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È morto Tom Stoppard, sceneggiatore premio Oscar che ha reso Shakespeare pop Si è spento a ottantotto anni uno dei drammaturghi inglesi più amati del Novecento, che ha modernizzato Shakespeare al cinema e a teatro.
La tv argentina ha scambiato Gasperini per il truffatore che si era travestito da sua madre per riscuoterne la pensione Un meme molto condiviso sui social italiani è stato trasmesso dal tg argentino, che ha scambiato Gasperini per il Mrs. Doubtfire della truffa.
La parola dell’anno per l’Oxford English Dictionary è rage bait Si traduce come "esca per la rabbia" e descrive quei contenuti online il cui scopo è quello di farci incazzare e quindi interagire.
A giudicare dai nomi in gara, Carlo Conti vuole che Sanremo 2026 piaccia soprattutto ai giovani Tanti nomi emergenti, molto rap e veterani al minimo: è questo il trend di Sanremo 2026, pensato per un pubblico social e under trenta.
I dazi turistici sono l’ultimo fronte nella guerra commerciale tra Stati Uniti ed Europa Mentre Trump impone agli stranieri una maxi tassa per l'ingresso ai parchi nazionali, il Louvre alza il prezzo del biglietto per gli "extracomunitari".
Papa Leone XIV ha benedetto un rave party in Slovacchia in cui a fare da dj c’era un prete portoghese Il tutto per festeggiare il 75esimo compleanno dell'Arcivescovo Bernard Bober di Kosice.
I distributori indipendenti americani riporteranno al cinema i film che non ha visto nessuno a causa del Covid Titoli molto amati da critici e cinefili – tra cui uno di Sean Baker e uno di Kelly Reichardt – torneranno in sala per riprendersi quello che il Covid ha tolto.
La presidente della Tanzania Samia Suluhu Hassan ha nominato il nuovo governo e ha fatto ministri tutti i membri della sua famiglia In un colpo solo ha sistemato due figlie, un nipote, un genero, un cognato e pure un carissimo amico di famiglia.

Affittare gli abiti è sempre più di moda

La pandemia e le sue conseguenze potrebbero portarci a trovare una soluzione tra la voglia di cambiarsi continuamente e quella di possedere meno oggetti.

10 Febbraio 2021

Nel 2008 ci aveva provato Sex & The City, influencer prima delle influencer, a venderci l’idea che affittare una borsa firmata fosse cool. “Bene, Louise da St.Louis, ho un’ultima domanda per te: come fa una disoccupata che vive in un appartamento con tre coinquilini a potersi permettere un bauletto di Louis Vuitton della collezione Patchwork?”, chiedeva Carrie Bradshaw alla sua aspirante assistente. “L’ho affittata, no?!”, rispondeva quella. Tredici anni dopo l’esperimento della serie tv non può dirsi riuscito, almeno non quanto quello che ha regalato l’immortalità a Manolo Blahnik. Ma oggi i dati e le previsioni dicono che forse l’anno della moda in affitto sarà il 2021. O meglio, quello in cui l’emergenza sarà alle spalle e le persone torneranno ad avere voglia di vestirsi, così come di mangiare fuori e viaggiare. I dati di una ricerca di IMARC Group pubblicata lo scorso aprile illustravano già una previsione di crescita di valore del mercato fino 2,08 miliardi di dollari entro il 2025, contro gli 1,26 di oggi. E la pandemia sembra aver accelerato anche questo, con una presenza fiorente di nuove realtà e proposte, con modelli di business anche molto diversi tra loro.

