17:43 venerdì 20 giugno 2025
Sia Israele che l’Iran hanno già messo al sicuro il loro patrimonio artistico Il problema è quella parte del patrimonio dei due Paesi che non può essere spostata. Solo in Iran ci sono 28 siti Unesco impossibili da proteggere.
Le notifiche del telefono fanno male e adesso c’è anche una ricerca che lo dimostra Si chiama alert fatigue e tante persone hanno già deciso come affrontarla: disattivando tutte le notifiche, sempre.
Il sindaco di Budapest ha detto che il Pride in città si farà nonostante il divieto di Orbán «Il Municipio di Budapest organizzerà il Budapest Pride il 28 giugno come evento cittadino. Punto», le sue parole.
Francis Kaufmann/Rexal Ford ha ricevuto quasi un milione di euro dal Ministero della Cultura per girare un film che non ha mai girato Lo ha rivelato un'inchiesta di Open: l'uomo è riuscito ad accedere ai fondi del tax credit, senza mai girare nemmeno una scena.
Skims sta inviando soldi via PayPal a centinaia di clienti senza dare alcuna spiegazione Tutto è cominciato con un tiktok, a cui ne sono seguiti decine e decine. Adesso, gli investigatori di internet stanno cercando di svelare il mistero.
La storia della chiusura del Museo del Fumetto di Milano non è andata proprio come si era inizialmente raccontato Un articolo di Artribune ha svelato che nella chiusura c'entrano soprattutto mancati pagamenti e gestione inefficace, non la cattiveria del Comune.
David Fincher vuole salvare Mindhunter trasformandola in una trilogia di film Lo ha rivelato l'attore Holt McCallany, uno dei due protagonisti della serie. A suo dire, ci sarebbero degli sceneggiatori già al lavoro.
Una delle analisi più sensate della guerra tra Israele e Iran l’ha fatta Jafar Panahi su Instagram Il regista ha postato un lungo messaggio, in cui condanna sia il governo israeliano che il regime iraniano.

Milano, la Guccification e il futuro: che settimana è stata per la moda

Finite le sfilate, rimane l’interrogativo con cui Gucci aveva esordito: cosa ne faremo di tutto questo futuro?

28 Febbraio 2017

La settimana della moda di Milano si è conclusa nel giorno in cui il mondo stava discutendo incredulo dell’errore agli Oscar e mentre ancora si litigava sulle buste, ecco comparire sui social una seconda campagna di Calvin Klein firmata Raf Simons, con il cast al completo del film vincitore (quello confermato). Le passerelle di Milano, intanto, erano andate avanti nei giorni precedenti senza particolari intoppi, non potendo beneficiare di nessun evento di carattere più o meno drammatico che fosse rilevante per la cultura popolare, a parte forse l’apparizione di Chiara Ferragni da Fabio Fazio.

Eppure, l’apertura della settimana della moda si era celebrata con la più sontuosa sfilata di Gucci che Alessandro Michele potesse regalarci, con tanto di scenografia imponente e qualcosa come centodiciannove look, o giù di lì, che si sono susseguiti nel consueto scontro di riferimenti e citazioni. Possibile che si parli, ancora, solo di Gucci? Ora che è diventato di tutti, così riconoscibile e così copiato – «Guccification», letteralmente «Guccificazione», la chiamano – abbiamo forse raggiunto il punto di non ritorno come è successo con l’ultima esibizione di Beyoncé ai Grammy? Chi può dirlo, di certo quello orchestrato da Michele è stato lo show più atteso e chiacchierato sia da quelli che alla settimana della moda di Milano ci vengono per lavoro, sia da coloro che ci gravitano intorno, fisicamente o virtualmente. C’era una domanda che ha accolto gli ospiti mercoledì scorso da Gucci, ristampata poi anche sugli inviti in forma di vinile dove ASAP Rocky e Florence Welch leggevano rispettivamente Jane Austen e William Blake: quella domanda, riportata con la calligrafia dell’artista Coco Capitán, era «Che cosa ne faremo di tutto questo futuro?» e si addice particolarmente allo stato della moda attuale, come ha sottolineato Angelo Flaccavento su Business of Fashion. Se non altro, visto che l’attualità sembra comparire sulle passerelle solo in forma di slogan o cappelli (come i Pussy Hat visti da Missoni), è una domanda che si finisce per applicare alla moda stessa, in un momento in cui Milano si trova al punto di decidere cosa fare di questo suo grande futuro post-Expo.

