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Charli xcx sarà produttrice e protagonista del nuovo film di Takashi Miike Chiusa ufficialmente la brat summer, la cantante ha deciso di dedicarsi al cinema.
A Parigi hanno dimostrato che la migliore arma contro l’inquinamento è la pedonalizzazione 100 strade chiuse al traffico in 10 anni, inquinamento calato del 50 per cento.
Tutti i media hanno ripreso un articolo di Reuters sulla vibrazione atmosferica indotta, che però non c’entra niente con il blackout iberico (e forse non esiste) E infatti Reuters quell'articolo è stata costretta a cancellarlo.
La chiusura della più famosa sauna di Bruxelles è un grosso problema per la diplomazia internazionale A Bruxelles tutti amano la sauna nella sede della rappresentanza permanente della Finlandia. Che ora però resterà chiusa almeno un anno.
C’è un cardinale che potrebbe non partecipare al conclave perché non si riesce a capire quando è nato Philippe Nakellentuba Ouédraogo, arcivescovo emerito di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, ha 80 anni o 79? Nessuno riesce a trovare la risposta.
La Corte europea ha vietato ai super ricchi di comprarsi la cittadinanza maltese Per la sorpresa di nessuno, si è scoperto che vendere "passaporti d'oro" non è legale.
Una nuova casa editrice indipendente pubblicherà soltanto libri scritti da maschi Tratterà temi come paternità, mascolinità, sesso, relazioni e «il modo in cui si affronta il XXI secolo da uomini».
Nella classifica dei peggiori blackout della storia, quello in Spagna e Portogallo si piazza piuttosto in basso Nonostante abbia interessato 58 milioni di persone, ce ne sono stati altri molto peggiori.

Verdelli visto da vicino

La nomina del direttore editoriale dell'informazione Rai ha suscitato parecchie reazioni. Racconto di una carriera atipica e brillante.

01 Dicembre 2015

Quella volta la telefonata prese una brutta piega. Avevo intervistato Livio Zanetti, già direttore dell’Espresso e allora capo dei giornali radio Rai, andando a Genova la mattina dell’ultimo dell’anno del ’93. Carlo Verdelli era vicedirettore di Epoca, storica testata mondadoriana, tornata agli antichi splendori sotto la guida di un vertice composto da Nini Briglia, Massimo Donelli e Paolo Calvani. Non ricordo la causa scatenante, probabilmente una mia richiesta inopportuna, preoccupato di preservare il testo della conversazione. Verdelli mi chiamò: «Forse non ti fidi abbastanza del lavoro del nostro ufficio centrale», disse caustico, «perciò è meglio rivedere il nostro rapporto». Deglutii, prima di replicare: «È solo che se si dovessero apportare delle modifiche vorrei saperlo perché Zanetti ha voluto che gli rileggessi parola per parola il testo». Incidente chiuso. Qualche giorno dopo, l’intervista uscì ottimamente impaginata con il titolo “È arrivato l’uomo radio”.

Carlo Verdelli è stato nominato direttore editoriale dell’informazione Rai, suscitando le reazioni scandalizzate di alcuni politici (Gasparri e Brunetta per esempio) e del sindacato giornalisti di Saxa Rubra, offeso per la mancata nomina di un interno. Con tutti i professionisti di cui dispone il servizio pubblico perché non si è scelto in casa? Argomento non trascurabile, in epoca di spasmodici controlli dei costi. Il fatto è che di professionisti come Verdelli in Rai non ce ne sono (pochini anche altrove). Anzi: conoscendone la caratura giornalistica, la capacità di motivare i collaboratori e di dare identità alle testate che dirige, è il caso di dire che Campo Dall’Orto ha fatto una scelta che altri gruppi editoriali dovrebbero invidiargli. Se la nuova Rai, quella che deve immergersi nella contemporaneità diventando una media-company al passo con la globalizzazione e i nuovi linguaggi, comincia dalla nomina del direttore editoriale dell’informazione, figura inedita nella tv pubblica, la scelta di Verdelli è un buon punto di partenza. Verdelli è un professionista metodico e rigoroso, un gran stacanovista dotato anche di una originalità nella scelta dei contenuti e nel modo di trattarli che quando hai letto un’intervista o un reportage di qualcuno dei suoi giornali ne riconosci subito l’impronta. Leggi e dici: era il servizio da fare, ma com’è che non ci ho pensato io? Al netto delle invidie, è il giornalista più apprezzato dai giornalisti. Se esistesse un premio assegnato da una giuria di colleghi al direttore più capace di fare squadra e trasmettere con chiarezza il progetto editoriale, lo prenderebbe lui.

Ora si scateneranno le malignità e gli ostruzionismi che gli ambienti Rai riservano a chi arriva da fuori. Ci sarà da divertirsi. In ogni posto dov’è stato, Verdelli ha lasciato il segno. Un segno umano, prima di tutto, frutto della consapevolezza di essere figlio di un operaio e di considerare un privilegio il mestiere che fa. Lealtà nel trattare i collaboratori, disponibilità al confronto, dedizione e passione da artigiano vengono da qui. Anche la sua genialità è frutto di un’applicazione «meticolosa e noiosa» più che «dell’intuizione estemporanea» (parole sue). Credendo ancora nel nostro mestiere e trasmettendoti la sua motivazione, ti fa rendere al meglio.

