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04:28 mercoledì 19 novembre 2025
Il Ceo di Google ha detto che nessuna azienda si salverebbe dall’eventuale esplosione della bolla dell’intelligenza artificiale Sundar Pichai ha detto che la "corsa all'AI" è un tantino irrazionale e che bisogna fare attenzione: se la bolla scoppiasse, nemmeno Google uscirebbe indenne.
La cosa più discussa del prossimo Met Gala non è il tema scelto ma il fatto che lo finanzierà Jeff Bezos Il titolo e il tema del Met Gala di quest'anno è Costume Art, un'edizione realizzata anche grazie al generoso investimento di Bezos e consorte.
Per la prima volta è stata pubblicata la colonna sonora di Una mamma per amica In occasione del 25esimo anniversario della serie, su tutte le piattaforme è arrivata una playlist contenente i migliori 18 brani della serie.
Jeff Bezos ha appena lanciato Project Prometheus, la sua startup AI che vale già 6 miliardi di dollari Si occuperà di costruire una AI capace poi di costruire a sua volta, tutta da sola, computer, automobili e veicoli spaziali.
Le gemelle Kessler avevano detto di voler morire insieme ed è esattamente quello che hanno fatto Alice ed Ellen Kessler avevano 89 anni, sono state ritrovate nella loro casa di Grünwald, nei pressi di Monaco di Baviera. La polizia ha aperto un'indagine per accertare le circostanze della morte.
Vine sta per tornare e sarà il primo social apertamente anti AI Jack Dorsey, il fondatore di Twitter, ha deciso di resuscitarlo. A una condizione: sarà vietato qualsiasi contenuto generato con l'intelligenza artificiale.
C’è una app che permette di parlare con avatar AI dei propri amici e parenti morti, e ovviamente non piace a nessuno Se vi ricorda un episodio di Black Mirror è perché c'è un episodio di Black Mirror in cui si racconta una storia quasi identica. Non andava a finire bene.
In Cina Wong Kar-wai è al centro di uno scandalo perché il suo assistente personale lo ha accusato di trattarlo male Gu Er (pseudonimo di Cheng Junnian) ha detto che Kar-wai lo pagava poco, lo faceva lavorare tantissimo e lo insultava anche, in maniera del tutto gratuita.

La couture cinematografica di Alessandro Michele

Il direttore creativo di Valentino ha presentato a Parigi la sua prima collezione Haute Couture, uno degli show più spettacolari degli ultimi anni, che racconta del suo ambivalente rapporto con l’alta moda.

30 Gennaio 2025

«La couture è una cosa insidiosa, perché volendo puoi smontare tutto e ricominciare daccapo, oppure puoi anche non finire mai. È una sorta di realtà aumentata», dice Alessandro Michele ai giornalisti subito dopo aver presentato, con uno show spettacolare, la sua prima collezione Haute Couture per Valentino, di cui è direttore creativo dall’aprile dello scorso anno. Dice anche di essere stanco, di una «stanchezza bella», e che dopo la sfilata aveva voglia di stendersi per terra a guardare il soffitto perché quella collezione, intitolata “Vertigineux”, è stato un grandissimo sforzo. Per lui, e per l’atelier.

Quarantotto abiti, accompagnati da altrettante liste di parole che ne elencavano qualità, riferimenti, suggestioni, che scorrevano sullo schermo nero della passerella montata dentro il Palais Brongniart. Le liste facevano quasi il verso alle note che spesso accompagnano i comunicati stampa delle collezioni couture, che spiegano lavorazioni tecniche e tessuti e che sembrano spesso rimasugli di un’altra epoca, come d’altronde, di un’altra epoca, è la couture stessa, appannaggio di pochissimi nel mondo. La lista è anche, per Michele, un modo di descrivere il momento che ha vissuto e l’approccio che ha seguito: ispirandosi alla «vertigine della lista» di cui parla Umberto Eco, ha voluto concentrarsi sul modo in cui le liste si concludono, ovvero con un “eccetera” che «produce una sospensione»: «La vertigine subentra nella constatazione dell’incompiutezza di ogni possibile catalogazione».

