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02:07 venerdì 19 dicembre 2025
LinkedIn ha lanciato una sua versione del Wrapped dedicata al lavoro ma non è stata accolta benissimo dagli utenti «Un rituale d'umiliazione», questo uno dei commenti di coloro che hanno ricevuto il LinkedIn Year in Review. E non è neanche uno dei peggiori.
C’è una specie di cozza che sta invadendo e inquinando i laghi di mezzo mondo Si chiama cozza quagga e ha già fatto parecchi danni nei Grandi Laghi americani, nel lago di Ginevra e adesso è arrivata anche in Irlanda del Nord.
Nobody’s Girl, il memoir di Virginia Giuffre sul caso Epstein, ha venduto un milione di copie in due mesi Il libro è già alla decima ristampa e più della metà delle vendite si è registrata in Nord America.
YouTube avrebbe speso più di un miliardo di dollari per i diritti di trasmissione degli Oscar Nessuna tv generalista è riuscita a superare l'offerta e quindi dal 2029 al 2033 la cerimonia verrà trasmessa in esclusiva su YouTube.
Miss Finlandia ha perso il suo titolo dopo aver fatto il gesto degli “occhi a mandorla” ma in compenso è diventata un idolo dell’estrema destra Il gesto è stato imitato anche da due parlamentari del partito di governo Veri finlandesi, nonostante il Primo ministro lo abbia condannato.
In un editoriale su Politico, Pedro Sánchez ha definito la crisi abitativa «la più grande emergenza di questa epoca» E ha invitato tutti i Paesi dell'Ue a iniziare a trattare il diritto alla casa come quello alla sanità e all'istruzione.
La Romania spenderà un miliardo di euro per costruire Dracula Land, un enorme parco giochi a tema vampiri Il parco verrà costruito vicino a Bucarest e l'intenzione è di competere addirittura con Disneyland Paris.
Tra i 12 film in corsa per l’Oscar al Miglior film internazionale ben tre parlano di Palestina È invece rimasto fuori dalla lista Familia: il film di Francesco Costabile, purtroppo, non ha passato neanche la prima selezione dell’Academy.

Alcolisti (non più) Anonimi

23 Maggio 2011

«Mi chiamo David Colman, e sono un alcolista.»

Così comincia un pezzo uscito sul New York Times, firmato da un giornalista con 15 anni di sobrietà alle spalle. Sobrietà raggiunta frequentando un gruppo di Alcolisti Anonimi. Da qui, la decisione di fare un piccolo passo avanti: aggiungere un cognome al proprio nome, e negare l’importanza dell’anonimato come chiave del recupero, suo e altrui.

L’articolo ha suscitato le reazioni più prevedibili.

Le obiezioni di Colman hanno un carattere personale, ma mettono in discussione anche la teoria: «l’anonimato è un retaggio dell’origine di AA, non siamo più negli anni Trenta, il sistema deve evolversi con il tempo» (parliamone); «quante volte ho intervistato questo o quel Signor Famoso che avevo già incontrato nel mio gruppo» (e cosa vuoi, una medaglia?); in più, però, lui dice di essere stato spesso presentato con nome e cognome ad altri partecipanti (ok, questo è fastidioso), e raccoglie testimonianze di organizzatori inferociti davanti alle foto di una riunione finite su Facebook, naturalmente taggate per intero (double facepalm per tutti, offro io).

Per chi legge un pezzo simile senza conoscere la nostra comunità, e quindi per il 95% di chi prende in mano un giornale, il rischio è sempre uno: scambiare Los Angeles per il mercato sotto casa, e pensare che tutti i gruppi di auto-aiuto siano dopolavori della Warner, o buone occasioni per scambiare aneddoti di degradazione con bellissime (ma dolenti) attrici televisive. Lo stesso principio per cui il gruppo di Perry Street a Manhattan, che esiste da oltre 50 anni e offre un meeting ogni 90′, rischia di essere riassunto con «ah, sì, ne ho sentito parlare, ci è passato anche Lou Reed». (Grazie del sostegno, da qui in poi faccio da sola.) Se alcuni di noi difendono l’anonimato, altri non hanno mai avuto la possibilità di restare anonimi. E c’è molta differenza tra la realtà degli Stati Uniti, dove i workshop AA sono numerosi, organizzati e tendono a seguire il manuale con maggiore rigidità, e quella di un paese come l’Italia, dove sono meno radicati, ma più rilassati (in media, eh), e può capitare di sentirsi rispondere «devi fare quello che è giusto per te» di fronte a questioni di responsabilità personale. (Non sarà un caso se la narrativa memoriale continua ad avere un discreto successo, al di là della celebrità dell’autore: nemmeno l’autogol di James Frey, che allora sembrava devastante, ha frenato il filone).

Questo è il terreno su cui possono nascere portali come The Fix, la cui ambizione evidente è diventare il Gawker o il Daily Beast del problema, e le cui firme non usano pseudonimi, sia che parlino di sé sia che commentino la notizia del giorno. Va detto, alcuni di loro erano già usciti allo scoperto: Susan Cheever ha pubblicato un libro dedicato al suo recupero e uno alla vita col padre John. L’atmosfera però è molto vicina a quella che potremmo trovare in un buon gruppo vero: tira un’aria di segreto aperto, dove si cerca di sospendere il giudizio sulle scelte degli altri, si ripete «non esiste un solo modo di mantenersi sobri», e magari si lega di più con chi ci sembra più simile a noi.

Ho detto noi. Perdonatemi, se potete.

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