Una volta mi chiese per Vanity Fair un pezzo per il trentesimo anniversario della nascita di Mediaset. Il riferimento era a TeleMilano, la tv via cavo da cui tutto nacque nel 1974. Voleva che sentissi Ricci, che declinò. Altri big non lo convincevano. Rilanciai con una figura minore, semi-dimenticata, Giorgio Medail, uno dei protagonisti di quel tentativo ingenuo e pionieristico che avrebbe potuto dare credibilità alla nostra ricostruzione. Rispose con una mail di una parola: «Procedi». Una volta uscito, il pezzo fu ripreso da siti e rassegne stampa.

Carlo Verdelli (5 novembre 2007, Damien Meyer/Afp/Getty Images)

Il segreto di Verdelli è anche prettamente editoriale. È la capacità di allargare il bacino di lettori abituali di una testata, declinata secondo la filosofia dello “strambare” che una volta spiegò a Prima comunicazione. «Quando nei quotidiani si va incontro a grosse difficoltà, le strade che uno ha davanti sono due: o cerca di arrestare il declino frenando a più non posso; oppure si cerca di strambare. Di cambiare direzione. Questa seconda strada è quella che i direttori preferiscono. Perché mentre strambi ti dai da fare, reagisci, inventi qualcosa…». Non strambate strampalate, però. Bensì suffragate dal marketing. Non a caso danno ottimi risultati.

Dopo la vicedirezione di Epoca, Verdelli è chiamato da Paolo Mieli a dirigere Sette, dove firma la stagione più curiosa e imprevedibile del magazine del Corriere della Sera. Un paio d’anni e diventa vicedirettore alla corte dello stesso Mieli, prima, e di De Bortoli, poi. Nel 2004 è autore dell’esplosione di Vanity Fair, un femminile prossimo alla chiusura che rivitalizza facendolo leggere anche dagli uomini. Una rivoluzione che gli vale il Premiolino. Due anni più tardi, rompe un altro tabù aggiungendo alla Gazzetta dello Sport la sezione “Altri mondi”, trasformando la bibbia sportiva in un giornale popolare con ambizioni da “prima lettura”. E portandolo al record di vendite per un quotidiano (2 milioni 300mila copie) nel giorno della vittoria dell’Italia ai Mondiali di Germania celebrata con un geniale “Tutto vero”.

La strambata più azzardata però è quella a cui ogni due-tre anni sottopone se stesso, passando dall’attualità alla moda allo sport, e adesso all’informazione televisiva. Arriva come un alieno nella nuova testata, provenendo da un mondo lontano. Si mette lì e studia. È l’unico modo per ammortizzare il salto. Di sport non sapeva granchè… «Anche quando sono arrivato a Vanity Fair non sapevo di moda. Ho studiato. Sono anche uno che si alza presto la mattina e arrivo alla riunione avendo letto tutti i giornali, compresi quelli stranieri. Così, sono preparato. Non urlo quasi mai. Anzi, mai».

Alla Gazzetta rimane quattro anni. Nel 2010 torna dall’editore di Vanity Fair come vicepresidente esecutivo. E Prima comunicazione sottolinea il nuovo passaggio con una copertina intitolata “Colpo grosso in Condé Nast” sopra una foto che lo ritrae insieme all’amministratore delegato Giampaolo Grandi. Un paio d’anni e un altro cambio, il ritorno alla scrittura sulle colonne di Repubblica, ogni servizio uno scoop, qualcosa di imprescindibile, inchieste e storie raccontate con la famosa passione dell’artigiano. Nel 2013 trova il tempo di esordire nella letteratura con I sogni belli non si ricordano (Garzanti), un libro sui bambini. «La nascita, ancor più della morte, è l’unica cosa che abbiamo davvero tutti in comune, da sempre e per sempre… Il resto è cultura, religione, politica, minchiate insomma…».

Ad un certo punto della primavera scorsa, malgrado le solite voci lo descrivano come un non allineato poco gestibile, la sua nomina alla direzione del Corriere è cosa fatta. Per un giornalista il fatto di non essere allineato dovrebbe essere un merito, ma la verità è che Verdelli non è uno che si spende nelle pubbliche relazioni come altri direttori rampanti. In realtà quelle etichette vogliono dire che non è organico ai salotti giusti. Soprattutto a quello di Diego Della Valle. Il quale, ancora risentito per vecchie questioni inerenti la Fiorentina risalenti all’epoca della Gazzetta, ha puntato i piedi. Fine della storia.

In questi giorni starà studiando i telegiornali Rai e non solo. A 58 anni si accinge alla prova più impegnativa. Razionalizzare e rilanciare i tg della tv pubblica nell’epoca delle reti all news. Sarà dura. La Rai ha consumato a fuoco lento professori, manager, scrittori, uomini di cultura. Strambare in televisione, con il denaro pubblico del canone, è manovra a rischio ancor più che nella carta stampata. Sebbene da tempo i nostri rapporti siano sporadici, l’altra mattina, appresa la notizia, gli ho inviato un messaggio di congratulazioni. A fine giornata non aveva ancora risposto. Di questi tempi la mia personale lavagna si divide tra quelli che rispondono ai messaggi e quelli che no. Non dubitavo della parte in cui sta Verdelli. Alle 5.48 della mattina dopo ne ho avuto la conferma.

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