanno fatto una rivoluzione. 

ⓢ Hai girato l’Italia in macchina, ti piace molto guidare?
Non mi dispiace. 

ⓢ Non ti dispiace o ti piace?
No no, mi piace, preferisco guidare in automobile che andare in aereo di sicuro. Mi piace il treno, potessi andrei in treno ovunque. Mi piace anche il tram. 

ⓢ Anch’io grande fan del tram.
Ma andare in Puglia in tram è dura! 

ⓢ Consigliare una delle quaranta tappe è ovviamente impossibile, ma proviamoci.
Sì è difficile. Ognuna ha un timbro che può risultare più o meno interessante a seconda del carattere di chi si muove. La Venezia di Corto Maltese ha un sapore particolare per chi ha in testa quelle atmosfere alla Hugo Pratt. Chi ha in mente il cinema e Massimo Troisi, a Salina, troverà la casa de Il postino di Neruda, e troverà un luogo magico, anche se trascurato e trasandato. 

ⓢ La casa de Il postino è abbandonata?
Sì, è un peccato. A parte che è in un punto meraviglioso e ha una storia pazzesca, con una doppia morte: perché muore sia il personaggio interpretato da Troisi, sia poi Troisi stesso. A me interessava poi in ogni storia trovare un nesso con qualcosa di oggi, e in questo caso c’è un’amicizia trascurata e tardivamente recuperata. Questa è una cosa che ci riguarda: spesso le amicizie non vengono accudite quanto si dovrebbe, te ne accorgi in ritardo di quanto era importante quel rapporto lì. 

ⓢ Altri posti?
Le strade della Targa Florio: le strade delle Madonie sono un’altra avventura, sembra una storia di sport, ma è un viaggio nel West. Io poi sono molto legato a Don Milani e a Barbiana – una storia che è un miracolo di attitudine e di cura degli altri, commovente – però come ti dicevo, dipende. Quella di Walter Bonatti è un’altra storia che ha valore per qualcuno e meno per qualcun’altro, Beppe Fenoglio idem. Aliano, il paese in Basilicata dove è ambientato Cristo si è fermato a Eboli, dov’era stato mandato al confino Carlo Levi…

ⓢ Ho presente: posto pazzesco, in mezzo ai canyon.
Un posto che devi andarci per capire. Per ritrovare un mondo arcaico, i tratti dei briganti, di una cultura contadina particolarmente legata alla terra, ai riti, a una simbologia tutta particolare.

ⓢ È stato quello il posto più selvaggio del viaggio?
Sì, ma a proposito di riti e di luoghi, Mamoiada e i Mamutones in Sardegna, un rito pagano fortissimo, un capovolgimento della terra misterioso. Che adesso ha anche un aspetto turistico, ma resta una cosa complessa, interessantissima. 

ⓢ Come i krampus.
Sì, infatti sono connessi, perché dentro a entrambe le cose c’è il capovolgimento del carnevale, che è un rito molto importante. Perché è, come dire, l’ultima eversione prima della carestia, è l’ultimo guizzo di libertà, di umanità. Prima della fame, della quaresima.

ⓢ C’è stato un posto che ti è spiaciuto veder tenuto male?
La casa di Moira Orfei è un po’ decadente e chiusa, ma mi dicono con progetti di restauro. Ha una storia molto particolare quella villa, Villa Lancillotto: era di questo signore nobile, un asso dell’aviazione italiana della Prima Guerra Mondiale, che quando seppe che il comando austriaco si era insediato lì ha bombardato casa sua! Una strafottenza da patriottismo straordinaria. Poi quella villa con la Orfei diventa un luogo magico, pensare che San Donà di Piave lì c’erano dentro gli elefanti, le tigri, gli ippopotami, una roba da Fellini. Mi sembra clamoroso che Genova non abbia conservato niente della casa di Paganini, sì, c’è una lapide in un parchetto, dimenticata.

ⓢ Un posto invece che ti ha sorpreso per la cura?
Asolo è un gioiello, un gioiello per pochi, è un posto per gente che sta lì, che se non sei dei loro ti taglia un po’ fuori. Il Pedocin, il bagno col muro a dividere uomini e donne, a Trieste, è un’esperienza fuori dal tempo, da fare. La Masseria Brancati in Puglia dove c’è l’ulivo più vecchio d’Italia, che ha tremila anni. Starei lì delle ore, pensando che si muovano quegli ulivi, che mi tirino lì. Hanno una potenza impressionante, sembrano dei corpi scuoiati, muscoli, amplessi. La Masseria Brancati è un posto magico. Poi cos’altro? Curatissima, fin troppo, anche Recanati. 

ⓢ Un po’ una Leopardiland?
Sì, è tutto molto bello, con qualche eccesso commerciale, ma molto bello. 

ⓢ Giorgio, chiudiamo: che cos’è un Atlante sentimentale?
È un invito ad andare. Perché questo meccanismo qui, che sta in queste storie, è replicabile autarchicamente. Secondo me la curiosità e l’incontro, anche con una scritta sul muro, può far partire un’avventura meravigliosa. Basta essere curiosi.  

ⓢ Come si fa essere curiosi?
È un allenamento da fare tutte le mattine. Quando uno non capisce e non sa, deve provare a capire e a sapere. Sennò, cosa siam qui a fare?