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La Corte di giustizia europea ha stabilito che gli animali sono bagagli e quindi può capitare che le compagnie aeree li perdano Il risarcimento per il loro smarrimento è quindi lo stesso di quello per una valigia, dice una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea.
È uscito il memoir postumo di Virginia Giuffre, la principale accusatrice di Jeffrey Epstein Si intitola Nobody’s Girl e racconta tutti gli abusi e le violenze subiti da Giuffré per mano di Epstein e dei suoi "clienti".
È morto Paul Daniel “Ace” Frehley, il fondatore e primo chitarrista dei KISS Spaceman, l'altro nome con cui era conosciuto, aveva 74 anni e fino all'ultimo ha continuato a suonare dal vivo.
Dell’attentato a Sigfrido Ranucci sta parlando molto anche la stampa estera La notizia è stata ripresa e approfondita da Le Monde, il New York Times, il Washington Post, Euronews e l’agenzia di stampa Reuters.
Oltre alle bandiere di One Piece, nelle proteste in Usa è spuntato un altro strano simbolo: i costumi gonfiabili da animale Costumi da rana, da dinosauro, da unicorno: se ne vedono diversi in tutte le città in cui si protesta con Trump e contro l'Ice.
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La lotta permanente di Adrian Piper

Al Pac di Milano è in corso Adrian Piper: Race Traitor, la prima retrospettiva europea dopo oltre vent’anni dedicata all’artista e filosofa che dagli anni Sessanta ci costringe ad affrontare il razzismo, la xenofobia, l’ingiustizia sociale e l’odio.

di Studio
03 Aprile 2024

Oltre a essere una filosofa kantiana, Adrian Piper (1948, New York) è un’artista concettuale. Da quella che è considerata come la sua prima “mostra”, un lavoro di mail art realizzato a 19 anni che venne recensito dal Village Voice, alla performance e serie di autoritratti Food for the Spirit del 1971, ispirata alla Critica della ragion pura di Kant, con le sue opere Piper ha spesso sollevato domande scomode sulla politica, l’identità razziale e di genere, costringendo le persone a confrontarsi con sé stesse e la società in cui vivono. Nella serie di performance Mythic Being, iniziata nel 1973, l’artista indossava una parrucca afro, baffi, occhiali da sole, e girava per le strade di New York interpretando un uomo afroamericano della working class e ostentando un atteggiamento maschile, ad esempio fissando con insistenza le donne,

Adrian Piper: Race Traitor, dal 19 marzo al 9 giugno al Pac (Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano) è la prima retrospettiva europea dopo oltre vent’anni dedicata all’artista vincitrice del Leone d’Oro alla Biennale di Venezia del 2015. A cura di Diego Sileo, la mostra ripercorre oltre sessant’anni di carriera, con importanti prestiti internazionali provenienti dai più prestigiosi musei, tra cui il MoMA e il Guggenheim di New York, il MoMA di San Francisco, l’MCA di Chicago, il MOCA di Los Angeles e la Tate Modern di Londra. Se la retrospettiva a lei dedicata dal MoMA nel 2018 era stata un esame approfondito di tutto il suo lavoro dal 1965 al 2016, la mostra al Pac è un’indagine che si concentra sul suo processo di liberazione dalla morsa malata della “razza” che ha sperimentato consapevolmente per la prima volta quando ha iniziato l’istruzione superiore negli Stati Uniti. Le opere in mostra fanno emergere l’analisi della “patologia visiva” del razzismo: attraverso installazioni, video, fotografie, dipinti e disegni l’artista sviluppa una ricerca sull’immagine delle persone afroamericane determinata dalla società e dagli stereotipi diffusi. In quanto artista donna e filosofa, Piper restituisce attraverso il suo lavoro anche le sue esperienze relative al sessismo e alla misoginia subiti da lei stessa nel corso della sua vita e della sua carriera.

Adrian Piper, My Calling (Card) #1 (Reactive Guerrilla Performance for Dinners and Cocktail Parties),1986-ongoing

Adrian Piper, Catalysis III, 1970, documentazione della performance © Generali Foundation e Adrian Piper Research Archive (APRA) Foundation Berlin

Dopo un’embrionale fase pittorico-psichedelica Piper si avvicina all’arte concettuale e dal 1967 inizia a lavorare in questa direzione, riflettendo sui concetti di spazio e di tempo attraverso l’impiego di un’estetica minimalista. In questi stessi anni Piper incontra anche la pratica dello yoga e della meditazione, che tutt’ora l’accompagnano. A partire dagli anni Settanta e Ottanta l’artista comincia a servirsi anche della performance e, accresciuta la propria consapevolezza di donna e di appartenente a una minoranza, porta, all’interno del linguaggio concettuale, contenuti d’impegno sociale e politico, affrontando temi come xenofobia, discriminazione razziale e di genere. Dalla fine degli anni Sessanta Adrian Piper si dedica anche allo studio della filosofia divenendo, nel 1987, presso la Georgetown University, la prima donna americana di riconosciuta discendenza africana a ottenere una cattedra accademica nel campo della filosofia. Nel 2011 l’American Philosophical Association le conferisce il titolo di Professore Emerito.

Adrian Piper, Safe, 1990 © Adrian Piper Research Archive (APRA) Foundation Berlin, foto Andrej Glusgold

Adrian Piper, Safe, 1990 © Adrian Piper Research Archive (APRA) Foundation Berlin, foto Andrej Glusgold

Adrian Piper, Safe, 1990, © Adrian Piper Research Archive (APRA) Foundation Berlin, foto Andrej Glusgold

Nel 2012 l’artista si congeda dall’“essere nera”, mettendo in discussione la predeterminata identità di afroamericana che le viene attribuita a livello sociale. Gli anni dagli Ottanta ai Duemila sono segnati da una progressiva alienazione nei confronti della società americana e dell’ambiente accademico in particolare, per questo nel 2005 Piper fugge dagli Stati Uniti per trasferirsi a Berlino. Le ragioni di questa decisione sono ben raccontate da lei stessa nella sua autobiografia Escape to Berlin: A Travel Memoir (2018). In occasione della mostra al Pac, Silvana Editoriale ha pubblicato la traduzione in italiano: Fuga a Berlino. Memorie di viaggio.

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