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In cosa consiste la tradizione natalizia delle arance e perché dovremmo ripristinarla

Proprio come il Babbo Natale italiano, il Santa Claus americano scende dal camino: ma invece di limitarsi a depositare pacchi e pacchetti sotto l’albero si preoccupa anche di riempire di piccoli doni le calze che trova appese. La stessa attività, insomma, che da noi viene svolta soltanto nella notte del 5 gennaio da una bruttissima donna anziana a cavallo di una scopa. Come racconta Jackie Manski nell’articolo “Perché dovremmo riprendere la tradizione dell’arancia di Natale”, pubblicato il 21 dicembre dallo Smithsonian Magazine, l’abitudine di utilizzare le arance per riempire le calze natalizie risale ad almeno 100 anni fa. Detto ciò: provate a immaginare la reazione di un bambino del 2018 di fronte a un regalo del genere. Anche Manski racconta di aver letto sul New York Times, qualche anno fa, una simpatica lettera a Babbo Natale, in cui uno scrittore ricordava di come il trucchetto delle arance nelle calze, da piccolo, lo innervosisse: cosa credevano, i suoi genitori, che non fosse in grado di accorgersi che le arance che aveva portato Babbo Natale erano praticamente identiche a quelle che riempivano la fruttiera in cucina?

Eppure, in passato, non era possibile immaginare un Natale senza arance. Nei primi anni dopo il 1900 le arance iniziarono ad essere pubblicizzate con una certa aggressività, spesso associate al Natale. Vennero presto adottate per i doni: la loro forma, dimensione e consistenza permetteva di riempire molte più calze, dando un’idea di opulenza e ricchezza. Poi, nel periodo della Grande Depressione, le arance divennero un frutto esotico, ricercato e lussuoso: in certe famiglie si mangiavano soltanto durante le feste. Non solo: infilare le arance nelle calze rimanda anche alla leggenda delle tre palle d’oro (o borse, a lingotti, o monete) che San Nicola di Myra avrebbe donato a tre povere fanciulle che rischiavano di essere vendute come schiave. L’attuale rappresentazione in abito rosso bordato di bianco di San Nicola origina dal poema A Visit from St. Nicholas del 1821 di Clement C. Moore, che lo descrisse come un signore allegro e paffutello, contribuendo alla diffusione della figura mitica di Babbo Natale.

Un dipinto realizzato tra il 1433 e il 1435 per un monastero di Firenze, basato su una pala d’altare di Gentile da Fabriano: rappresenta San Nicola mentre lascia cadere le palle d’oro nella casa delle tre povere fanciulle

«Oggi che possiamo farci recapitare un pezzo di ghiaccio dall’Alaska solo per rinfrescare il nostro ​​cocktail, il dono di un’arancia potrebbe non sembrare così speciale», osserva Manski, suggerendo di provare a rivalutare il valore del frutto. In Perfume, Postcards, and Promises: The Orange in Art and Industry, la storica dell’arte Helen L. Kohen traccia un’affascinane storia dell’arancia. Parte del suo fascino, scrive, risiede proprio nel suo mistero. Gli esperti di agrumi devono ancora identificare da dove provenga esattamente il cedro, il progenitore degli agrumi moderni. Quindi, conclude Manski, se quest’anno mettiamo un’arancia nella calza, non doneremo soltanto un frutto, ma una lunga storia da raccontare.