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La nuova importanza del videoanalista

Una delle figure più nuove del panorama calcistico italiano, il video-analyst Simone Beccaccioli è talvolta chiamato “tattico”, ha vinto con Marcello Lippi il Mondiale del 2006, ha lavorato poi con Donadoni, Ranieri, Montella, Luis Enrique, Zeman, Andreazzoli, Garcia. Cosa fa chi, come lui, analizza il calcio anatomicamente, video per video, azione per azione.

29 Ottobre 2014

Simone Beccaccioli non compare in molte altre foto oltre a quella sul sito ufficiale della Roma, in cui è visibilmente più giovane degli altri membri dello staff tecnico. Alla fine della stagione 2012/13, quando Aurelio Andreazzoli ha sostituito Zdenek Zeman, lo si vedeva in panchina durante le partite. Invece quest’anno viene inquadrato ogni tanto in tribuna a fianco a Frederic Bompard, uno dei due collaboratori francesi di Rudi Garcia. Bompard guarda metà partita dall’alto, poi scende a parlare con Garcia e resta a bordo campo per la seconda frazione. «Vediamo il primo tempo insieme. Lui mi dice quello che pensa, io a lui pochissimo. Perché è giusto che sia lui a parlare e io ad ascoltare».

Un trentenne con gli occhi chiari e la barba corta che sui siti di news per i tifosi della Roma è descritto a volte come “tattico”, a volte con giri di parole che tradiscono diffidenza per il ruolo professionale, tipo: «Simone Beccaccioli, etichettato come video-analyst». Ha vinto il Mondiale del 2006 con l’Italia di Lippi a ventitré anni, ha lavorato con Donadoni per le qualificazioni all’Europeo del 2008 e negli ultimi quattro anni passati alla Roma ha conosciuto altri sei allenatori: Ranieri, Montella, Luis Enrique e i già citati Zeman, Andreazzoli. Quando parla, però, è molto attento a non superare i confini invisibili del suo mestiere. Ad esempio a lui la parola “tattico” non piace: «Perché il tattico della squadra è l’allenatore. Se mi chiedi qual è la cosa più importante nel calcio ti rispondo la tattica, perché undici persone in campo sono tante. Ed è l’allenatore che prende le decisioni».

A lui la parola “tattico” non piace: «Perché il tattico della squadra è l’allenatore».

Quella del video-analyst è una figura professionale così recente nel panorama italiano che ancora non è chiaro se va usata la forma inglese o se è meglio tradurla con “video-analista”. In sostanza si occupa di studiare le partite giocate dalla sua squadra e quelle dei prossimi avversari, per poi montare dei video (ma anche report cartacei) da mostrare ad allenatore e giocatori. «Io non sono uno di quelli, sai, che stanno tante ora davanti al computer. No, io mi muovo», dice Beccaccioli. In realtà ogni analista ha compiti e metodologie differenti che dipendono dal rapporto con l’allenatore e la sua società e dalla sua formazione personale. Lui ad esempio si è conquistato nel tempo la fiducia di Walter Sabatini, il Direttore Sportivo, che a Trigoria (dove la Roma si allena dal 1978, fino a quando non verrà costruito lo stadio di proprietà) chiamano semplicemente “Il Direttore”, per cui adesso ha un doppio ruolo di analista e scout. «Sabatini mi ha capito e mi sta facendo crescere. È l’unica persona che conosco capace di formulare ogni giorno più di un concetto da tenere a mente». Quindi, oltre alle partite di Serie A, Beccaccioli deve guardare anche i campionati del resto del mondo.

Il suo ufficio a Trigoria è nella zona spogliatoi, accessibile solo alla squadra e al resto dello staff. Una stanza piccolina con una finestra che dà sul parcheggio dietro alla scrivania a L. Ci sono una stampante, due schermi per il computer, un televisore a muro con decoder Sky HD e due lavagnette con i magneti rossi e blu. È un venerdì mattina di inizio maggio, cioè di fine stagione, la Roma ha già conquistato il secondo posto matematico e l’allenamento è di pomeriggio. Beccaccioli, in camicia jeans e Dockers blu («Adesso perché non c’è ancora nessuno, ma dopo mi cambio») è su una sedia da ufficio, di fianco a lui ha una poltrona su cui si siedono Bompard o Garcia quando gli mostra i video. Sulle mensole sopra la sua testa c’è qualche dvd. Gli unici ricordi personali sono il disegno di una bambina (la figlia del Team Manager, Salvatore Scaglia) e un cappello a cono di paglia con su scritto col pennarello rosso “Marquinho”, ex giocatore della Roma.

