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Zangrillo ama stupirci con effetti speciali

Un ritratto del più spettacolare tra i medici entrati nel dream team di esperti che domina da mesi i palinsesti delle televisioni italiane.

22 Ottobre 2020

Accanto ai diagrammi circolari che studiano l’andamento del Covid, insieme ai grafici a torta che indicano quanto il virus si sia insinuato nel nostro tessuto biologico e sociale, andrebbe studiato attentamente anche il flusso degli interventi del professor Alberto Zangrillo, primario di Terapia Intensiva all’ospedale San Raffaele di Milano e medico personale di Silvio Berlusconi. E non tanto per approfondire sotto un’altra angolazione l’incedere della malattia, quanto per tracciare nuovi profili nell’intricato macramè dei luminari da prima serata.

Negli ultimi mesi, il diagramma del medico anestesista ligure ha seguito un andamento degno della più instabile delle criptovalute. Un saliscendi vertiginoso. Di tutto il dream team di immunologi, virologi e esperti che domina da mesi i palinsesti delle televisioni italiane, Zangrillo è forse il più spettacolare e il più scenografico. Quello che più degli altri ama stupirci con effetti speciali. Ogni volta che c’è lui, da Giletti o da Floris, non è mai una serata banale. Come quando, il 31 maggio, durante una puntata, ormai entrata nella leggenda, di 1\2 ora in più, affermò con estrema nonchalance, davanti a un’esterrefatta Lucia Annunziata, che il virus dal punto di vista clinico non esisteva più, scatenando un putiferio fra malati, giornalisti e soprattutto colleghi. Compreso l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco,  futuro assessore alla sanità della regione Puglia, subito messo al suo posto dal supermedico: «Lopalco dice che sbaglio? Ha un solo studio sul Coronavirus, io invece ne ho 40». Gne gne gne.

Peccato però che il virus “clinicamente” se la stava passando alla grande, tanto da infettare nell’arco di una settimana due dei suoi assistiti più illustri: Flavio Briatore e lo stesso Berlusconi, immediatamente ricoverato con una polmonite bilaterale. Impossibile a questo punto non fare dietrofront. Durante una conferenza stampa, il professore ordinario di Anestesia e Rianimazione all’Università Vita-Salute ammise, sì, di aver usato «un tono forte, probabilmente stonato», senza rinnegare mai l’assunto originario.

Ci è voluta la clamorosa impennata dei contagi degli ultimi giorni a fargli cambiare definitivamente tattica comunicativa: «A maggio il virus era in ritirata, ma oggi è tornato a mordere». Che tradotto in soldoni vuol dire: il Covid è vivo e vegeto e ha tutta l’aria di non volersi togliere dalle scatole per un bel po’. Ma Zangrillo è fatto così. Tanto affabile quanto duro. Tanto cortese quanto determinato. Le vie di mezzo non fanno parte del suo background. Come quando nel 2014 ha dato del miserabile su Twitter a Roberto Formigoni, colpevole di essersi preso gioco della statura di Renato Brunetta. O ha definito “traditori” gli esponenti della Nuova destra, quella di Angelino Alfano per intenderci, che avevano tolto le tende da Forza Italia. «Tutti questi signori – aveva detto il professore a Nicola Porro durante la trasmissione Virus di Rai2 – li ho visti coi pantaloncini corti e con le ballerine, poi sono passati ai pantaloni lunghi e al tacco 12. Li ho visti nascere, devono tutto al Cavaliere».

Due anni più tardi, in occasione del leggendario lancio della statuetta del Duomo contro il presidente Berlusconi, super Zangrillo era andato ancora più in là, affermando senza troppi giri di parole che «Silvio è dotato di poteri soprannaturali. Ha capacità pazzesche, capisce al volo e prima degli altri le persone, si applica al lavoro con ritmi infernali, ha una memoria incredibile e quando è stato preso in pieno viso dalla statuetta ha avuto il fegato di uscire dall’auto per far vedere al suo popolo che era vivo». Standing ovation.

Di Zangrillo si cantano le gesta come fosse un eroe mitologico: metà luminare e metà Capitan America; un po’ esimio professore e un po’ Giorgio Mastrota. Narrano le cronache che nel 2015 salvò la vita a un quattordicenne, che si era tuffato nel Naviglio di Milano restando intrappolato sott’acqua per 40 minuti. Il ragazzino fu recuperato dai pompieri in arresto cardiaco, c’erano pochissime speranze di salvarlo. Pochissime ma non per Zangrillo. «Solitamente, quando l’arresto cardiaco supera i sei minuti bisogna solo constatare il decesso. Se avessimo seguito in modo rigido le procedure, Michi sarebbe morto. Non lo abbiamo fatto e il ragazzo si è salvato».

La storia del primario del San Raffaele viene da lontano. Non dal pianeta Krypton, ma da Genova. Classe 1958, sempre elegante, sposato con tre figli, si è laureato in Medicina e Chirurgia all’Università degli Studi di Milano, specializzandosi poi in Anestesia e rianimazione. Per anni ha girato gli ospedali di mezza Europa – dal Queen Charlotte Hospital di Londra all’Hospital Santa Creu i Sant Pau di Barcellona – per poi approdare al San Raffaele, il più grande istituto italiano di sanità privata, dove oggi è primario dell’Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione Generale e Cardio-Toraco-Vascolare.

Dal 2018 è tra i primi dieci medici al mondo per numero di studi sull’anestesia e sulle cure intensive, ha firmato quasi ottocento pubblicazioni (di cui la metà su riviste internazionali), ha scritto una quarantina di titoli tra monografie e libri e ha svolto attività di ricerca sul cuore artificiale, sul trattamento dello scompenso cardiaco, sul trattamento dell’infarto miocardico, sulle terapie anticoagulanti alternative. Ama passeggiare fra i carruggi ed è un grande tifoso del Genoa. È stato nominato Cavaliere e Commendatore della Repubblica e in almeno un paio di occasioni Berlusconi gli ha chiesto di fare il ministro della Salute, proposte puntualmente rifiutate (anche se poi nelle file di Forza Italia ci è finito Paolo, suo fratello minore).

Proprio negli ultimi mesi, complice forse la visibilità mediatica, la politica è tornata a bussare alla sua porta. Si parlò di lui durante la prima ondata come di un possibile candidato sindaco di Milano. A ipotizzare per lui un futuro in politica, sempre smentito, erano state le sue posizioni, alquanto critiche, sul nuovissimo super-ospedale alla Fiera di Milano. «Una superastronave nel deserto», l’aveva definita senza troppi giri di parole. Per molti mesi, i fatti – 21 i milioni spesi a fronte di una ventina di ricoveri – sembravano dargli ragione. Sembravano… I numeri lombardi delle ultime ore però rischiano ora di togliergliela, forse in maniera definitiva. Sarà così? Il saliscendi continua.

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