Cosa è cambiato perché il mondo si sentisse finalmente pronto a mettere da parte l’acquisto compulsivo non in favore dell’ascetismo, bensì di una rotazione continua del guardaroba? Sono molti i fattori che fanno pensare a un mercato più pronto: la pandemia (e, per molti, la reclusione forzata fra le mura di casa) ha portato a una riflessione profonda su ciò che si possiede, abbinata a una più banale ma sentitissima insofferenza nei confronti di spazi pieni di cose non utilizziamo. E poi si resta a casa, sì, ma senza smettere di fotografarsi. Se di spazi belli su Instagram alla fine se ne vedono giustamente pochi, non ci si può certo fotografare sempre con la stessa tuta. Ne servono due, tre, meglio quattro diverse da abbinare a un paio di orecchini che facciano “statement” e maglieria scovata in qualche archivio online di vintage. Ecco perché le piattaforme che propongono capi a noleggio stanno già crescendo: By Rotation è passato da 12.000 a 25.000 utenti nel solo mese di marzo 2020, mentre Seasons ha visto un aumento dell’800 per cento dei suoi membri nell’ultimo trimestre dell’anno scorso. C’entra (indirettamente) anche una crescente sensibilità verso il tema degli effetti ambientali dell’acquisto compulsivo, tanto che quasi tutti i modelli di business del settore hanno orientato la loro strategia di comunicazione sui vantaggi della circolarità. La Ceo di By Rotation, Eshita Kabra-Davis, lo ha spiegato così: «Dicono che non dovremmo desiderare abiti nuovi, ma è impossibile. Non puoi dire alle persone di non volere qualcosa, ma puoi trovare un modo per consentire loro di provare quella sensazione e, insieme, comportarsi in modo responsabile».

Fino a ora il mercato del noleggio degli abiti ha avuto una sua nicchia nel comparto delle occasioni, la risoluzione al problema delle trentenni che a un certo punto cominciano a dover presenziare a diversi matrimoni con l’atroce dubbio sul “Posso rimetterlo questo?”. Almeno prima dell’inizio della pandemia. Il più celebre, ovviamente americano, è Rent The Runway, fondato nel 2009 da due studentesse di Harvard, Jenn Hyman e Jenny Fleiss, nato proprio da un aneddoto sul tema: la sorella di Jenn, Becky, aveva dato fondo alla carta di credito per acquistare un abito da 2000 dollari per il giorno del Ringraziamento e si lamentava perché non l’avrebbe più indossato. Oggi RTR offre ai suoi 100.000 membri attivi tre piani a partire da 69 dollari al mese (per il noleggio di 4 capi) fino a 149 (16 capi) e un’offerta specializzata in abiti da cerimonia. Ma le nuove piattaforme puntano sull’idea che il noleggio funzioni benissimo anche per l’abbigliamento di tutti i giorni e si stanno specializzando in un’offerta definita nello stile e nella scelta dei brand in catalogo. Rotaro, disponibile in tutta la Gran Bretagna, punta su un’estetica femminile e Instagram-friendly, con abiti cottagecore di Cecilie Bahnsen e borse re-edition di Prada, mentre Seasons, di New York, apre l’esperimento alla moda maschile con marchi streetwear ma di nicchia, Amiri e Heron Preston, oltre che Gucci e Marni.

Più il mercato cresce, più l’offerta si articola. Il noleggio classico è quasi sempre accostato al servizio di rivendita, con una selezione o tutta l’offerta disponibile anche all’acquisto e la possibilità di vendere i propri capi direttamente alla piattaforma, la quale poi li metterà in affitto. By Rotation, invece, si propone come l’Airbnb del fashion renting: il servizio è peer-to-peer, quindi sono i privati a mettere a disposizione e/o a noleggio capi e accessori sull’app, stabilendo i prezzi, organizzando gli scambi (dal vivo o via posta) e occupandosi della sanificazione tra un noleggio e l’altro. Così come sta accadendo nel resale, poi, saranno gli stessi marchi a introdurre una proposta a noleggio: lo fa da qualche settimana Arket con la collezione bambini (sull’abbigliamento per bambini la sensibilità anti-spreco è già molto forte) e Vince, brand di homewear californiano che ha visto la sua celebrità impennarsi negli ultimi mesi. Lo ha già sperimentato anche Selfridges con un pop-up nel suo store di Oxford Street, a Londra, in collaborazione con un’altra piattaforma peer-to-peer, HURR: 100 articoli di 40 marchi di moda per un noleggio di massimo 20 giorni. L’obiettivo? Cogliere il nuovo (il department store ha contemporaneamente avviato una collaborazione anche con Vestiaire Collective) per riemergere dalla crisi, mentre la famiglia proprietaria ha già annunciato un taglio del personale del 14 per cento. Com’è che si dice, di necessità virtù.

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