È venuto alle nove del mattino per dare una mano a Federico Balzaretti, terzino sinistro infortunato, che deve preparare una presentazione in powerpoint per il corso da allenatore. Balzaretti deve simulare un’azione di gioco completamente inventata, descrivendo ogni passaggio e i movimenti dei giocatori in campo. Adesso sono arrivati al punto in cui l’attaccante numero 11 riceve palla in area di rigore e tra le varie soluzioni possibili, tiro di prima, assist per un compagno, hanno scelto di fargliela controllare male. Il portiere avversario esce e blocca il pallone. «Poi che succede?», chiede Beccaccioli. «Il portiere rilancia e il numero 8 recupera palla», dice Balzaretti. «È la terza volta che il numero 8 recupera palla, non è che possiamo fare solo contropiede per lavorare meno.» Dopo poco si interrompono e Balzaretti se ne va. Poi torna indietro e gli chiede: «Che facciamo una volta recuperata palla?». «Non lo so, dormici sopra Fede», risponde Beccaccioli. «Non è un lavoro normale. Mangiamo insieme, dormiamo insieme e ci svegliamo insieme. Se imbrocchi bene il rapporto però diventa fantastico. È come stare sempre con i tuoi migliori amici».

Dice che parte delle sue conoscenze viene dal periodo in cui ha giocato a Championship Manager e altri videogiochi manageriali di calcio, a volte fino alle sette del mattino.

Beccaccioli dice che parte delle sue conoscenze viene dal periodo in cui ha giocato a Championship Manager e altri videogiochi manageriali di calcio, a volte fino alle sette del mattino. Originario della Nuova Florida, una frazione di Ardea sul litorale romano a due passi da Trigoria, ha giocato nelle giovanili della Roma insieme a Daniele De Rossi. Suo padre, impiegato di banca ora in pensione, lo accompagnava a scuola a Roma e poi agli allenamenti e diceva: «Studia, che magari non sei abbastanza bravo». Gli ha trasmesso un’idea di passione sana: «La mattina comprava la Gazzetta dello Sport e la leggeva in ogni momento libero. Significa che sei appassionato, no? Però mai un insulto a nessuno, niente», racconta Beccaccioli. «Lui si innamorava di certi giocatori e io cercavo di smontarglieli. Mi ci impegnavo, eh. Ma aveva sempre ragione lui. Mio padre il calcio lo conosce. Magari non analiticamente, ma lo conosce. Io oggi mi fiderei a dirgli: guarda questo giocatore e dimmi che ne pensi.»

Beccaccioli ha fatto quella che lui chiama «la trafila del calciatore fallito», scendendo sempre più giù di categoria fino a capire a un certo punto che non era quella la sua strada. Finito il liceo scientifico si è iscritto al Dams, cinema. Poi tramite dei montatori è entrato in contatto con Adriano Bacconi, ex preparatore atletico  e fondatore della Digital Soccer Project (una delle prime aziende ad offrire consulenze e dati alle squadre di calcio in Italia) e altre società con cui produceva format tattici per Roma Channel e Inter Channel. Nel novembre del 2005 Bacconi, che aveva già lavorato con  Lippi ai tempi della Juventus, decide di portarsi il ragazzo in Germania per il Mondiale. «Avevamo una stanza al centro del ritiro. Facevamo l’analisi dell’avversario nudo e crudo e presentavamo il video a Lippi che poi lo mostrava alla squadra. Poi preparavamo 25 pagine, avversario per avversario, per i calciatori. Che erano liberi di venire da noi e vedere quello che volevano. Quello che gli serviva per caricarsi, o tranquillizzarsi. I loro errori, delle situazioni di gioco particolari. Diciamo che nella mia prima esperienza lavorativa non ho conosciuto la sconfitta. Con tutto che ero l’ultima ruota del carro io pensavo che dopo il Mondiale mi avrebbe cercato il Real Madrid».

I campi di allenamento della prima squadra a Trigoria sono delle perfette moquette naturali, non c’è un filo d’erba più alto di un altro, e Beccaccioli cammina lungo le linee laterali, tra i giardinieri con le falciatrici a mano che spuntano i ciuffi oltre le recinzioni e i giardinieri su macchine enormi. Il polline si è accumulato lungo il muro esterno, che in realtà è un fila di lastroni di cemento infilati nel terreno in verticale come dei denti non perfettamente allineati. Il campo principale è schermato da una rete alta, voluta da Rudi Garcia per impedire ai giornalisti di arrampicarsi e spiare da fuori.

Rudi Garcia nella sua autobiografia lo definisce «giovane prodigio dell’informatica e del montaggio» e «un vero genio nel suo campo».

