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Charli xcx sarà produttrice e protagonista del nuovo film di Takashi Miike Chiusa ufficialmente la brat summer, la cantante ha deciso di dedicarsi al cinema.
A Parigi hanno dimostrato che la migliore arma contro l’inquinamento è la pedonalizzazione delle città Negli ultimi dieci anni più di 100 strade sono state chiuse al traffico e l'inquinamento è calato del 50 per cento.
Tutti i media hanno ripreso un articolo di Reuters sulla vibrazione atmosferica indotta, che però non c’entra niente con il blackout iberico (e forse non esiste) E infatti Reuters quell'articolo è stata costretta a cancellarlo.
La chiusura della più famosa sauna di Bruxelles è un grosso problema per la diplomazia internazionale A Bruxelles tutti amano la sauna nella sede della rappresentanza permanente della Finlandia. Che ora però resterà chiusa almeno un anno.
C’è un cardinale che potrebbe non partecipare al conclave perché non si riesce a capire quando è nato Philippe Nakellentuba Ouédraogo, arcivescovo emerito di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, ha 80 anni o 79? Nessuno riesce a trovare la risposta.
La Corte europea ha vietato ai super ricchi di comprarsi la cittadinanza maltese Per la sorpresa di nessuno, si è scoperto che vendere "passaporti d'oro" non è legale.
Una nuova casa editrice indipendente pubblicherà soltanto libri scritti da maschi Tratterà temi come paternità, mascolinità, sesso, relazioni e «il modo in cui si affronta il XXI secolo da uomini».
Nella classifica dei peggiori blackout della storia, quello in Spagna e Portogallo si piazza piuttosto in basso Nonostante abbia interessato 58 milioni di persone, ce ne sono stati altri molto peggiori.

Un sano due di picche

Obama avrebbe tre ottime ragioni per lasciare israeliani e palestinesi al loro destino

28 Settembre 2011

Immaginatevi la scena. Un segretario di Stato americano seduto a un tavolo. Intorno al tavolo, un primo ministro israeliano e un leader palestinese. A un certo punto il primo ministro israeliano e il leader palestinese cominciano ad azzuffarsi, ad accusarsi l’un l’altro, a recriminare e, ancora, recriminare. A un certo punto il segretario di Stato si alza, tira fuori un biglietto da visita con il recapito telefonico della Casa Bianca: «Questo è il mio numero, quando fate sul serio chiamatemi». E se ne va.
Quel segretario di Stato era James Baker III, il leader palestinese Yasser Arafat, il premier israeliano Yitzhak Shamir e il numero della Casa Bianca 1-202-456-1414 – da allora immagino l’abbiano cambiato, anche perché la scena sopra descritta si svolgeva nei primissimi anni Novanta. Storia antica, direte voi? Esattamente. Infatti oggi di uomini della Casa Bianca che danno un sano e consapevole due di picche a israeliani e palestinesi che puntano i piedi non se ne vede neanche l’ombra. Ed è di questo che vorrei parlarvi, perché è da un po’ che mi frulla nella testa la stessa domanda: perché Obama non tira i remi in barca, dà il ben servito a Benjamin Netanyahu/Abu Mazen, e si lava definitivamente le mani di questo benedetto processo di pace che non sta andando da nessuna parte?
No, non sto dicendo che mi fa piacere pensare che israeliani e palestinesi continuino ad ammazzarsi per altri 60 anni. Sto dicendo che Obama avrebbe delle ottime ragioni a lasciare perdere. Io ne vedo almeno tre.

1) È una causa persa
Potremmo stare qui delle ore a spiegare perché questa non è la congiuntura migliore per anche solo pensare di potere raggiungere un accordo tra israeliani e palestinesi. C’è chi dà la colpa agli israeliani, in particolare al primo ministro Benjamin Netanyahu che continua a sostenere i coloni – e in questa tesi c’è del vero. C’è chi dà la colpa ai palestinesi, che al momento non hanno neppure un governo unito (Hamas nella Striscia di Gaza, Abu Mazen in Cisgiordania) ma cionondimeno vorrebbero dichiarare l’indipendenza unilateralmente – e anche in questa tesi c’è qualcosa di vero. Infine c’è anche chi dà la colpa agli americani, e in particolare a Obama che è molto bravo a fare discorsi e un po’ meno a ottenere risultati concreti – e forse anche in questa tesi c’è qualcosa di vero perché Obama non è il pacificatore senza macchia che alcuni avevano sperato anche se, onestamente dubito che qualcun altro sarebbe riuscito là dove lui è fallito.
Perché al momento né gli israeliani né i palestinesi sembrano intenzionati a negoziare sul serio.

2) Vedi alla voce: elezioni 2012
Poi ci sarebbe il piccolo dettaglio che Obama avrebbe cose più urgenti cui pensare. Nello specifico: la crisi economica e la sua rielezione a presidente (la seconda è messa in discussione dalla prima). Si tratta non solo di conservare le energie per le faccende domestiche, ma anche di evitare polemiche inutili. Piaccia o no, qualsiasi passo nel terreno israelo-palestinese infiamma troppo gli animi. Se un presidente dice che gli insediamenti in Cisgiordania non sono una buona cosa i gruppi filo-israeliani se la prendono, se dice che uno Stato palestinese non si può fare entro domani se la prendono i filo arabi. E siamo nel campo delle semplici parole (e delle banalità)… figuriamoci se dovessero essere dei negoziati veri.

3) Le cause perse portano sfiga
La questione rischia di essere poco elegante, ma non è un buon motivo per fingere di non vederla. incaponirsi su una causa persa non solo rappresenta un’inutile dispersione di energie: è controproducente. Banalmente, ci si fa una pessima figura – con probabili conseguenze negative per la campagna elettorale. Se Obama si dovesse mettere in testa di resuscitare a tutti i costi il processo di pace, per poi non concludere niente, alla fine sarebbe molto meglio che se avesse semplicemente deciso di relegare la questione palestinese alla serie B.
Agli elettori i perdenti non piacciono. Un motivo in più per sbattere il biglietto da visita sopra il tavolo.

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