Gucci Alternative Views - Milan Fashion Week Fall/Winter 2017/18

Milano è borghese, Milano è commerciale, Milano è dove si fa il business, Milano è solida, Milano è noiosa: sono tutte cose sentite, scritte e lette innumerevoli volte e se almeno a questo giro ci è stato risparmiata la solita guerra sul calendario, è interessante notare come qualcosa stia lentamente succedendo sul fronte dei marchi più giovani o direttamente emergenti. Al Fashion Hub Market di piazza Gae Aulenti, per esempio, 15 nuovi brand hanno avuto un luogo, interamente finanziato dalla Camera della moda, dove poter incontrare stampa e buyer mentre la Mercedes-Benz Fashion Week, che organizza le settimane della moda di Berlino e Tbilisi fra le altre, ha spostato da Londra a Milano il suo programma International Designer Exchange, che permette a un designer asiatico di sfilare in Europa e a uno europeo di sfilare in Asia: questa volta è toccato alla cinese Angel Chen.

Sempre la Camera della moda ha messo a disposizione nuovi spot come quello di via Olona, dove hanno sfilato nomi conosciuti come Vivetta e Lucio Vanotti ma anche newcomers come Situationist (marchio georgiano selezionato dal White, la fiera di accessori che si svolge in via Tortona) e Ricostru, che a settembre aveva presentato la sua collezione all’Armani/Teatro su invito di Giorgio Armani, il quale per questa stagione, sempre con il supporto di Vogue Italia, ha scelto un altro designer cinese, Xu Zhi, diplomato alla Central Saint Martins di Londra e finalista del LVMH Prize. Come ha raccontato lo stesso Zhi a Osman Ahmed di BoF, «Milano ha ancora molto da fare per potersi paragonare a Londra come punto di riferimento dei nuovi talenti. Essere nella Designer Showrooms di Londra – l’equivalente del Fashion Hub Market – ci ha permesso di vendere le nostre cose a Dover Street Market e Opening Ceremony e di iniziare delle trattative con Neiman Marcus e Barneys. Al Fashion Hub di Milano avevo chiuso un accordo con un solo buyer».

FASHION-ITALY-WOMEN-PRADA

A bilanciare una visibilità ancora carente, però, c’è un altro fattore che potrebbe fare di Milano un laboratorio estremamente interessante per i nuovi marchi: quello dell’accesso diretto alla produzione tramite fiere come Milano Unica, come la sopracitata Angel Chen ha spiegato allo stesso Ahmed: «Sono stata tre giorni a Milano Unica e ho incontrato molti produttori che collaborano con grandi brand. Ho mostrato loro il mio lavoro e molti erano entusiasti di collaborare con me». Creare un canale di comunicazione fra giovani creatori di moda e la nostra impareggiabile catena produttiva, praticamente inesistente altrove, sarebbe un enorme punto a favore della fashion week milanese. Così come sarebbe auspicabile un programma di promozione delle scuole, ma quello dell’università della moda in Italia è un discorso ben più ampio di una semplice sfilata.

Sia ben chiaro, le collezioni per l’Autunno Inverno 2017-18 viste negli scorsi giorni a Milano erano tutt’altro che brutte, anzi. C’è stato il debutto di Francesco Risso da Marni, per esempio, sul quale i critici hanno applicato una saggia sospensione del giudizio con la speranza che il designer abbia modo di esprimersi ed emanciparsi dalle sue precedenti esperienze. C’è stata una collezione molto politica di Miuccia Prada, arrabbiata e in qualche modo consolatoria per chi è orfano della voce di Prada. C’è stata anche la prima modella in hijab, Halima Adem, sulla passerella di Max Mara. Inutile negarlo, però, ancora c’è da lavorare sul fronte della diversità del casting (come Decla Eytan aveva sottolineato nella nostra intervista), sull’apertura a nuovi modelli di bellezza e sulla più generale rappresentazione femminile nell’immaginario degli stilisti italiani; motivo in più per cui trovare voci alternative diventerà fondamentale per la Milano del futuro.

Immagini dalle sfilate di Gucci (in bianco e nero) e Prada (a colori) (Getty Images).
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