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C’è un cardinale che potrebbe non partecipare al conclave perché non si riesce a capire quando è nato Philippe Nakellentuba Ouédraogo, arcivescovo emerito di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, ha 80 anni o 79? Nessuno riesce a trovare la risposta.
La Corte europea ha vietato ai super ricchi di comprarsi la cittadinanza maltese Per la sorpresa di nessuno, si è scoperto che vendere "passaporti d'oro" non è legale.
Una nuova casa editrice indipendente pubblicherà soltanto libri scritti da maschi Tratterà temi come paternità, mascolinità, sesso, relazioni e «il modo in cui si affronta il XXI secolo da uomini».
Nella classifica dei peggiori blackout della storia, quello in Spagna e Portogallo si piazza piuttosto in basso Nonostante abbia interessato 58 milioni di persone, ce ne sono stati altri molto peggiori.
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I fratelli Gallagher si sono esibiti insieme per la prima volta dopo 16 anni In un circolo operaio a Londra.

Perché la Leopolda è utile al Pd

La kermesse del Premier e della sua gente non è il Partito democratico, ma non è neanche una struttura politica parallela. Rappresenta invece quel valore aggiunto per cui in molti si stanno avvicinando al Pd. A patto di concretizzare e radicare ulteriormente il proprio messaggio.

24 Ottobre 2014

A poche ore da quella che promette di essere la più affollata tra tutte le Leopolde organizzate in questi anni da Matteo Renzi, c’è una domanda precisa che gira per la testa di molti simpatizzanti e soprattutto di molti antipatizzanti del segretario del Pd: ma ora che il partito è conquistato, ora che il paese è governato, ora che l’opposizione si è liquefatta, la minoranza interna si è rarefatta, i burocrati sono stati rottamati, i sindacalisti sono stati sfidati, ora che il big bang a lungo promesso dall’ex sindaco di Firenze sembra essere (al di là delle conseguenze) sul punto di realizzarsi davvero, ora che insomma la Leopolda è entrata così tanto nel Dna del Pd da aver dato quasi l’impressione di aver trasformato il Pd in una corrente della Leopolda, che senso ha organizzare ancora, di nuovo, per l’ennesima volta quella che comprensibilmente può essere considerata una specie di riunione di corrente, una sorta di radunata dei talebani del renzismo, una sfilata di renziani della prima, della seconda e (deliziosi) dell’ultima ora?

Se si decide di andare a fondo e di studiare il renzismo non con lo spirito dei tifosi o dei non tifosi ma con quello degli appassionati di politica, il senso in fondo è perfettamente comprensibile e potremmo anche metterla così: la Leopolda – con le sue non bandiere, con i suoi non simboli di partito, con il suo essere insieme il massimo e il minimo dell’a-politica, con il suo essere estranea alle vecchie ideologie di sinistra, di centro e di destra, e con il suo voler essere un contenitore nuovo attraverso il quale far vivere magari anche vecchie idee ma comunque con una forma diversa (siamo sempre a McLuhan: il medium è il messaggio) – ha un qualche rapporto decisivo con il plusvalore oggettivo portato da Renzi nel Pd, e rappresenta in modo compiuto (almeno, finora lo è stato) quell’idea secondo la quale il Partito democratico non è solo il risultato di un’addizione tra forze politiche ma è anzi la dimostrazione – – in semiotica si chiama “Gestalt” – che la somma delle parti non è un’operazione matematica ma è un fenomeno più complesso, simile alla nascita di un figlio.

La Leopolda è uno strumento fondamentale sia per Renzi, sia soprattutto – eccolo il dato che ci sembra significativo – per il Pd

Dire che la Leopolda rappresenta il Pd è chiaramente una sciocchezza, mentre non lo è affatto affermare che la vocazione maggioritaria ricercata a lungo dal Pd è ben rappresentata dalle persone che in qualche modo sono legate all’esperienza della Leopolda. Ci fosse un manuale della politica alla voce Pd direbbe così: un partito che per essere compiuto e competitivo deve essere qualcosa in più della semplice idea che trasmette la parola “Pd”. Sotto questo punto di vista, dunque, si può capire anche qualcosa in più rispetto alla forza comunicativa di Renzi, che poi è anche la chiave del suo successo: essere percepito come un politico in continuità con la storia di un popolo di sinistra (in fondo, e i simboli contano, è stato Renzi a iscrivere il Pd al Pse e a scegliere di chiamare le feste del Pd feste dell’Unità e non democrat party) ma essere allo stesso tempo percepito come qualcosa di diverso, di complementare, e forse di più complesso. La Leopolda, da questo punto di vista, è uno strumento fondamentale sia per Renzi, sia soprattutto – eccolo il dato che ci sembra significativo – per il Pd. Nel rapporto con gli elettori, permette a Renzi di ricordare che il premier non è solo il segretario del Partito democratico ma è anche altro: è la somma del consenso espresso dagli iscritti e dagli elettori, dai tesserati e dai simpatizzanti, da quelli che votano da sempre a sinistra e quelli che ogni volta potrebbero farlo e magari non lo fanno; è qualcosa che si può apprezzare e magari votare perché rappresenta in un certo modo un plusvalore, un quid in più, rispetto al partito.

Nel rapporto con gli investitori poi – ovvero con i quattrini, tema fondamentale oggi per quei partiti che passo dopo passo dovranno affidarsi sempre meno alle risorse del pubblico e sempre più a quelle del privato – l’essere percepito come diverso dalla sola parola “Pd” è, se volete, ancora più importante, e permette al capo del Pd di essere apprezzato (e magari finanziato) anche da chi, per cultura, provenienza, storia, passioni, idee si sente rappresentato da Renzi più che dal Partito democratico.

La Leopolda, se depurata dalle pulsioni grilline che qualche volta si sono intraviste nella vecchia stazione di Firenze, può essere utile se non fondamentale per il Pd. Conquistato il partito, il governo, e arrivato a essere, nei sondaggi e alle elezioni, una forza importante e maggioritaria del paese, la sfida del governo Leopolda oggi appare un’altra: non si tratta di dimostrare di non essere un partito parallelo ma si tratta di una questione più importante: far sì che l’opa della Leopolda sul Partito democratico non sia solo estetica, comunicativa, fatta di annunci, e buoni propositi, ma sia più strutturale, più profonda, capace insomma non solo di far cambiare a forza, con gli strappi, la direzione, la rotta del Pd, ma sia capace di convincere anche coloro che sono ai remi che la direzione della nave non è quella inevitabile, quella da seguire perché non ci sono alternative, ma è quella giusta.

La missione di Renzi oggi è anche questa. È una missione complicata. Che richiede l’utilizzo di una squadra ben strutturata e radicata (cosa sulla quale Renzi deve ancora lavorare molto). Ma è l’unica missione che può permettere a Renzi di ripetere in Italia quello che Blair fece in Inghilterra negli anni Novanta: non si può cambiare la Gran Bretagna senza prima cambiare il Labour. E Renzi e i suoi, ovviamente, non riusciranno mai a cambiare l’Italia se prima non cambieranno il loro partito – e se si illuderanno, insomma, che per far vivere lo spirito della Leopolda in modo compiuto sia sufficiente farsi molti selfie in una vecchia stazione di Firenze. La differenza tra una rivoluzione improvvisata e una rivoluzione a lungo termine.

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