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Cosa scriveva di Prince il New York Times nel 1981

22 Aprile 2016

All’inizio degli anni Ottanta, nell’81, Prince era già un artista affermato, e aveva appena pubblicato con Warner Bros. il suo quarto album, Controversy, una delle opere dal contenuto più politico del cantautore. A fine anno sul New York Times usciva un pezzo che tirava le somme di come Prince stesse influenzando la musica dell’epoca e, con ogni probabilità, anche quella futura.

L’articolo di commento, ancora reperibile online, si apre con un riferimento a Elvis Presley, il primo a introdurre i ritmi black nel mainstream del pop americano: «Prince, il cantante, cantautore e polistrumentista che stasera si esibirà al Palladium, è la rockstar contemporanea più controversa proprio perché mette in discussione gli stereotipi sessuali e razziali», scrive l’autore, il musicologo Robert Palmer. In discussione, oltre a Prince (o meglio: tramite Prince) c’è la rigidità delle categorie razziali nel panorama musicale di quegli anni; «Prince l’ha scoperto recentemente quando i Rolling Stones l’hanno invitato ad aprire diversi loro concerti sulla costa ovest. Le tracce di androginia nei suoi movimenti corporali fluidi e il suo abito di scena vistosamente minimale ricordavano più di qualcosa delle prime esibizioni di Mick Jagger, ma il pubblico quasi interamente bianco degli Stones non è riuscito a stabilire la connessione. L’ha bersagliato con frutta e bottiglie vuote, impedendogli di continuare».

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Al Saturday Night Live nel febbraio 1981

E, continua Palmer, anche diverse radio avevano boicottato i suoi dischi, relegandoli alle stazioni che in qualche modo avevano trovato spazio per la musica nera. Il punto del Times è riassumibile nel paragrafo: «L’origine nera e italiana di Prince e il suo essere cresciuto in un quartiere multietnico di Minneapolis ha contribuito al suo approccio e al suo atteggiamento genuinamente bi-razziali. Il fatto che i fan del rock bianco e le radio tendano a costringerlo nel ghetto della black music dice più del razzismo nei circoletti della musica pop contemporanea che delle canzoni di Prince o del suo modo di presentarsi».

Eppure, nonostante le contestazioni e l’ambiente non ancora pronto alla sua arte, Prince vendeva, aveva successo, era destinato a rimanere dov’era, fra le prime posizioni delle classifiche nazionali. I suoi messaggi di liberazione sessuale e razziale avrebbero presto avuto più fortuna. Lo credeva anche l’autore del pezzo del dicembre del 1981:

Prince stesso trascende gli stereotipi razziali perché, per usare le sue stesse parole, «non sono cresciuto in una cultura particolare». Col passare del tempo sospetto che sempre più pop americano rifletterà un simile orientamento bi-razziale. Se così fosse, la sintesi di bianco e nero di Prince non è solo uno scenario possibile, è una profezia.

Immagine: Prince nel 2005 (Kevin Winter/Getty Images)
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