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Adam Sandler, ti amiamo anche noi

Su Netflix è arrivato il suo nuovo show Love You, diretto da Josh Safdie: una lunga lettera d'amore al suo pubblico e al genere della commedia.

di Giorgio Biferali

Le persone si dividono in due tipi. È così che comincia un libro di racconti Bob-Waksberg, il creatore di BoJack Horseman, è così che cominciano tante storie. Le persone si dividono in due tipi, per me, quelle che ridono quando guardano Frankenstein Junior, Animal House, The Blues Brothers, L’aereo più pazzo del mondo, Il grande Lebowski, Io e Annie, Una poltrona per due, Tutti pazzi per Mary, Scemo & più scemo, Starsky & Hutch, Molto incinta, 2 Single a nozze, Terapia d’urto, 50 volte il primo bacio, e quelle che invece ti guardano mentre stai ridendo, ridono, quasi, ma solo perché ridi tu, come si dice, ridono di te, non con te, non ce la fanno proprio a capire come si possa ridere per una cosa del genere.

Che poi, a pensarci bene, anche i comici si dividono in due tipi. Una settimana fa, provando in ogni modo ad apprezzare lo spirito di un’estate in città, sono andato a vedere uno spettacolo di stand-up comedy. Per chi non lo sapesse, si chiama così, stand-up comedy, perché c’è un comico che si esibisce in piedi, davanti a un pubblico. Mentre aspettavo che salissero i comici sul palco, mentre li vedevo che si preparavano in un angolo, a testa bassa, mentre notavo che erano quasi tutti maschi, mi chiedevo perché fossi lì, cosa mi aspettassi da quella serata. Dentro di me, forse, c’era un po’ di sadismo, o quella che Freud chiamava pulsione di morte. Sapevo che non avrei riso, ma volevo assistere a una scena tipo quelle di Baby Reindeer, senza una stalker che aiuta il comico di turno in difficoltà a farsi coraggio e a combattere quei silenzi pieni di imbarazzo. Ero curioso di vedere la reazione del pubblico, per lo stesso motivo per cui leggo i commenti sui social, per capire il mondo in cui mi trovo e in cui vivo ogni giorno. E quegli aspiranti comici, come i loro colleghi italiani famosi, basavano i loro numeri sulle imitazioni, sulle macchiette, chiedendo al pubblico (perché così che si fa nella stand-up): «Vi è mai capitato di…?» O cominciando le frasi con «Non so voi, ma io quando mi trovo…», senza guizzi, senza particolari invenzioni, con la paura profonda e continua che il pubblico non si ritrovasse nelle loro piccole avventure quotidiane.

Per fortuna, poi, è arrivato Adam Sandler, con il suo nuovo show Love You prodotto dalla sua Happy Madison, diretto da Josh Safdie e distribuito da Netflix, a restituirmi quella parte di estate che mi era mancata. Un titolo che è un po’ una lettera d’amore rivolta agli altri, alle persone che l’hanno seguito, che l’hanno accompagnato in tutti questi anni, da quando faceva la sua prima comparsa in tv nella quarta stagione de I Robinson. E non cambia mai, Sandman (come si fa chiamare lui), si presenta con una felpa blu Bergie’s Sports il cappuccio, una polo hawaiana e i pantaloni della tuta Nike. Tranquillo, sicuro di sé, anche se nel bicchierone di caffè che si porta sul palco gli hanno messo lo splenda e non lo stevia, anche se gli schermi su cui vorrebbe proiettare le immagini del suo spettacolo non stanno funzionando, anche se tutti questi piccoli disagi, in realtà, fanno parte del gioco, dello spettacolo stesso, di un filo metanarrativo che è lì per dirci che non bisogna mica prendersela, che a volte capita, che è la vita, che bisogna andare avanti comunque.

Che racconti di uno che fotografa gli hamburger nei piatti degli altri, al ristorante, o della figlia, che si è fatta grande e che ormai lo chiama solo quando deve aiutare le amiche a comprare le birre, Sandman si affida, come sempre, a una lingua piana, sobria, destinata a muoversi, a cambiare rapidamente, a scivolare nel grottesco, non solo attraverso l’aneddoto classico, ma anche cantando, suonando la chitarra (l’unico comico all’altezza, oggi, e che forse canta anche meglio è Bo Burnham). E anche quando sceglie di affidarsi al quotidiano, di raccontare episodi e fatti che forse gli sono successi, non si accontenta mai, non gli basta trovare battute, silenzi, dettagli comici che gli offre la realtà, no, Sandman inserisce sempre qualcosa che possa sorprendere, scandalizzare, mettere in luce la stranezza degli esseri umani, la loro fragilità, l’aspetto leggero dell’esistenza. Un uomo si lamenta con lui perché la moglie si è tatuata sul polpaccio la faccia di Sandman, e adesso quell’uomo non riesce più a venire se prima non guarda quella faccia. Un altro racconta la sua giornata tipo, fa colazione tardi, esce, torna a casa, guarda Jerry Maguire anche se l’ha visto tante volte, dice che bella giornata, che bella vita, «sono clinicamente depresso». E poi Sandman racconta la sua, di vita, la esagera un po’, quando si dipinge come uno che «borbotta sottovoce» perché tocca sempre a lui tagliare l’erba o raccogliere i giocattoli sul fondo della piscina, quando è al cinema e non riesce a concentrarsi su quello che fa Spider-Man perché c’è un tipo con lo zaino, anche se poi scopre che dentro ha solo dei pacchetti di Twizzlers.

«Mio padre diceva ora tiro fuori la cinta», confessa, «io non lo faccio con le mie figlie, porto sempre la tuta». E prima di gridare «Love You» al suo pubblico, di farlo tornare a casa con il cuore felice, prima di ritrovare la moglie, che lo aspetta dietro le quinte e che gli offrirà cibo cinese o deli mentre scorrono i titoli di coda, dedica una canzone al suo primo amore, la commedia. Per un ragazzo che è giù di morale, che fissa il soffitto, che non sa come «riprendersi l’anima», per una ragazza che soffre perché si sente sola, «arriva la commedia». «Ridi e il dolore scompare», grazie ad Ace Ventura che fa parlare le chiappe, grazie a Gianni e Pinotto, a Ruth Buzzi, a Jerry Lewis, ai fratelli Marx, a Benny Hill che schiaffeggia il vecchio calvo, a Eddie Murphy («tutto il mio quartiere voleva essere te»), a Billy Cristal, a Whoopi Goldberg, a Robin Williams, a Peter Sellers, a Dan Aykroyd e John Belushi, ai ragazzi e al cavallo di Animal House, a Borat, ai fratelli Farrelly, a Superbad, a Elf, a Chris Rock, a Judd Apatow, a Steve Buscemi e a Ben Stiller, a Drew Barrymore e a Jennifer Aniston. Perché, come canta Sandman, «una bella battuta farà ridere per sempre, i film invecchiano ma ai bambini piacciono sempre, non dimenticheranno mai le risate che si sono fatti».