Dopo il Mondiale sudafricano del 2010 e quattro anni in cui si è diviso tra la Nazionale e i lavori per la tv, Beccaccioli viene chiamato da Ranieri alla Roma. Poi si è trovato bene con Montella e non ha avuto problemi neanche durante il cambio di proprietà della squadra. Quando è arrivato Luis Enrique, con un suo analista e altri suoi collaboratori, Sabatini aveva già deciso di tenerlo in società come scout. Poi Luis Enrique lo ha incontrato e lo ha voluto nel suo staff. Rudi Garcia gli ha riconosciuto un ruolo importante e nella sua autobiografia lo definisce «giovane prodigio dell’informatica e del montaggio» e «un vero genio nel suo campo». Lui ricambia dicendo che Garcia, nelle vittorie come nelle sconfitte, dà l’impressione di essere una persona «infallibile, uno che non vorresti deludere». Insomma, si è trovato bene con tutti. E considerato che gli analisti lavorano a stretto contatto con gli allenatori non è una cosa così scontata. «Bisogna sempre stare al posto proprio», dice Beccaccioli. «Con personalità, facendo valere le tue ragioni. Ma non è che io adesso, perché sto nello staff del Mister, posso andare dal giardiniere e dirgli: guarda che questo cartello è messo male».

Se con la Nazionale ha analizzato persino i giocatori delle Isole Far Oer, agli allenatori stranieri che hanno allenato la Roma Beccaccioli interessa sopratutto per il suo background sul campionato italiano. E dal suo punto di vista il campionato italiano è il migliore in cui esercitare il proprio lavoro: «A me del calcio piacciono anche le cose apparentemente brutte, sul piano teorico. Se pensi all’Atalanta di Colantuono, a come ricerca la prima punta. Tu puoi pensare che quello è buttare una palla lunga davanti, ma dopo c’è l’organizzazione sulla seconda palla: dopo lo vanno a recuperare, il pallone. Il livello non è basso in Italia, gli allenatori sono tutti fortissimi. Quasi tutte le squadre hanno un’identità. Il calcio è legato solo al risultato. È incredibile. È stupido».

«Lo spogliatoio è l’unico posto dove si parla di calcio nella maniera giusta».

All’ora di pranzo Beccaccioli si cambia mentre il bar di Trigoria si riempie di calciatori in ciabatte e calzettoni. In pantaloncini e maglietta, lo si potrebbe confondere con loro: «Quando ti passano vicino in allenamento senti lo spostamento d’aria. Io a volte mi chiedo come ho fatto a pensare di poter giocare in Serie A». Il greco Torosidis parla al cellulare sui divani di vimini all’esterno ancora senza cuscini. De Rossi legge la Gazzetta in silenzio. Quando entrano in campo ci sono ancora gli annaffiatoi accesi e il trequartista serbo Adem Ljajic, arrivato per primo insieme a Pjanic, bosniaco, e Jedvaj, croato, grida per farli spegnere. L’allenamento è una sessione di tiri in porta, è aperto al pubblico per cui a bordo campo c’è qualche persona che chiama i giocatori. «Ecco il Capitano!», dice qualcuno con un accento non romano quando arriva Totti. «Ciao, tutto a posto?», risponde lui. «Sì e te?» «Tutto a posto».

Beccaccioli dice che quasi tutti i calciatori sono intelligenti e che, escluso il padre e un paio di amici, non parla con nessuno di calcio fuori dal lavoro: «Non sento mai niente di buono rispetto agli avversari. Una squadra non perde mai perché l’altra ha giocato meglio. Invece dentro allo spogliatoio lo sento. Perché lo spogliatoio è l’unico posto dove si parla di calcio nella maniera giusta, secondo me. È un dettaglio che sfugge completamente al mondo esterno. L’avversario. Io ho cancellato completamente una cosa che nel calcio secondo me purtroppo c’è tantissimo, che è il fastidio per chi ti sta contro. Quando io faccio il lavoro mio, se io studio una squadra, finisce che mi appassiono a chi mi sta contro». Per lavorare bene non serve a niente avere antipatia o astio per gli avversari e secondo Beccaccioli è così anche per i calciatori. Non è una questione di soldi, ma una cosa che ha a che fare con il miglioramento di se. «Ognuno degli allenatori che ho conosciuto aveva mille idee che noi ignoranti–mi ci metto anche io tra gli ignoranti–non possiamo capire finché non ce le spiegano. Ho grandissima stima per le persone che arrivano a questo livello, e non solo, perché ce ne sono tante brave che non sono arrivate a questo livello. Mi piacerebbe conoscere tutti, confrontarmi con tutti, vorrei rubare qualcosa a ognuno di loro».

Fotografia di Francesco Pizzo per Undici

L’articolo, in una sua versione leggermente ridotta, è comparso sul numero 2 di Undici

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