Ogni abito è quindi presentato come un universo a sé, con i suoi significati ma allo stesso tempo aperto alle interpretazioni di chi lo osserva, così come alla rielaborazione dello spazio che occupa. Un cast di donne di tutte le età, che richiama il lavoro sui “tipi umani” fatto da Balenciaga, e silhouette che richiamano immagini storiche, tra crinoline, rossi cardinalizi e alte uniformi, raccontano delle fascinazioni del signor Valentino negli anni Ottanta (la prima uscita era un Valentino d’archivio molto “michelizzato”, ma c’erano anche Valentino d’archivio molto fedeli all’originale) e sfondano con consapevolezza nel territorio del costume. Michele ha ricordato le tante conversazioni avute con Piero Tosi, il grande costumista italiano scomparso nel 2019, e il sogno di diventare lui stesso, un giorno, proprio un costumista.

L’uscita finale, in cui le modelle correvano sulle note della “Danza dei cavalieri” di Prokof’ev, può essere riassunta nella frase “sembra un film” senza farle nessun torto, ci si perdoni la banalità, perché era esattamente così che ci sentiva, dalle scalinate su cui si assisteva allo show: di fronte alla scena epilogo, davanti allo schermo di un cinema. Michele ha detto di aver pensato alla fuga di Angelica nell’Orlando Furioso e pure a Barry Lindon, il capolavoro di Stanley Kubrick, ma anche che è probabile che siano molte altre le immagini, comprese quelle di moda, che inconsapevolmente riproduciamo perché fanno parte della nostra formazione (nota a margine: nel pubblico c’era Demna, l’autore che insieme a Michele ha definito gli anni Dieci nella moda e che oggi si trova, come Michele, in una una fase di ridefinizione del suo percorso).

«Io non sono un sarto e forse non sono neanche un couturier, e magari questa è una delusione per tutti voi. Conosco la teoria, con gli anni sono diventato bravo a maneggiare gli spilli ma non so cucire con le mie mani», ha detto molto onestamente Michele, che ha poi spiegato come il lavoro di preparazione di questa collezione sia stato molto diverso rispetto a quello a cui era abituato nella sua carriera. Intanto perché, per la couture, si ha a che fare con atelier dove lavorano persone altamente specializzate, persone che possiedono una quantità enorme di informazioni sulla Maison, che lì dentro hanno «visto e fatto tutto», che possono realizzare un orlo di seicentocinquanta metri e stirarne tutte le pieghe una a una in due giorni, che conoscono tecniche rare e difficili, e che devono trovare il modo di dedicarsi alla collezione nelle loro giornate dedicate interamente alle clienti. L’altro fattore determinante è il tempo, perché la couture ti insegna a essere paziente e, soprattutto, si fa gioco delle tue certezze: Michele ha raccontato di essere rimasto affascinato – e per certi versi atterrito – dal vedere come questi abiti prendessero forma giorno per giorno, per poi tornare ad afflosciarsi sui tavoli dell’atelier “rompendosi” di nuovo, tra le rassicurazioni del team che tutto sarebbe stato pronto per lo show.

Il tempo dell’alta moda è un tempo dilatato, è un tempo fuori dal tempo, ed è un tempo fatto di occasioni che vanno ben oltre le cene e le feste a cui partecipano le persone comuni. In molti si stanno chiedendo, in queste ore, che uso potranno fare le clienti di Valentino di questi abiti così cinematografici e sebbene la domanda sia legittima, questo primo show è forse da intendersi più come la realizzazione di un sogno, e una dichiarazione di intenti, che la proposta compiuta di un guardaroba, tenendo sempre a mente che la couture è già oggi qualcosa di completamento avulso dal concetto di portabilità e funzionalità.

«Ho vissuto il mio film personale, perché io ovviamente non sarò mai Valentino», ha detto Michele, ricordandoci che lui «è un po’ storto» e perciò nel dar vita ai tanti personaggi che ha incontrato nell’archivio – contesse, principesse, attrici, ricche signore dalla vita misteriosa – ha voluto metterci il suo tocco, come la maschera da wrestler sull’enorme abito inspirato alla contessa di Castiglione, che effettivamente non accettava di invecchiare e usciva con il volto coperto. È curioso osservare le reazioni allo show, anche online dove si inneggia sempre al ritorno del drama in passerella, ma che qui rimane quasi interdetto: do we love it or not? Michele continua a spiazzare, a respingere anche, perché la sua è una bellezza storta, appunto, che oggi viene rifuggita perché non binaria. «Il tempo è una cosa preziosa, che sto capendo adesso», ha detto infine, e questo è un privilegio grande che solo l’alta moda può dare a un direttore creativo che è stato uno dei più grandi interpreti del contemporaneo.

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